In questi giorni una notizia sorprendente e
significativa per la Sardegna è passata sotto silenzio.
Come ogni anno infatti, il Sole24Ore ha effettuato la sua ricerca sulla qualità della vita nel nostro paese, suddividendola per provincie.
I risultati ribaltano vecchie etichette, stereotipi e luoghi comuni sulla Sardegna, di cui, per primi, siamo vittime noi stessi.
Per tanti anni, fin dai tempi del celebre antropologo Lombroso, i sardi, specie quelli dell’interno, sono stati dipinti come una razza geneticamente delinquenziale, tanto che i segni di questa caratteristica si potevano rinvenire persino nel volto.
Una scuola di lombrosiani, da Niceforo a Onano, ai primi del secolo scorso, negli anni della “caccia grossa”, del maggiore sforzo dello Stato contro il banditismo, presero a sbizzarrirsi in astruse teorie lombrosiane sui sardi. In realtà il banditismo sardo, come il brigantaggio meridionale, era semplicemente il frutto di uno sconquasso sociale che aveva trasformato radicalmente i sistemi di produzione e il regime fondiario della terra producendo, da una parte, mano d’opera a basso costo, dall’altra disadattamento e ribellione.
Certo, le intemperanze dei sardi risalgono sin dai tempi antichi, temuti ribelli in epoca romana.
Tuttavia, senza sottovalutare certe caratteristiche antitetiche delle civiltà a prevalenza pastorale, e quel rapporto storicamente conflittuale con i dominatori, il banditismo sardo, combattuto poi negli anni ’60, oltre che con la repressione, anche con la nascita forzosa delle industrie, tutto era fuorché una caratteristica di natura genetica.
Per molti anni la Sardegna ha pagato un prezzo molto alto per l’alone di pregiudizio dovuto alla presenza di sequestratori che, per quanto non fosse un’esclusiva sarda, ricadeva come triste ricaduta di immagine quasi esclusivamente nell’isola.
Ancora ai giorni nostri, notevole clamore suscitano gli omicidi spesso maturati in ambito agro-pastorale e non solo,come dimostra la recente uccisione di un giovane in un paese dell’interno.
La notizia di questi giorni, tuttavia, stravolge completamente la visione di una Sardegna dell’interno insicura e delinquenziale.
La ricerca del Sole24Ore, occorre dire subito, pur trattando di qualità della vita, in realtà utilizza parametri formalisti e quantitativi, inadeguati ad analizzare valori come la socialità, la solidarietà, l’ambiente, il tempo libero. Parametri che favoriscono in modo piuttosto evidente le regioni del Nord. Tuttavia, la serietà della ricerca è indiscutibile; inoltre, taluni parametri, come quello che ci interessa, puramente matematici, sono rilevanti.
Colpisce, intanto, la presenza di una Italia spaccata in due, con la qualità della vita ben assestata al Nord, specie nelle regioni montane, con uno scarto netto e improvviso a sud di Roma.
La Sardegna fa eccezione a questa dicotomia così marcata. Grazie a dei cursori presenti nella mappa interattiva, è possibile infatti isolare uno o più dei sei parametri utilizzati e cogliere con immediatezza visiva, grazie a dei marcatori evidenti, la situazione statistica. Attraverso questo “gioco” si può rilevare un dato molto interessante: se isoliamo i due dati prettamente economici (reddito e lavoro), la Sardegna è al livello delle altre regioni del Meridione, ovvero in fondo alla classifica. mappa interattiva ricerca Sole24Ore
Ma con il procedimento inverso, isolando i restanti 4 parametri più vicini ad una idea di “qualità della vita”, la Sardegna balza inaspettatamente al vertice tra le regioni italiane, in controtendenza ai paesi del Sud.
In pratica, secondo questa ricerca, la Sardegna, nonostante sia una regione relativamente povera, presenta una qualità della vita superiore alla maggior parte del resto del paese. Anche in Sardegna esistono delle differenze: il Sulcis, ad esempio, ed in parte il Medio Campidano, restano piuttosto indietro rispetto al resto della regione. Non credo sia un caso: quelle aree pagano scelte di sviluppo fallimentari, basate in prevalenza sull’industria.
Già questa analisi dovrebbe fare riflettere molto sulle potenzialità di uno sviluppo integrato e sostenibile che avrebbe l’isola, se si smettesse di imitare modelli economici importati dall’esterno.
In particolare, e qui veniamo al dato ancora più inaspettato, isolando il parametro della sicurezza, basato sul numero di una serie di delitti (rapine, furti in appartamento, estorsioni, ecc.), la Sardegna si stacca nettamente dal resto d’Italia mostrandosi come la regione più sicura.
In particolare, al primo posto, come provincia d’Italia più sicura, viene Nuoro, davanti all’Ogliastra.
Ci sarebbe da mettere in soffitta, e per sempre, Lombroso e i lombrosiani, insomma.
Dati che possono apparire sorprendenti.
Spesso ricaviamo credenze e pregiudizi da luoghi comuni, suggestioni mediatiche, allarmismi artefatti.
