Una persona per vivere ha bisogno di
cibo costituito da sostanze chimiche che vengono in parte bruciate all’interno
dell’organismo, liberando l’energia necessaria per il lavoro fisico, muscolare
e per le funzioni vitali, e che in parte servono a “rimpiazzare” le proteine
che vengono consumate durante il lavoro biologico. Il fabbisogno alimentare
giornaliero è soddisfatto con circa 3.000 chilocalorie e
circa 70 grammi di proteine al giorno, di cui circa 40 di origine vegetale
(cereali, legumi) e circa 30 di origine animale (delle uova, della carne, del
latte, eccetera). Inoltre occorrono altre sostanze come sali minerali (almeno
circa 5 grammi di cloruro sodico, il sale comune, al giorno) e poi vitamine,
ormoni e alcune sostanze minori. E poi occorre acqua, almeno circa due litri al giorno con
un contenuto salino che non deve superare 1 grammo di sali totali per litro.
Più o meno, per persona, 500-600 chili di carboidrati e grassi, 15 chili di
proteine vegetali, 10 chili di proteine animali, 2 chili di sale e 700 litri di
acqua potabile all’anno.
La grande esposizione universale Expo 2015 che sarà aperta a
Milano da maggio a ottobre dell’anno venturo ha scelto come tema: ”Nutrire il pianeta. Energia per
la vita”. Un bel tema perché il problema di come
nutrire una popolazione terrestre di oltre sette miliardi di persone, che
aumenteranno, nei prossimi decenni, di circa 50-60 milioni all’anno, è il più
grande con cui dovranno confrontarsi governanti e scienziati per molti decenni
futuri. “Dove troveremo tutto il pane/per
sfamare tanta gente?”, sono i versi di una famosa canzone
scout che riassume la dimensione di tale problema.
Se si somma il contenuto energetico e i
chili di proteine presenti in tutti i prodotti alimentari vegetali (cereali,
semi oleosi, grassi, verdure, zucchero, eccetera) e animali (latte, carne,
uova, eccetera) forniti dall’agricoltura e dalla zootecnia del pianeta, e si
dividono questi valori per il numero di terrestri, si vede che ogni persona avrebbe a disposizione
circa il doppio del fabbisogno per vivere.
Il cibo arriva sulla tavola dopo un lungo cammino che comincia nei campi dove
le piante elaborano, con l’energia solare, semi, tuberi, frutti, verdure
appositamente coltivati a fini alimentari.
Una parte degli alimenti vegetali viene destinata
all’alimentazione degli animali da allevamento, oltre un miliardo di bovini,
suini, pollame che trasformano i prodotti vegetali in carne e latte e
uova, contenenti proteine pregiate dotate di un valore nutritivo maggiore di
quello delle proteine di origine vegetale. Con forti perdite, però, perché
occorrono da 5 a 10 unità di valore alimentare vegetale per produrre appena una
unità di valore alimentare animale pregiato. Inoltre in gran parte i prodotti dell’agricoltura e
della zootecnia vengono trasportati, spesso a distanza di migliaia di
chilometri, e poi trasformati, conservati, inscatolati
dall’industria agroalimentare con perdite di sostanze preziose dal punto di
vista nutritivo.
Purtroppo, però, tutte le ricchezze alimentari offerte
dalla natura sono
disponibili in maniera molto disuguale fra i diversi
paesi e popoli. A circa un miliardo di
terrestri arriva una frazione insufficiente per vivere una vita sana o
addirittura per sopravvivere, perché una parte dei prodotti agricoli locali va
perduta per attacco di parassiti e mancanza di tecniche di conservazione e una
parte viene dirottata, dai grandi proprietari terrieri, verso i più redditizi
allevamenti zootecnici o verso la produzione di carburanti “ecologici”; hanno ragione coloro che sostengono che il mais viene
tolto di bocca ai poveri affamati per far correre i “suv” dei paesi ricchi.
Nello
stesso tempo nei paesi industrializzati e ricchi, con circa due miliardi di
abitanti, molti si ammalano perché mangiano troppo e di tutto il cibo che entra
nelle famiglie, nei ristoranti, nelle mense delle comunità, circa un quarto va perduto come rifiuti nelle
discariche. Sono vissuto in un tempo in cui si raccontava ai bambini l’ingenua
favoletta di Gesù che scendeva da cavallo per raccogliere una briciola di pane
caduta per terra. Oggi la massa di perdite e di sprechi del ciclo alimentare ammonta
nel mondo ad alcuni miliardi di tonnellate all’anno, uno
scandalo. Un anno fa, il 9 dicembre 2013, il Papa Francesco ha invitato le
istituzioni e ciascuno di noi “a dare voce a tutte le persone che soffrono
silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado si
scuotere il mondo”. Un ruggito, capite?
E ha continuato invitando a “diventare più consapevoli nelle nostre scelte
alimentari, che spesso comportano lo spreco di cibo e un cattivo
uso delle risorse a nostra disposizione”. Una denuncia che ha continuato anche
tutto quest’anno, anche nell’intervento, pochi giorni fa, alla
conferenza internazionale sulla nutrizione, spiegando che “la
lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla priorità del
mercato e dalla preminenza del guadagno che hanno ridotto il cibo ad una merce
qualsiasi soggetta a speculazioni anche finanziarie”.
C’è da augurarsi che la esposizione di
Milano contribuisca a far conoscere nuove strade con cui “nutrire il pianeta”, e non solo la parte ricca e opulenta, a incoraggiare una agricoltura basata sulla
solidarietà e nuovi rapporti economici internazionali, a indicare come è
possibile usare l’”energia per la vita”. Un ruolo importante
avrebbero anche le Università e una ricerca scientifica orientata a riconoscere
dove si trovano gli sprechi, come è possibile trasformare lo scarto in ricchezza, come
è possibile trarre cibo di buon valore alimentare da sottoprodotti o da piante
finora trascurate, come sviluppare una “tecnologia della carità”.
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