In
Siberia c’è un fiume che è diventato rosso. Come le arance di Sicilia. In
Siberia dove tutto, secondo la nostra immaginazione lontana, dovrebbe esser
bianco e soffice. E invece no. Qui hanno un fiume
rosso sanguigno. Fino ad oggi non si sapeva perché.
Siamo a nord del circolo Artico e siamo presso la città mineraria di
Norilsk, che in alcune “classifiche” è considerata una
delle città più inquinate del mondo. Il fiume si chiama Daldyka.
Due erano le opzioni: ferro o argilla “naturale”
che in qualche modo è finito nel fiume colorandolo di rosso o sostanze chimiche
finite nel fiume da una delle tante fabbriche di questa città.
Alla prima opzione non credeva nessuno. Anzi, quando è stata proposta la
gente ha riso. Il ministro russo delle Risorse
naturali e dell’Ambiente invece ha subito puntato il dito contro la chimica
siberiana, aprendo una indagine sul caso. Secondo loro avrebbe potuto essere
una rottura di un oleodotto della Norilsk Nickel che produce, fra l’altro,
palladio, un sostituto del platino che nella sua versione acetata è rossiccia.
Poteva anche essere
rame o nickel.
Nonostante tutto
ciò, la
Norilsk Nickel a lungo ha continuato a dire che era tutto apposto e che i colori erano sfumature
naturali rilasciando comunicati stampa del tutto tranquillizzanti. Dicevano di
avere anche aumentato i monitoraggi ambientali attorno ai loro impianti e che
avrebbero fatto test approfonditi.
Ma intanto naturale
o non naturale, l’acqua era ed è rossa. E la gente, che non è scema,
continua a rifiutarsi di berla.
Perché parliamo di
questa storia sul blog No all’Italia petrolizzata che non ha – per una volta! – a che
fare con il petrolio? Perché come con l’Amazzonia, le nevi dell’Artico sono
parti del mondo un po’ dimenticate, lontane, in cui è facile pensare che va
tutto bene. Lontane dagli occhi, lontane dal cuore. E invece no, sono zone
fragili, dove disturbi umani necessitano di anni e decenni per essere in
qualche modo sistemati da madre natura.
Gli standard
ambientali della Russia in Artico sono quasi osceni, considerato, ad esempio
quello che hanno fatto a Usinsk, città petrolizzata dove anche la neve è quasi
nera. E quindi il fiume rosso di Norilsk non fa notizia. Anzi,
Norilsk in particolare ha una storia tragica: fu fondata nel 1935 proprio come
centro minerario. Stalin ci mandava qui i prigionieri a estrarre minerali. I
lavoratori vivevano in condizioni desolate, nei gulag. Negli anni Cinquanta venire qui a lavorare
per l’industria mineraria divenne volontario, non più per eseguire lavori
forzati. La città si ingrandì e sorsero ciminierie sputa fumi, oleodotti,
enormi mostri industriali. Tante Ilva messe assieme, senza nessun tipo di
protezione dell’ambiente. Vivono qui oggi 134,000 persone, che soffrono
tutte per inquinamento ambientale dovuto a particelle fini, SO2, metalli
pesanti e fenoli, regali dell’industria mineraria, che ha pure lasciato in
eredità un enorme buco.
Ogni anno vengono
rilasciati in ambiente 4 milioni di tonnellate fra cadmio, rame, piombo,
arsenico, selenio e zinco. L’aria è inquinata con forti concentrazioni di rame
e di zinco, e le malattie respiratorie sono elevatissime. Nel
giro di cinquanta chilometri dall’impianto di lavorazione del nickel non c’è un
solo albero vivente. E oggi c’è pure il fiume rosso.
Finalmente,
mercoledì 13 settembre la Norilsk Nickel ha ammesso che sì, la colpa è
loro: il 5 settembre le forti piogge hanno causato il riversamento di
fluidi nel fiume da un impianto di filtraggio nello stabilimento Nadezhda. E
quindi hanno cercato di
nascondere la verità per
almeno una settimana. Ma sono recidivi. Aggiungono che nonostante l’acqua sia rossa, non ci
sono problemi per nessuno, persone, fauna o fiume…
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