I turisti piacciono all’economia: portano soldi e danno
lavoro. A volte, però, non piacciono agli abitanti che li ospitano. Capita
spesso, e non solo a Formentera contro le cafonate degli italiani. A causa
delle guerre nel Mediterraneo, a quanto pare, si è aggiunto un nuovo fronte:
quello in Bosnia, che vede opporsi cittadini locali e turisti provenienti dai
Paesi del Golfo.
Lo racconta la Reuters:
gli abitanti di Emirati, Arabia Saudita e Qatar che non vogliono fare le
vacanze in terre di infedeli, hanno una scelta ridotta: escludendo Turchia ed
Egitto (troppi disordini), Siria e Libia (è fuori discussione), e anche la
Tunisia (c’è qualche problema anche lì), l’unica possibilità è la piccola
Bosnia, nel cuore dell’ex Jugoslavia, con le sue montagne. Ci sono più voli,
nuovi resort e le procedure per il visto sono diventate più semplici.
Il problema è che, mentre gli
albergatori sono più che contenti di vedersi scivolare nelle tasche i
petrodollari, la popolazione locale è un po’ preoccupata. Certo, la Bosnia è un
Paese per metà musulmano, ma gli abitanti mantengono abitudini occidentali:
bevono alcol, si vestono all’Europea, non hanno un particolare interesse per
hijab e burqa. Anzi, l’arrivo dei wahabiti li spaventa.
Per dare qualche numero, si può
dire che nel 2010 i turisti dell’EAU non toccavano quota settanta. Nel 2015
erano 7.265 e nei primi sette mesi del 2016 erano già 13.000. Equilibri che
cambiano. La totalità degli arabi, compresi gli altri Paesi, è di 60mila, e
molti di questi comprano terre e proprietà (e sono quelli più temuti). Naturale
che la loro presenza cominci a pesare: i locali, dice la Reuters,
sono rimasti impressionati nel vederli pregare all’aperto (i bosniaci, per
abitudine, pregano in casa o in moschea) e nel veder sorgere ristoranti e
supermercati che non servono né vendono carne di maiale e alcolici. La paura è
che possano cominciare a far sentire sempre di più la loro voce.
Non sono timori infondati. Già in
passato il Paese, durante la guerra civile dell’inizio degli anni ’90, è stato
attraversato da combattenti arabi. Questi soldati erano portatori di una
visione dell’islam molto rigida, che ha messo radici in alcune aree del Paese –
quelle da cui, guarda caso, provengono i foreign fighters bosniaci che si sono uniti all’Isis – e che
potrebbe tornare in voga. “Non vogliamo vivere nel Muslimstan”, dicono alcuni,
spaventati dagli acquisti di case e terreni.
Altri, però, sono contenti.
L’arrivo degli arabi significa soldi in più, e con quei fondi l’economia del
Paese può cominciare a girare. “Qui è difficile vivere – dice un venditore di
frutti di bosco e di miele – Se si possono migliorare le condizioni di vita,
ben vengano anche loro”. E loro, appunto, vengono.
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