Ricorre un decennale che nessuno vuole ricordare. Il 25 settembre 2015 a
New York l’Assemblea generale dell’Onu approvava solennemente l’Agenda 2030 per
lo Sviluppo Sostenibile. 169 stati ratificarono l’accordo e le figurine
colorate dei 17 Sustainable Development Goals (SDGs) invasero
il mondo, la stampa e le televisioni, i programmi scolastici e i siti governativi
portando il loro messaggio di riscossa e di speranza: «Un futuro migliore e più
sostenibile per tutti». In Italia il di lì a poco ministro Giovannini avviò
persino una campagna per inserire in Costituzione lo “sviluppo
sostenibile”. Le discriminazioni economiche, di genere, di luogo di
nascita, di accesso alle risorse e le crisi ambientali sarebbero state
finalmente affrontate con determinazione dagli stati e dalle imprese. Un
mondo di pace e di cooperazione sembrava essere a portata dell’umanità. Due
mesi prima era stata emanata la enciclica Laudato si’ e, poco
dopo, il 12 dicembre, a Parigi fu firmato l’Accordo per la riduzione delle
emissioni dei gas serra nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici (UNFCCC).
Poi sono arrivati: Trump (il ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi è
avvenuto una prima volta nel 2020), la pandemia Covid del 2019, la guerra in
Ucraina, l’avanzata delle destre “sovraniste” e il più generare disfacimento
della cooperazione interstatale con la fine della “globalizzazione”. Si sono
così perdute le tracce dei 17 obiettivi, dei 169 sotto-obbiettivi e dei 240
indicatori da raggiungere entro il 2030 (dalla lotta alla povertà e alla fame,
all’istruzione di qualità, alla parità di genere, alla lotta al cambiamento
climatico e al degrado delle risorse naturali). Non danno segni di vita nemmeno
il Foro politico di Alto Livello (High Level Political Forum) previsto per
monitorare, valutare e orientare l’attuazione degli Obiettivi di sviluppo
sostenibile, né la commissione dell’Inter Agency Expert Group on SDGs
(IAEG-SDGs) con il compito di monitorare l’avanzamento. Le ultime informazioni
pervenute dalle NU sono quelle di un disperato segretario generale, Antònio
Guterres, dello scorso anno. Solo il 17% degli obiettivi degli SDG è in
linea con le previsioni, mentre 23 milioni di persone in più sono in uno stato
di estrema povertà; 100 milioni in più soffrono la fame; 120 milioni sono gli
sfollati per le guerre. A tutto ciò aggiungiamoci Gaza.
Nel Rapporto che il nostro Istituto di statistica redige ogni anno (Istat
2025) certifica che: «A distanza di dieci anni dal varo dell’Agenda 2030 e di
cinque dalla scadenza temporale individuata per la sua realizzazione, i
progressi verso gli SDGs, pur rilevanti in molti casi, non risultano nel
complesso dei paesi avanzati e in via di sviluppo all’altezza delle aspettative
(…) Lo scenario più probabile nei prossimi cinque anni è il fallimento su larga
scala degli SDGs. Il percorso dell’ultimo decennio è stato infatti segnato da
shock esogeni – la crisi pandemica, l’aumento delle tensioni geopolitiche, la
spirale inflazionistica innescata dall’incremento dei prezzi dei prodotti
energetici – che hanno condizionato negativamente i percorsi di avanzamento e
recupero a livello globale, nazionale e territoriale, sottraendo rilevanti
risorse alla promozione dello sviluppo sostenibile». Amen.
Più circostanziato e preciso lo staff del professor Jeffrey D. Sachs,
presidente del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite
(SDSN), che ha redatto il Sustainable Development Report 2025. Il Report rivela
che nessuno dei 17 Obiettivi globali potrà essere raggiunto tra cinque
anni, data di scadenza, e conferma che solo il 17% dei target specifici è
sulla buona strada.
Sulla crisi della cooperazione internazionale in capo all’Onu pesa il
ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), dall’Unesco e la loro dichiarata opposizione agli
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e all’Agenda 2030.
Nemmeno da noi le cose vanno bene, rileva l’Istat. «L’andamento nel
tempo verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile in Italia – analizzato a
partire dalle 240 misure statistiche che presentano sufficienti informazioni in
serie storica – restituisce un quadro variegato che sottolinea, nel complesso,
l’esigenza di un’accelerazione. Nonostante una quota maggioritaria di misure
risulti in miglioramento, sia nell’ultimo anno (oltre il 50%) sia nel decennio
(oltre il 60%), oltre il 20% delle misure sono caratterizzate da stagnazione
sia nel breve sia nel lungo periodo, e peggioramenti si evidenziano soprattutto
nel breve periodo (più di una misura su quattro), ma anche nel lungo (oltre il
15% nell’arco del decennio)».
Non potrebbe essere diversamente. Ora le priorità dei governi sono cambiate
e l’interesse si è spostato sulla “sicurezza” da raggiungere con altri mezzi:
la deterrenza e la “prontezza” dell’intervento militare (come stabilito
dal piano ReArm di Ursula von der Leyen approvato dal Parlamento europeo).
Abbiamo provato a fare uno schemino semplice per capire la dimensione del
problema. Con i denari già spesi in armamenti e militari nel 2023 si sarebbero
raggiunti i primi principali Obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’Onu.
Secondo altre stime più aggiornate, il fabbisogno finanziario sarebbe
superiore: 1.500 Mld all’anno per debellare la povertà; 300 Mld per la fame;
370 per la salute; 114 per l’acqua; 200 per l’istruzione; 1500 per il clima.
Arriveremo così a 2.984 Mld per i 6 obiettivi considerati e un fabbisogno
totale di circa 5-7 trilioni di dollari all’anno per raggiungere tutti gli OSS
entro il 2030. Ma anche le spese militari lo scorso anno hanno già raggiunto
2.700 Mld. Cifra destinata a crescere ancora di molto se la Nato riuscirà a
imporre agli stati membri una spesa militare pari al 5% del Pil.
Sarebbe utile aprire un confronto pubblico sulle ragioni del fallimento
dell’Agenda 2030. Temo che lo “sviluppo sostenibile” – con le sue varie declinazioni
operative: green economy, smart city, clean tecnology … –
nasconda un errore di fondo: pensare di poterlo realizzare facendo
affidamento ai meccanismi di mercato e alla crescita economica. La
falla che affonda tutta l’impalcatura dell’Agenda è nel 17° obiettivo in cui si
confida nel «partenariato pubblico privato» per recuperare investimenti
«reperibili in qualsiasi modo» per sviluppare «scambi commerciali aperti,
incrementando l’esportazione dei paesi meno sviluppati e la realizzazione per
questi di un mercato libero da dazi e restrizioni». Ci avevano visto proprio
giusto!
Leopoldo Nascia e Paola Ungaro (a cura di), Rapporto SDGS 2025,
Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia, Istituto
Nazionale di Statistica, 2025.
European Think Tanks Group, Finanziare l’Agenda 2030: Un quadro di
allineamento agli SDG per le banche pubbliche di sviluppo https://ettg.eu/financing-the-2030-agenda-an-sdg-alignment-framework-for-public-development-banks/
Jeffrey D. Sachs, Guillaume Lafortune, Grayson Fuller and Guilherme
Iablonovski, Sustainable Development Report 2025. Financing
Sustainable Development to 2030 and Mid-Century. https://www.socialimpactagenda.it/2025/07/01/lsdsn-presenta-il-sustainable-development-report-2025/
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