“Siamo considerati
come pacchi postali da spedire da un posta all’altro”. I profughi eritrei
arrivati a Lampedusa non vogliono rimanere in Italia, né essere “ricollocati”
dove non hanno affetti, relazioni o progetti. Una storia di dignità contro
burocrazia
“Da un mese circa 230 profughi eritrei,
sudanesi e siriani protestano a Lampedusa contro il sistema europeo di
riallocazione”. È l’inizio della lettera di Don Mussie Zerai al commissario europeo Dimitris Avramopoulos.
“Gli eritrei
contestano il fatto che il programma adottato non tiene conto dei desideri,
delle situazioni particolari, dei legami affettivi, di parentela, di amicizia
in base alle quali ciascuno può preferire un paese piuttosto che un altro”.
“Siamo considerati –
dicono – come dei pacchi postali da spedire da qualche parte, anziché esseri
umani con una loro storia, un vissuto, un carico di speranze e di progetti per
il futuro”
Eppure i
profughi del corno d’Africa sono considerati fortunati. Gli altri
sono ormai “migranti economici” ed espulsi con una procedura sommaria.
Io sono fuggito da un
regime che pretendeva di decidere della mia vita al posto mio. Di stabilire, cioè, il mio futuro, determinare dove e come
dovevo vivere. Per questo sono fuggito: per essere libero di
scegliere autonomamente il mio futuro.
Qui ora mi trovo
invece davanti a un altro regime di regole che, sostanzialmente, pretende anch’esso di determinare il mio
futuro, perché è evidente che la mia vita dipenderà dal posto in cui verrò
mandato.
Ecco il motivo del mio no: chiedo il rispetto
della mia libertà e del mio desiderio di avere una vita dignitosa”
(Testimonianza raccolta da Don Mussie Zerai).
Nessun commento:
Posta un commento