L’omnimercificazione del mondo, complemento logico della società di crescita, ha conseguenze distruttive sulla qualità della vita in tutte le città. Ma al fallimento della «politica urbana» ha contribuito anche quella che è stata chiamata la «crisi della cultura», una distruzione del gusto, della sensibilità, dello stile di vita. L’introduzione del libro Il disastro urbano e la crisi dell’arte contemporanea (elèuthera) di Serge Latouche: una riflessione sull’estetica accompagnati da Baudrillard e Castoriadis
All’origine di questo libro c’è anzitutto la pubblicazione, in Italia, di
un saggio scritto su impulso e in collaborazione con Marcello Faletra, docente
di Estetica all’Accademia di Belle Arti di Palermo, intitolato Hyperpolis.
Architettura e capitale[1]. Il termine «Hyperpolis» che ho suggerito per il
titolo allude all’opera Les Géants del grande romanziere francese J.M.G. Le
Clézio, che rappresenta una delle critiche più feroci alla società dei
consumi. Hyperpolis designa una sorta di città-supermercato gigante,
simbolo del mondo della merce nel villaggio globale. «Quando si è dentro
Hyperpolis è come se si fosse dentro l’universo. Tutt’a un tratto le mura sono
così lontane che non si riesce a vederle, sono sparite ai confini dello spazio.
Il soffitto è tanto alto, il pavimento tanto basso, che è come se non ci
fossero limiti. Lo spazio si è espanso molto velocemente, ha respinto le
superfici dure e piatte, largo, tanto largo, ha spostato i suoi muri e le sue
finestre, e ora non se ne vedono più le frontiere. Si è in lui, si fluttua».
Questo luogo inumano invoca la sua distruzione. Si presenta allora come un
ritornello ossessivo il mantra «Bisogna bruciare Hyperpolis», cosa che il
protagonista, Machines, compirà alla fine del romanzo[2]. L’omnimercificazione
del mondo, complemento logico della società di crescita, ha conseguenze talmente distruttive sulla
qualità della vita che in effetti si può perfino arrivare ad augurarsi la
scomparsa di questo mondo. La deterritorializzazione, ovvero la dinamica extra
suolo dell’attività umana, devasta sia la campagna sia la città e saccheggia il
paesaggio, a dispetto della buona volontà e del talento di architetti,
urbanisti e paesaggisti che, spesso consapevoli del disastro, tentano invano di
porvi rimedio. Se la megapolis nella quale viviamo non è altrettanto inumana di
Hyperpolis è perché eredita una storia e una cultura che hanno preceduto il
regno della merce e perché la colonizzazione del nostro immaginario da
parte dell’economia fatica a distruggere fino in fondo la nostra capacità di
resistenza.
L’analisi del disastro urbano non pertiene solo alla dimensione
territoriale della logica di distruzione materiale compiuta dall’economia di
crescita.
Questa costituisce di certo un elemento importante nei disordini che hanno
avuto luogo di recente nelle banlieues francesi e che hanno portato il
presidente Macron a parlare di «decivilizzazione». Ma al fallimento
della «politica urbana» ha contribuito anche quella che è stata chiamata la
«crisi della cultura», ovvero una radicale perdita di valori, un’altrettanto
radicale distruzione del gusto, della sensibilità, dello stile di vita.
Tale distruzione, che si può qualificare come di natura estetica, deriva in
ultima istanza dallo stesso processo di colonizzazione dell’immaginario da
parte del fattore economico presente anche nella deterritorializzazione. La
capacità di resistenza mentale al processo distruttivo si nutre e si rinforza
grazie alle distruzioni materiali. Siamo coinvolti in una lotta titanica – dove
è in gioco nientemeno che la sopravvivenza della specie – che a vari livelli e
con modalità diverse investe tutti.
