A luglio il Prezzo unico nazionale è stato in media di
113,3 euro al MWh: oltre 20 euro sopra quello della Francia, 40 sopra quello
spagnolo, il quadruplo di quello svedese. Dietro ci sono la dipendenza dal gas,
il funzionamento del mercato, le ondate di calore. E lo spettro della
manipolazione
Mentre il
governo festeggia la riduzione dello spread e un presunto
(inesistente) boom del turismo a Ferragosto, un altro dato è rimasto sotto
silenzio. Anche a luglio il prezzo medio dell’elettricità in Italia si è
piazzato al livello più alto dell’Unione europea. Il cosiddetto Prezzo unico
nazionale, base di riferimento per il prezzo all’ingrosso
dell’energia che poi viene rivenduta agli utenti finali, è stato in media
di 113,3 euro al MWh contro i 90 della media Ue. Oltre 20 euro
sopra quello della Francia, 40 sopra quello spagnolo, il quadruplo di quello
svedese. Nell’intero 2024 il prezzo medio italiano è stato di 108,5 euro/MWh
contro i 58 della Francia e i 63 della Spagna. Non è più considerata
un’emergenza perché fortunatamente sono lontani i picchi
del 2022 quando
ha superato i 550 euro. Resta una zavorra per le famiglie e il sistema
produttivo. Vale la pena fare il punto su cosa c’è dietro questa non
invidiabile specialità italica.
La dipendenza dal gas naturale
Il primo
fattore è la forte dipendenza dal gas naturale. In Italia, quasi il
45% dell’energia elettrica (contro il 15% della Germania, il 17% della Spagna e
il 3% della Francia) è prodotta da impianti a gas. E il combustibile viene
quasi interamente importato dall’estero, rendendo il prezzo
finale dell’energia molto sensibile alle oscillazioni dei mercati, come tutti i
consumatori hanno dolorosamente imparato durante i
mesi orribili seguiti all’invasione russa dell’Ucraina. All’epoca la Penisola era fortemente
dipendente da Mosca (oltre
30 miliardi di metri cubi l’anno, 40% del totale delle importazioni). Dopo
quello choc, il governo Draghi decise di diversificare gli approvvigionamenti
in favore del Nord Africa: nel 2023 la quota di gas in arrivo dall’Algeria è
salita poco sotto il 38% mentre quella russa è scesa sotto il 5% ed è aumentato
il ricorso al gas naturale liquefatto. Ma l’anno scorso la
tendenza si è marginalmente invertita e gli acquisti dalla Russia sono risaliti a
oltre 6 miliardi di metri cubi.
Questa
dipendenza ha fatto sì che l’anno scorso, quando i prezzi si sono normalizzati
in tutta Europa rispetto ai picchi del 2023, l’Italia ne beneficiasse di meno.
La relazione annuale dell’Autorità per l’energia (Arera), presentata a giugno,
ricorda che il Pun medio italiano è sceso del 14%, contro il -40% di quello francese,
il -36% registrato sulla borsa scandinava, il -28% di quella spagnola e il -18%
di quella tedesca.
Il funzionamento del mercato
Il
funzionamento del mercato elettrico contribuisce ad amplificare le differenze.
Il Prezzo unico nazionale si forma con il meccanismo del “prezzo marginale”:
ogni giorno i produttori di energia fanno le loro offerte sul cosiddetto
Mercato del giorno prima. Vengono chiamate a produrre prima le centrali più
economiche, alimentate a rinnovabili e idroelettrico, poi
quelle più care come le centrali a gas. Ma il prezzo finale non è una media. Si
allinea al costo dell’ultima centrale – la più cara – necessaria per coprire
tutta la domanda. Per questo, quando il gas diventa molto costoso anche
l’elettricità prodotta da fonti più economiche viene pagata a quel prezzo alto.
Funziona così in tutta la Ue, ma in Italia è più penalizzante perché come visto
il gas è più spesso la fonte “decisiva” che fissa il prezzo.
In Francia quel ruolo è svolto dal nucleare, in Spagna e Germania dalle rinnovabili
(anche se nel mix energetico di Berlino ha ancora un peso non indifferente
anche il carbone).
Il ruolo delle ondate di calore
In estate,
il mercato diventa particolarmente vulnerabile. Il fabbisogno di energia cresce
sensibilmente per effetto della climatizzazione, che porta milioni
di famiglie e imprese ad accendere i condizionatori nelle ore
più calde della giornata. Al tempo stesso la produzione da idroelettrico, che
vale in media fino al 20% del mix italiano, cala drasticamente a causa
della siccità e della ridotta disponibilità di acqua negli
invasi, mentre l’eolico è spesso condizionato da periodi di scarsa
ventosità. In questo contesto, le centrali a gas diventano indispensabili per
coprire la domanda residua spingono verso l’alto il Pun. Non a caso l’anno
scorso il prezzo unico medio di luglio è stato di 112 euro/MWh mentre quello di
gennaio, il mese più freddo, di 99.
Gli indizi di manipolazioni dei prezzi
A complicare
il quadro c’è un elemento
preoccupante emerso da un’indagine conoscitiva di Arera: nel biennio 2023-24, a valle dello
choc seguito all’avvio dell’invasione russa dell’Ucraina, molti operatori avrebbero
adottato strategie di offerta anomale sul mercato elettrico.
In pratica avrebbero ridotto la capacità realmente disponibile per spingere
i prezzi verso l’alto. L’Autorità parla di “probabili condotte di
trattenimento economico di capacità”, che avrebbero comportato “differenze
medie di prezzo” nell’intervallo di 4-7 €/MWh nel 2023 e 1 €/MWh nel 2024. Per
ora non si parla esplicitamente di abuso perché l’indagine si basa su ipotesi
semplificatrici e occorre “accertare l’assenza di legittime giustificazioni”,
ma di sicuro gli indizi di una corposa manipolazione del
mercato non possono essere ignorati.
Le maggiorazioni sul mercato libero
Dal Prezzo
unico alla bolletta il passo non è breve. Per arrivarci occorre tener conto di
costi di dispacciamento e di commercializzazione e degli oneri di
sistema destinati per esempio a sostenere lo sviluppo delle energie
rinnovabili per ridurre la dipendenza dal gas (lo scorso anno hanno sfiorato i
9 miliardi di euro). Nel mercato libero, su cui i clienti domestici
non vulnerabili sono stati fatti definitivamente migrare entro il luglio 2024, contano
poi le maggiorazioni decise dal fornitore. È sempre la
relazione dell’Arera a quantificarle: lo scorso anno il prezzo finale al netto
delle tasse sul mercato libero presentava “valori notevolmente
superiori al servizio di maggior tutela per tutte le classi di
consumo”: dal 37% in più per i grandi clienti al 55% per chi ha consumi tra
1.000 e 2.500 kWh all’anno.
Dulcis in fundo, ci sono le imposte, che aggiungono un 10% all’esborso.
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