Scrissi, a proposito di quell’omicidio giovanile,Si fa presto a dire Orune , che oggi si indaga sulle problematiche sociali dei paesi dell’interno con strumenti vecchi, al punto che non è quella la società immobile, ma quella che osserva.
Al netto di problematiche sociali serie, la cattiva nomea della Sardegna barbaricina è dovuta ad alcune tipologie di reati che, per il loro ritorno mediatico, creano un effetto amplificante. I sequestri di persona a suo tempo, omicidi, gli assalti ai furgoni portavalori, anche se non in misura maggiore di altre realtà nazionali, producono, tuttavia, l’idea di una società “del malessere” che, invece, al contrario, è relativamente sicura.
Spesso sono le modalità del delitto che producono un effetto mediatico. In particolare l’idea, tipica di una visione egemonica della cultura osservante, che la causa del delitto sia l’appartenenza ad una cultura “altra”. Cioè l’effetto mediatico viene amplificato dalla matrice agro-pastorale, vista per tradizione in antitesi ad una cultura cittadina, borghese e industriale. Un marchio di superiorità della cultura egemone, la stessa che troviamo in tutti gli alti contesti in cui essa usa i riflessi mediatici per assoggettare categorie di persone, si pensi agli immigrati o alle minoranze etniche, e renderli più ricattabili.
Tanto è vero che, a furia di diffondere queste notizie allarmanti, ci siamo convinti di vivere in un paese insicuro. Niente di più falso, l’Italia, statistiche alla mano, è uno dei paesi più sicuri del mondo, e questo accentua a maggior ragione il primato della Sardegna, che si trova, dunque, a posizionarsi tra le regioni più sicure in assoluto.
Questo dato positivo per l’isola è un patrimonio non solo morale, ma anche economico. Pensate solo il valore che ha la sicurezza dei cittadini per il turismo, o per gli investimenti.
Certamente occorre essere consapevoli che le statistiche, anche quando basate su dati matematici, non fotografano pienamente la realtà. Sappiamo bene da quali problematiche sociali la Sardegna è attraversata e quali siano le sacche di illegalità. Sappiamo bene che vi sono resistenze culturali, delinquenza spacciata per ribellione, illegalità spacciata per cultura alternativa.
Non di meno questa attitudine dei sardi ad esagerare i loro mali fino all’eccesso, di comune accordo con i pregiudizi di chi osserva dall’esterno, certo non aiuta il cambiamento.
Il dato positivo, piuttosto, deve spingere ancora di più non solo le istituzioni, ma l’intera società sarda, ad isolare e combattere le sacche di violenza e di illegalità che ancora resistono.
Come ogni anno infatti, il Sole24Ore ha effettuato la sua ricerca sulla qualità della vita nel nostro paese, suddividendola per provincie.
I risultati ribaltano vecchie etichette, stereotipi e luoghi comuni sulla Sardegna, di cui, per primi, siamo vittime noi stessi.
Per tanti anni, fin dai tempi del celebre antropologo Lombroso, i sardi, specie quelli dell’interno, sono stati dipinti come una razza geneticamente delinquenziale, tanto che i segni di questa caratteristica si potevano rinvenire persino nel volto.
Una scuola di lombrosiani, da Niceforo a Onano, ai primi del secolo scorso, negli anni della “caccia grossa”, del maggiore sforzo dello Stato contro il banditismo, presero a sbizzarrirsi in astruse teorie lombrosiane sui sardi. In realtà il banditismo sardo, come il brigantaggio meridionale, era semplicemente il frutto di uno sconquasso sociale che aveva trasformato radicalmente i sistemi di produzione e il regime fondiario della terra producendo, da una parte, mano d’opera a basso costo, dall’altra disadattamento e ribellione.
Certo, le intemperanze dei sardi risalgono sin dai tempi antichi, temuti ribelli in epoca romana.
Tuttavia, senza sottovalutare certe caratteristiche antitetiche delle civiltà a prevalenza pastorale, e quel rapporto storicamente conflittuale con i dominatori, il banditismo sardo, combattuto poi negli anni ’60, oltre che con la repressione, anche con la nascita forzosa delle industrie, tutto era fuorché una caratteristica di natura genetica.
Per molti anni la Sardegna ha pagato un prezzo molto alto per l’alone di pregiudizio dovuto alla presenza di sequestratori che, per quanto non fosse un’esclusiva sarda, ricadeva come triste ricaduta di immagine quasi esclusivamente nell’isola.
Ancora ai giorni nostri, notevole clamore suscitano gli omicidi spesso maturati in ambito agro-pastorale e non solo,come dimostra la recente uccisione di un giovane in un paese dell’interno.
La notizia di questi giorni, tuttavia, stravolge completamente la visione di una Sardegna dell’interno insicura e delinquenziale.
La ricerca del Sole24Ore, occorre dire subito, pur trattando di qualità della vita, in realtà utilizza parametri formalisti e quantitativi, inadeguati ad analizzare valori come la socialità, la solidarietà, l’ambiente, il tempo libero. Parametri che favoriscono in modo piuttosto evidente le regioni del Nord. Tuttavia, la serietà della ricerca è indiscutibile; inoltre, taluni parametri, come quello che ci interessa, puramente matematici, sono rilevanti.