Il caso ha voluto che questa riflessione sul disastro urbano sia avvenuta
in concomitanza con una riflessione più generale sull’estetica, nata da un
invito a partecipare al festival di Trani (cittadina pugliese, non lontana da
Bari, ricca di storia), il cui tema era «la Bellezza». Dal momento che l’estetica
non sfugge al collasso dei valori generato dal trionfo del valore economico,
gli organizzatori del festival hanno pensato, non senza ragione, che la
decrescita avesse qualcosa da dire al riguardo. Tanto la crisi dell’arte
contemporanea, spesso denunciata, quanto il disastro urbano, risultano
incontestabilmente da quel collasso. E il grande caos estetico tocca tutte le
belle arti: l’architettura (e il suo prolungamento, l’urbanistica) così come la
pittura o la musica, anche se la prima è toccata sia dall’impatto materiale
della mercificazione sia dalle sue ricadute sull’estetica. Ecco verosimilmente
la ragione per cui, nel progetto della decrescita, architetti e urbanisti sono
stati interpellati molto più di pittori, musicisti o danzatori, anche se, in fin
dei conti, tutti ne sono stati colpiti. L’ambizione di architetti e urbanisti è
di risolvere la crisi sociale con l’utopia delle cités radieuses, mentre quella
dei poeti, dei pittori, dei musicisti e degli altri artisti è di farci sognare,
dimenticare la miseria del presente e reincantare il mondo.
L’estetica si trova pertanto al crocevia delle riflessioni sulla
decrescita. La si incontra sia quando ci si interroga sul ruolo del sacro o
sull’arte di vivere, sia quando ci si preoccupa di pedagogia o di colonizzazione
dell’immaginario3.
Nonostante ciò, è ancora possibile ritrovare il senso e il gusto
del bello? Ci si può inventare un’estetica adatta al progetto di
costruire società di abbondanza frugale? Ne esistono già segni premonitori e
anticipazioni? La decrescita non sfugge al malinteso dei progetti utopici,
incastrati fra la pregnanza del presente e il futuro sognato: città di
decrescita, abitazioni di decrescita ecc. Ci sono state anche rivendicazioni di
decrescita nella pittura, nella musica, e perfino nella pedagogia. Si tratta di
pretese largamente, se non totalmente, ingiustificate.
Si può essere urbanisti, architetti, pittori o musicisti e aderire al
movimento della decrescita, e certamente questa adesione può e deve avere un
impatto sul modo di praticare la propria arte. Tuttavia, non bisogna mettere il
carro davanti ai buoi. L’arte non può essere arruolata per un progetto
sociale e politico, proprio come non può essere sottomessa agli imperativi del
mercato. «Il tentativo di strumentalizzare l’arte» scrive Castoriadis
«porta alla sua pura e semplice distruzione»[4]. Anche se è possibile
tratteggiare quelle che potrebbero essere città sostenibili e conviviali
alternative alla società di crescita, è un azzardo troppo grande pretendere di
anticipare un’estetica del futuro, nonostante essa costituisca una
dimensione centrale del progetto della decrescita.
Questa riflessione sull’estetica nei suoi intrecci con il progetto
della decrescita non ha la presunzione di presentare un’analisi esaustiva della
crisi dell’arte contemporanea, tema che ha suscitato contributi molto
approfonditi da parte degli specialisti, del cui novero non pretendiamo di fare
parte[5]. Motivata dalla connessione con la decrescita, essa sfrutta
largamente la critica poderosa di Jean Baudrillard enucleata nel suo pamphlet
sul «complotto dell’arte», ma poggia al contempo sulle analisi della
distruzione della cultura nella società capitalista condotte da Cornelius
Castoriadis, disseminate nella sua opera e poi raccolte nel libro postumo Fenêtre
sur le chaos[6]. Ovviamente l’analisi di Castoriadis, a differenza di
quella di Baudrillard, non porta direttamente alla «nullità dell’arte
contemporanea»: i giudizi che esprime sull’argomento, molto cauti[7], derivano
dalla sua diagnosi della crisi della cultura occidentale, ovvero
sostanzialmente dei suoi «valori». Tali valori – «consumo, potere, status,
prestigio, espansione illimitata del governo della ‘razionalità’» – hanno
esaurito il loro potere creativo e stanno ormai portando la civiltà occidentale
al collasso. Seppur in forma diversa, la sua analisi si collega alla nostra
sull’autodistruzione della società di crescita e sulla necessità di una
«rivalorizzazione», ovvero di un’autentica rivoluzione culturale. Solo che la
dialettica della cultura e della base materiale, che alcuni tentano perfino di
negare, è tutto fuorché semplice. Nel momento in cui si tocca l’estetica, i
giudizi inevitabilmente coinvolgono la soggettività del loro autore. E, per ben
argomentati che siano, resteranno pur sempre molto discutibili. Al termine di
un’analisi magistrale, in alcune pagine magnifiche nelle quali il suo acuto
sguardo filosofico si combina con la finezza di chi ha a lungo frequentato la
psicoanalisi, Castoriadis ammette la propria impotenza a penetrare tutti i
misteri che l’estetica pone[8]. Noi non pretendiamo di fare di meglio… La
rilettura di Castoriadis in occasione della pubblicazione francese dei suoi
saggi mi ha portato tuttavia a prendere coscienza delle significative
differenze tra le nostre analisi, cosa che mi ha spinto ad aggiungere in
conclusione un breve «post scriptum». La decrescita, abbiamo scritto per parte
nostra, è un’arte di vivere. L’arte di vivere bene, in sintonia con il mondo.
