Come è noto da alcuni anni, le fonti di proteine per uso umano
stanno cambiando in fretta e cambieranno sempre più nei prossimi anni. La
produzione alimentare globale dovrà adattarsi alle esigenze di una popolazione
che secondo le stime toccherà i nove miliardi di individui nel 2030. In Congo
si sta per attivare la sperimentazione di un farming di insetti con una
programmazione sostenibile alle spalle, che desta un grande interesse a livello
internazionale. Lo illustra Aaron Ross, giornalista della Reuters, in un reportage da Kinshasa,
che spiega come in quella zona gli insetti siano una tradizione culinaria da
centinaia di anni: sia come street food sia prelibatezza da riservare alle
occasioni speciali. Cucinati con aglio, limone, cipolle e pepe, possono costare
anche più della carne proprio per l’elevato prezzo di acquisto. Per fare un
esempio, un chilo di grilli si paga circa 50 dollari, il doppio del manzo.
Tuttavia, nella Repubblica Democratica del Congo si consumano
circa 14.000 tonnellate di insetti ogni anno, con una media di 300 grammi a
settimana per abitante. Dal punto di vista della salute si tratta di un’ottima
abitudine, dal momento che gli insetti, com’è ormai noto, rappresentano una
eccellente fonte di proteine alternative alla carne e offrono anche sali,
vitamine e fibre. Ma in Congo (dove tuttora in alcune zone da anni è in corso
una guerra civile che prosegue a bassa intensità), tutti gli insetti o quasi
vengono raccolti a mano nella boscaglia, in base alle disponibilità stagionali,
e solo raramente allevati in piccolissime aziende. Per questo costano molto.
La FAO, insieme con alcuni ministeri locali, ha deciso
di avviare un progetto di allevamento industriale di grilli e bruchi e di
affidarlo a 200 persone in diverse fattorie, quasi tutte donne debitamente
formate. In parallelo verrà fondato un istituto nazionale per gli insetti
commestibili da raccogliere e da allevare in maniera sostenibile, e saranno
emanate norme generali per la raccolta. L’iniziativa dovrebbe assicurare
sviluppo a basso impatto ambientale: mettere su un allevamento costa poco.
Inoltre, dovrebbe contribuire in maniera importante ad abbattere la
malnutrizione ancora diffusa nel Paese, grazie alla maggiore disponibilità di
materia prima e alla diminuzione dei prezzi al consumo.
Gli insetti sono stati
anche tra i protagonisti del meeting annuale organizzato
dall’Institute
of Food Technologies di Chicago dedicato ai cibi di domani.
Oltre ad essi, due sono le fonti considerate più promettenti: le alghe e la
quinoa, insieme ai legumi. Le prime, come hanno ricordato alcuni ricercatori al
congresso, sono ben accette dai consumatori, che sono pronti a farle entrare
nei propri menu. Esse contengono, in media, il 63% di proteine, il 15% di
fibre, l’11% di lipidi (tra i quali molti buoni anche per il cuore), il 4% di
carboidrati, il 4% di micronutrienti (minerali e vitamine) e il 3% di altre
sostanze facili da digerire. Si trovano già in alcune cucine nazionali, mentre
in commercio, in vari Paesi, sono già disponibili centinaia di prodotti tra i
quali barrette, succhi salse e dressing, simil-cereali e prodotti da forno. Le
alghe sono facili da coltivare e hanno un basso impatto ambientale; in più, le
specie note sono oltre mille, e questo amplia molto le possibilità, tanto dal
punto di vista nutrizionale quanto da quello delle possibili combinazioni di
prodotti.
La quinoa, invece, è una pianta originaria delle Ande e usata da millenni dalle
popolazioni locali soprattutto di Perù e Bolivia. Attualmente in commercio ci
sono già oltre 1.400 prodotti a base di quinoa in tutto il mondo, e il loro
numero è destinato a crescere. Anche in questo caso si tratta di proteine
nobili e a basso impatto. Infine si è parlato dei legumi, la carne dei
vegetariani da sempre, anche perché privi di allergeni e di glutine e coltivati
con basso impatto ambientale.
Chi è troppo affezionato ai gusti tradizionali o, peggio, al junk food,
dovrà probabilmente rivedere le proprie abitudini molto presto. Per farlo senza
troppa fatica, dovrebbe sempre pensare che queste novità potrebbero far bene
alla salute e al pianeta.
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