Colpisce, intanto, la presenza di una Italia spaccata in due, con la qualità della vita ben assestata al Nord, specie nelle regioni montane, con uno scarto netto e improvviso a sud di Roma.
La Sardegna fa eccezione a questa dicotomia così marcata. Grazie a dei cursori presenti nella mappa interattiva, è possibile infatti isolare uno o più dei sei parametri utilizzati e cogliere con immediatezza visiva, grazie a dei marcatori evidenti, la situazione statistica. Attraverso questo “gioco” si può rilevare un dato molto interessante: se isoliamo i due dati prettamente economici (reddito e lavoro), la Sardegna è al livello delle altre regioni del Meridione, ovvero in fondo alla classifica. mappa interattiva ricerca Sole24Ore
Ma con il procedimento inverso, isolando i restanti 4 parametri più vicini ad una idea di “qualità della vita”, la Sardegna balza inaspettatamente al vertice tra le regioni italiane, in controtendenza ai paesi del Sud.
In pratica, secondo questa ricerca, la Sardegna, nonostante sia una regione relativamente povera, presenta una qualità della vita superiore alla maggior parte del resto del paese. Anche in Sardegna esistono delle differenze: il Sulcis, ad esempio, ed in parte il Medio Campidano, restano piuttosto indietro rispetto al resto della regione. Non credo sia un caso: quelle aree pagano scelte di sviluppo fallimentari, basate in prevalenza sull’industria.
Già questa analisi dovrebbe fare riflettere molto sulle potenzialità di uno sviluppo integrato e sostenibile che avrebbe l’isola, se si smettesse di imitare modelli economici importati dall’esterno.
In particolare, e qui veniamo al dato ancora più inaspettato, isolando il parametro della sicurezza, basato sul numero di una serie di delitti (rapine, furti in appartamento, estorsioni, ecc.), la Sardegna si stacca nettamente dal resto d’Italia mostrandosi come la regione più sicura.
In particolare, al primo posto, come provincia d’Italia più sicura, viene Nuoro, davanti all’Ogliastra.
Ci sarebbe da mettere in soffitta, e per sempre, Lombroso e i lombrosiani, insomma.
Dati che possono apparire sorprendenti.
Spesso ricaviamo credenze e pregiudizi da luoghi comuni, suggestioni mediatiche, allarmismi artefatti.
Scrissi, a proposito di quell’omicidio giovanile,Si fa presto a dire Orune , che oggi si indaga sulle problematiche sociali dei paesi dell’interno con strumenti vecchi, al punto che non è quella la società immobile, ma quella che osserva.
Al netto di problematiche sociali serie, la cattiva nomea della Sardegna barbaricina è dovuta ad alcune tipologie di reati che, per il loro ritorno mediatico, creano un effetto amplificante. I sequestri di persona a suo tempo, omicidi, gli assalti ai furgoni portavalori, anche se non in misura maggiore di altre realtà nazionali, producono, tuttavia, l’idea di una società “del malessere” che, invece, al contrario, è relativamente sicura.
Spesso sono le modalità del delitto che producono un effetto mediatico. In particolare l’idea, tipica di una visione egemonica della cultura osservante, che la causa del delitto sia l’appartenenza ad una cultura “altra”. Cioè l’effetto mediatico viene amplificato dalla matrice agro-pastorale, vista per tradizione in antitesi ad una cultura cittadina, borghese e industriale. Un marchio di superiorità della cultura egemone, la stessa che troviamo in tutti gli alti contesti in cui essa usa i riflessi mediatici per assoggettare categorie di persone, si pensi agli immigrati o alle minoranze etniche, e renderli più ricattabili.
Tanto è vero che, a furia di diffondere queste notizie allarmanti, ci siamo convinti di vivere in un paese insicuro. Niente di più falso, l’Italia, statistiche alla mano, è uno dei paesi più sicuri del mondo, e questo accentua a maggior ragione il primato della Sardegna, che si trova, dunque, a posizionarsi tra le regioni più sicure in assoluto.
Questo dato positivo per l’isola è un patrimonio non solo morale, ma anche economico. Pensate solo il valore che ha la sicurezza dei cittadini per il turismo, o per gli investimenti.
Certamente occorre essere consapevoli che le statistiche, anche quando basate su dati matematici, non fotografano pienamente la realtà. Sappiamo bene da quali problematiche sociali la Sardegna è attraversata e quali siano le sacche di illegalità. Sappiamo bene che vi sono resistenze culturali, delinquenza spacciata per ribellione, illegalità spacciata per cultura alternativa.
Non di meno questa attitudine dei sardi ad esagerare i loro mali fino all’eccesso, di comune accordo con i pregiudizi di chi osserva dall’esterno, certo non aiuta il cambiamento.
Il dato positivo, piuttosto, deve spingere ancora di più non solo le istituzioni, ma l’intera società sarda, ad isolare e combattere le sacche di violenza e di illegalità che ancora resistono.
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