L’arte di vivere con arte. L’obiettore di crescita è al contempo un artista.
Qualcuno per il quale il godimento estetico è una parte importante della gioia
di vivere. L’etica della decrescita implica dunque necessariamente un’estetica
della decrescita, anche se l’etica della decrescita non si riduce a un’estetica.
Fare della propria vita un’opera d’arte non è di per sé l’obiettivo primario
della decrescita, ma piuttosto una delle sue conseguenze.
È quindi naturale che, avendo presentato Castoriadis e Baudrillard come
precursori della decrescita, questi saggi si iscrivano nel loro solco, come, in
misura minore, in quello di altri precursori quali William Morris, Jacques
Ellul o Pier Paolo Pasolini, nel tentativo di portare un po’ di luce
«decrescente» sui misteri dell’estetica[9].
Note all’Introduzione
1.
Serge Latouche e Marcello Faletra, Hyperpolis. Architettura e capitale,
Meltemi, Milano, 2019.
2.
Ivi, p. 116. «All’ingresso di Hyperpolis non c’è nessuno. L’uomo che si
chiama Machines avanza verso il centro e rovescia il primo bidone al suolo,
vicino a una colonna. Accende un fiammifero e la fiamma gialla divampa alta. Un
po’ più in là l’uomo Machines rovescia il secondo bidone. Già risuonano le
sirene. L’uomo accende un secondo fiammifero e la fiamma divampa alta verso il
soffitto. Poi l’uomo chiamato Machines arretra un po’, si siede, la schiena
contro un pilastro. Guarda le fiamme che formano grandi onde verticali verso il
soffitto, sente le sirene e i fischietti. Ma per lui fa lo stesso, attende»
(Les Géants, Gallimard, Paris, 1973, p. 333).
3.
Si vedano i nostri saggi: Penser un nouveau monde. Pédagogie et
décroissance. Entretiens avec Simone Lanza, Payot & Rivages, Paris, 2023
[trad. it. Il tao della decrescita. Educare a equilibrio e libertà per
riprenderci il futuro, Il margine, Trento, 2021]; L’Abondance frugale comme art
de vivre. Bonheur, gastronomie et décroissance, Payot & Rivages, Paris,
2020 [trad. it. L’abbondanza frugale come arte di vivere. Felicità, gastronomia
e decrescita, Bollati Boringhieri, Torino, 2022]; Comment réenchanter le monde.
La décroissance et le sacré, Payot & Rivages, Paris, 2019 [trad. it. Come
reincantare il mondo. La decrescita e il sacro, Bollati Boringhieri, Torino,
2020].
4.
Cornelius Castoriadis, Fenêtre sur le chaos, Seuil, Paris,15 2007, p. 45
[trad. it. Finestra sul caos, scritti su arte e società, elèuthera, Milano,
2007].
5.
I curatori dei testi di Castoriadis [Fenêtre sur le chaos, cit.] includono
una bibliografia sulla questione, di cui si segnala in particolare l’opera di
Yves Michaud La Crise de l’art contemporain, puf, Paris, 1997. Bisogna inoltre
menzionare il libro
più recente di Marc Jimenez, La Querelle de l’art contemporain, Gallimard,
Paris, 2005.
6.
Castoriadis, Fenêtre sur le chaos, cit.
7.
«La riflessione è dunque piena di trappole e di rischi»; ivi, p. 12.
8.
«Sono quarant’anni che questo interrogativo mi assilla: perché lo stesso
pezzo, diciamo la Sonata n. 33 di Beethoven, composta da qualcuno oggi sarebbe
considerata una sorta di scherzo, ma scoperta per caso in un solaio di Vienna
sarebbe considerata un capolavoro immortale? […] Non ho visto nessuno
riflettere seriamente sulla questione»; ivi, p. 33.
9.
Si vedano questi autori nella collana Les précurseurs de la décroissance da
me curata per le Éditions Le Passager clandestin.
https://comune-info.net/crisi-della-citta-e-crisi-dellarte/
Nessun commento:
Posta un commento