La prima cosa che mi colpisce è la sua faccia, quel sorriso appena
abbozzato e decorato da un pizzetto sotto il labbro e il sigaro toscano. Gli
voglio bene da subito e non potrebbe essere che così, quando una persona ti
spalanca la porta del suo laboratorio, che è anche quella del suo sapere, della
vita e della passione per l’antico mestiere del ramaio. Quell’uomo dichiara
così, in modo inconsapevole, una grande generosità.
Non so decidere cosa hanno lasciato maggiormente dentro di me i due giorni in cui ho
frequentato, insieme a una ventina di altre persone, un corso sulla lavorazione
del rame. Forse la generosità dell’artigiano Luigi Pitzalis, forse la bellezza
del laboratorio, forse la lezione di resistenza nel continuare con cura a tener
viva quest’arte. Davvero non so decidere.
Con la testa ancora piena di immagini – martelli di ogni peso e misura,
attrezzi, incudini, piccoli sgabelli di legno da usare nelle diverse postazioni
di lavoro – ripenso al maestro, una persona forte, sicura, che non tentenna
davanti al metallo rosso, il rame, perché sa come piegarlo,
ammorbidirlo, indurirlo, e decorarlo. Ne conosce alla perfezione il
carattere e lo sa governare.
Veder lavorare il rame da Luigi Pitzalis è una cosa che ne fa capire tante
altre. Mentre si ascolta la voce, semplice e precisa, che spiega le varie fasi e
i metodi della lavorazione, vengono alla mente pensieri filosofici,
ragionamenti sulla vita e sul perchè a 60 anni, quanti ne ha lui, ancora ci si
appassiona, si combatte, si lavora tanto. E si ha persino voglia di dire un
sacco di cose a chi s’incuriosisce al mestiere.
Dentro il lavoro del maestro, poi, io ci ho visto tutto. Persino l’anima più intima e
vera della Sardegna, forse aiutata dal suono del martello battuto sul rame a un ritmo che
ricorda un ballo della nostra terra, o forse per l’utilizzo di elementi
primordiali e forti, come il fuoco e l’acqua. O forse ancora per il batter e
piegare con forza, con consapevolezza e infinita pazienza, la stessa che ci
vuole a vivere nei piccoli centri di quest’isola.
Mentre va avanti col lavoro, guardo le mani che diventano sempre più nere.
Non usa i guanti, il maestro, forse perché vuol sentire con il tatto, con le
carezze che fa ogni tanto sull’oggetto che crea. Le orecchie devono essere
abituate al suono forte del martello, perché guardo la faccia e non appare
nessuna smorfia. È come se tra lui e il rame ci fosse un rapporto di conoscenza di vecchia
data, d’amicizia schietta. Ciascuno conosce i limiti dell’altro.
La lavorazione del metallo sembra facile ma quando vedi cosa ci vuole per
ottenere un oggetto, quanti passaggi, quanti strumenti, quella superficiale
convinzione svanisce in fretta. Ancor più quando, tenendo in mano un pezzo di
metallo, provi di persona la difficoltà che c’è anche a fare solo un semplice chiodo. Una delle cose
elementari che si fanno fare agli apprendisti per cominciare a imparare.
Luigi Pitzalis è l’ultimo ramaio in attività a Isili, un bel paese in
provincia di Cagliari con una grande tradizione di artigiani del rame. Purtroppo i ragazzi di
oggi, dice, vogliono avere subito il risultato del lavoro. Questo invece è un
mestiere di grande pazienza, non so dire se avrà un futuro, un seguito. Penso
che per ora “il seguito” siamo noi che – ascoltando, guardando e provando –
arriviamo alla fine del corso orgogliosi. Anche perché, al momento dei saluti,
il maestro ci confessa che è la prima volta che apre il laboratorio a un gruppo
di persone che niente hanno a che fare con quel mestiere e che in questi due
giorni ci ha detto tutto quello che sapeva e poteva al riguardo ma è stato
contento di averlo fatto.
Non sa quanto sono stata contenta io di aver visto, sentito, toccato,
vissuto il rame con lui. E con me credo anche gli altri compagni, assetati come
siamo, di cose concrete, vere, di vivere in comune i segreti di quel mestiere,
di capire il materiale e come lavorarlo o sceglierlo per alcuni manufatti. E
non sa neanche, Luigi Pitzalis, che il chiodo che ho fatto, che a me pare
bellissimo, è già una metafora per ricordarmi che ormai il rame è
piantato dentro di me e sarà difficile strapparlo via.
da qui
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