Il Fertility
Day è la giornata della sorca e dell’uccello. Si tratta di una citazione dal Belli, ovviamente.
Ma per spiegare questa immagine parto
dal passato nel quale il grande poeta ha vissuto.
Aveva poco più di quarant’anni Robert-François Damiens quando
piantò un coltellino nel fianco del re di Francia Luigi XV il “Beneamato”. Poi
quel re non morì perché l’arma di Damiens era mortale come un coltellino svizzero. Ma mortale fu per lo
stesso Damiens «condotto e posto
dentro una carretta a due ruote, nudo, in camicia, tenendo una torcia di cera
ardente del peso di due libbre»; poi «nella detta carretta, alla piazza
di Grêve, e su un patibolo che ivi sarà innalzato, tanagliato alle mammelle,
braccia, cosce e grasso delle gambe, la mano destra tenente in essa il coltello
con cui ha commesso il detto parricidio bruciata
con fuoco di zolfo e sui posti dove sarà tanagliato, sarà gettato piombo fuso,
olio bollente, pece bollente, cera e zolfo fusi insieme e in seguito il suo
corpo tirato e smembrato da quattro cavalli e le sue membra e il suo corpo
consumati dal fuoco, ridotti in cenere e le sue ceneri gettate al vento».
Insomma venne squartato e
bruciato e non senza alcuni impedimenti visto che ai quattro cavalli che si usarono per lo
squartamento pare che se ne dovettero aggiungere altri due e i boia di Stato
aiutarono lo smembramento incidendo coi coltelli i quattro arti. Ce lo ricorda Michel Foucault nelle prime pagine di un suo famosissimo testo.
Quello era il tempo delle aristocrazie. Un tempo nel quale il potere era potere sui corpi. Le galere erano
spesso un luogo di transito. Non ci buttavano i detenuti per anni e anni come
facciamo noi. Per i monarchi le pene dovevano essere visibili sulla carne dei
sudditi. Visibili nelle strade. Ti tagliavano una mano, la lingua, ti
impiccavano e tagliavano la testa, ti smembravano e ti davano fuoco e tutti
vedevano il potere del re!
Poi la borghesia ci ha detto che siamo tutti uguali. Che gli aristocratici non hanno il sangue blu e il
loro potere non deriva da alcun dio. Allora è stato lo Stato a occuparsi dei
cittadini. I corpi dei delinquenti non sono più stati segnati e ributtati nella
società per ribadire il potere dei monarchi, ma nascosti nelle prigioni. Il
potere sugli uomini è diventato un potere che vuole dimenticarsi dei corpi e degli uomini, non
li vuole considerare. Ultimamente è arrivato il
mondo nuovo, quello presente, che torna a occuparsi dei corpi come
merce. Tipo quella pubblicità che per far vendere un silicone per muratori,
invece di far vedere un cantiere con manovali rumeni sudati e grassi, spoglia
una bella donna e le fa fare una doccia.
E ci siamo ricordati del corpo: questo magnifico campo da gioco della
comunicazione politico-pubblicitaria! “Come si è pensato di ritrarre la donna
come corpo-cosa con in mano una clessidra?” si chiede il primo agosto Vanna Iori sull’Huffington Post. Perché il
“corpo-cosa” ha funzionato per secoli e possiamo tirarlo fuori
dalla cantina per utilizzarlo ancora. Niente idee e ideologie, niente cuore e
sentimenti: solo pisellino e passerina.
La donna può essere, come da sineddoche, semplicemente una fica e in quanto tale un oggetto
di piacere e un bambinificio. E la ministra Lorenzin (o qualcuno che gli
ha scritto le parole che dice) lo ha capito. Da ciò deriva il Fertility Day,
cioè il giorno del “fragà”come
scrive Giuseppe Gioacchino Belli in una poesia onomatopeica nella quale tra
“scenufreggi, sciupi, strusci e sciatti!” tra sonagliere “d’inzeppate a
secco! Igni botta, peccrisse, annava ar lecco” e tutt’e due soffiano come
gatti “sempre pelo co’ pelo, e becc’a becco”. E la Gertruda della poesia, per
godersela “più a ciccio” diventerebbe “tutta sorca” e il suo partner
“tutt’uccello”.
L’inciciature
Che scenufreggi, sciupi, strusci e sciatti!
Che sonajera d’inzeppate a secco!
Igni botta, peccrisse, annava ar lecco:
soffiamio tutt’e dua come du’ gatti.
Che sonajera d’inzeppate a secco!
Igni botta, peccrisse, annava ar lecco:
soffiamio tutt’e dua come du’ gatti.
L’occhi invetriti peggio de li matti:
sempre pelo co’ pelo, e becc’a becco.
Viè e nun vienì, fà epija, ecco e nun ecco;
e daje, e spigne, e incarca, e strigni e sbatti.
sempre pelo co’ pelo, e becc’a becco.
Viè e nun vienì, fà epija, ecco e nun ecco;
e daje, e spigne, e incarca, e strigni e sbatti.
Un po’ più che durava stamio grassi!
Ché doppo avè finito er giucarello
restassimo intontiti come sassi.
Ché doppo avè finito er giucarello
restassimo intontiti come sassi.
E’ un gran gusto er fragà! ma pe godello
più a ciccio, ce vorìa che diventassi
Giartruda tutta sorca, io tutt’ucello.
più a ciccio, ce vorìa che diventassi
Giartruda tutta sorca, io tutt’ucello.
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