Si illude, chi crede che macellare un vitello sia poi tanto
diverso dal massacrare un cristiano: e non capisce che l’assuefazione alla
strage quotidiana degli animali ci “prepara” all’indifferenza verso l’omicidio,
la guerra, il
genocidio. Parola di Elisée Reclus, anarchico francese e geografo nonché
vegetariano militante: aveva, per l’epoca, idee molto progressiste riguardo ai diritti degli animali. Servendo come membro della
milizia, partecipò attivamente alla rivolta che diede vita alla mitica Comune
di Parigi del 1871, storica ribellione della classe operaia che lo stesso Marx
definì «il presagio glorioso di una nuova società». Dopo la sua cattura da
parte delle forze governative, Reclus venne inizialmente deportato in Nuova
Caledonia, remoto arcipelago al largo delle coste dell’Australia. Ma grazie
all’intervento dei suoi sostenitori, che secondo alcune fonti includevano anche
Charles Darwin, una nuova sentenza ridusse la distanza del confino,
permettendogli di vivere in Svizzera.
Reclus, racconta il newyorchese Jon Hochschartner in un post
ripreso da “Come Don Chisciotte”, era
sensibile come un bambino alla violenza contro gli animali. «Una volta un mio
familiare mi aveva inviato, piatto in mano, dal macellaio del villaggio, con
l’ordine di prendere qualche pezzo di carne da mangiare», ha scritto Reclus,
ricordando un episodio decisivo per la sua vita, negli anni dell’infanzia.
«Ricordo ancora questo cantiere cupo dove uomini terrificanti andavano e
venivano con grandi coltelli, indossando grembiuli schizzati di sangue. Appesa
sotto un portico, un’enorme carcassa sembrava occupare una straordinaria quantità
di spazio. Dalla sua carne bianca un liquido rossastro scorreva nei canali».
Travolto dalla vista del macello, Reclus, a quanto pare, svenne.Il reduce della
Comune di Parigi ha scritto acutamente circa il processo che permette agli
esseri umani di commettere la violenza sugli animali, «un processo che potremmo
chiamare di socializzazione specista», afferma Hochschartner. La reazione
inorridita di un bambino di fronte allo sfruttamento degli animali «svanisce
nel tempo, cedendo davanti alla perniciosa influenza dell’educazione
quotidiana», ha dichiarato Reclus. «I genitori, gli insegnanti, in modo
ufficiale o amichevole, i medici, per non parlare del singolo potente che noi
chiamiamo “tutti”, lavorano tutti quanti insieme per “indurire” il carattere del
bambino rispetto a questo alimento a quattro zampe che, tuttavia, ama come
facciamo noi, e sente come noi».
Forse anticipando il lavoro di scrittori come Joan Dunayer,
Reclus ha riconosciuto il ruolo dei giochi linguistici nel negare o
razionalizzare lo sfruttamento degli animali. «Gli animali sacrificati per
l’appetito dell’uomo sono stati sistematicamente e metodicamente resi orrendi,
informi, e sviliti in intelligenza e valore morale», ha scritto Reclus. «Anche
il nome degli animali è stato trasformato, il cinghiale viene utilizzato come
grossolano insulto, la massa di carne che vediamo sguazzare nelle piscine
rumorose è talmente ripugnante da guardare che evitiamo ogni somiglianza tra il
nome della bestia e quello dei piatti che se ne ricavano». Naturalmente, Reclus
credeva nel collegamento tra la violenza sugli animali e quella contro gli esseri umani: «C’è poi così tanta
differenza tra il corpo morto di una giovenca e quello di un uomo?».
«Gli arti mozzati, le interiora mescolate uno con l’altro, sono molto
simili», scrive Reclus. «Il massacro del primo rende facile l’omicidio del
secondo, soprattutto quando fuori squilla l’ordine di un leader, o da
lontano arriva la parola del maestro incoronato, “essere senza pietà”». Elisée
Reclus è morto nel 1905 all’età di 75 anni. «Si dice che i suoi ultimi giorni
siano stati resi particolarmente felici dalla notizia della rivoluzione
popolare in Russia»,
secondo Camille Martin e John P. Clark. «Morì poco dopo aver sentito della
rivolta dei marinai sulla corazzata Potemkin».
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