Sono
minatori come quelli di Marcinelle bruciati da 61 anni. Anche loro stanno
scavando a modo loro il mare. Scavano per anni e infine, l’ultimo tratto da
scavare, ancora più pericoloso. Sono i migranti portati in salvo dalle gallerie
scavate nel Mediterraneo. Morirono in 262 per buona parte
connazionali. Bruciati come fossere essi stessi diventati un carbone simile
all’olocausto. Famiglie annientate dal dolore e racconti incompiuti di una
migrazione economica che prevedeva braccia in cambio di carbone a prezzo
ridotto. Così era siglato l’accordo
italo-belga dell’epoca. Dovevemo saperlo, invece di distrarci da anni di
amnesia mercantile. Avremmo potuto prevederlo che prima o poi quei morti
sarebbero tornati. Dal mare, stavolta.
Ma i cunicoli e le ore, gli anni passati a scavare, sono gli stessi. C’è chi scava carbone e chi scava futuro. Sono entrambi nascosti nella terra o nel mare. Non di altro si tratta. Minatori per necessità, di carbone e di nulla, nella terra, la sabbia o il mare. Non è quello che conta. Scavare per portare alla luce ciò che è nascosto, seppellito, tradito nele viscere della terra o tra i cunicoli, non meno infidi, del mare. Invece di fiamme il grande e pietoso silenzio del mare che raccoglie, come neppure gli umani sanno fare, in una grande città sommersa quanti lo solcano. Una città di minatori di futuro, merce rara, preziosa, non vendibile eppure fin troppo necessaria per la storia. Marcinelle è la memoria dei minatori del mare.
Ma i cunicoli e le ore, gli anni passati a scavare, sono gli stessi. C’è chi scava carbone e chi scava futuro. Sono entrambi nascosti nella terra o nel mare. Non di altro si tratta. Minatori per necessità, di carbone e di nulla, nella terra, la sabbia o il mare. Non è quello che conta. Scavare per portare alla luce ciò che è nascosto, seppellito, tradito nele viscere della terra o tra i cunicoli, non meno infidi, del mare. Invece di fiamme il grande e pietoso silenzio del mare che raccoglie, come neppure gli umani sanno fare, in una grande città sommersa quanti lo solcano. Una città di minatori di futuro, merce rara, preziosa, non vendibile eppure fin troppo necessaria per la storia. Marcinelle è la memoria dei minatori del mare.
La metà dei morti erano connazionali, contadini d’origine che conoscevano la terra. Alla terra e alla polvere sono tornati. Una scintilla, lo scoppio e l’incendio, sono diventati cenere perché dalla cenere erano nati. Una cenere benedetta, sparsa nel vento e che ha raggiunto altre sponde, lontano. Cenere e polvere e sabbia, sono gli stessi ingredienti che formano la storia umana, con un pezzo di mare da scavare. I discorsi di commemorazione che sembrano parlare al passato e non sanno sguardare il futuro di cui i minatori di mare sono gli operai. Dalle gallerie di Marcinelle a quelle del mare non c’è che un passo da compiere. E questo passo si fa con gli occhi e la memoria purificata dal sale.
Sono minatori d’acqua, scavano, cercano, si perdono, bruciano nel mare. Raccolgono minerale di futuro, raro e prezioso come la vita, che senza di lui perde la speranza. Pochi anniversari, cimiteri sparsi sulla riva e lei, la città sommersa dei minatori del mare. Si ritrovano e raccontano di quando da lontano si vedeva la terra e come scoprissero di nascere un’altra volta in un grido. Poi arrivava lei, l’acqua che tutto riempiva del suo manto leggero e inatteso. Ancora adesso, nella città sommersa, continuano gli scavi, per riportare alla luce il futuro finalmente trovato. Allora e solo allora si capirà che ricordare Marcinelle e dimenticare i minatori d’oggi, sarà come tornare a seppellire il futuro.
Intervista
video a Lino Rota, uno di quelli che hanno prestato soccorso nella tragedia di
Marcinelle
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