Antonio Cangialosi ho ventotto anni ed è un contadino. Da alcuni anni cura
un agrumeto di circa tre ettari e un uliveto altrettanto grande. La sua piccola
azienda familiare si trova nella campagna intorno a Palermo e produce arance,
mandarini, mandaranci, limoni, cedri e un ottimo olio extra vergine d’oliva. Da
un paio d’anni ha inserito tra i suoi prodotti marmellate di arance, miele di
zagara e liquori di agrumi. La sua esperienza, come molte altre che non trovano
spazio all’Expo, dimostra almeno un paio di cose: è possibile restituire
dignità al mestiere del contadino, è possibile rifiutare la dittatura
dell’agricoltura industriale. Abbiamo incontrato Antonio per ragionare dei temi
della terra.
Antonio, come e perché ha scelto di vivere coltivando
la terra?
L’azienda agricola, che gestisco insieme a mio fratello, dal punto di vista
formale è nata cinque anni fa, ma in realtà calpestiamo quel suolo praticamente
da sempre. Quella terra è un dono che ci è stato ereditato. Sin da piccoli
alternavamo piacevoli ore di lavoro in campagna con impegni di studio. Ci siamo
ritrovati grandi e col desiderio maturato negli anni di fare del nostro hobby
un vero e proprio mestiere.
Nel 2010 abbiamo cercato di mettere in piedi una vera attività agricola di
collina a conduzione familiare. Principalmente siamo io e mio fratello che ci
lavoriamo, ma in alcuni momenti anche mio padre, parenti e amici. Ci danno una
mano soprattutto nella fase della raccolta. Questa attività è nata pezzo dopo
pezzo attraverso piccoli tentativi, esperimenti, grazie soprattutto alla
curiosità di provare a capire come si può vivere coltivando la terra. Non nego che la prima
fase ha riservato alcune difficoltà: passare dai libri alla terra, inghippi
burocratici, difficoltà nell’avvicinare la gente al buon cibo… In questo
momento, nonostante le difficoltà siano sempre presenti, possiamo dire che
stiamo riuscendo nei nostri intenti ed è pure divertente. È un lavoro duro, si torna a casa
stanchi e si dedicano altre ore alla vendita a km0 dei prodotti nel
nostro piccolo punto vendita in paese. Altre ore vengono destinate alla comunicazione, cioè e-mail, social
network, pubblicità, etc. Altre vengono impiegate per la sistemazione dei pacchi da spedire, dando così la
possibilità a chiunque di acquistare prodotti genuini, dall’albero alla tavola.
Quindi il lavoro c’è ed è anche tanto, ma cerco di ridurre il più possibile il
livello di alienazione. E posso dire che è una cosa che mi appaga. È un processo in
continuo divenire.
Perchè è importante tornare alla terra?
Noto che dalle nostre parti, da alcuni anni, c’è per fortuna una piccola
realtà di giovani che vorrebbe impegnarsi in questo settore e che sembra voglia
espandersi sempre più. Si sta riscoprendo il valore della terra. Di certo è una
realtà che stenta a decollare, ma comunque è già importante che si stia facendo
spazio nel sociale. Il ritorno alla terra non è da sottovalutare, anzi. L’attività
agricola può rappresentare un modello alternativo. La terra è una risorsa
importante perchè è lei che ricuce i rapporti tra territorio e comunità, le
relazioni, le conoscenze, il recupero di saperi, le tradizioni. Oggi la gente inizia a pensare che la strada sia in progetti come il nostro. Ciò ci inorgoglisce.
relazioni, le conoscenze, il recupero di saperi, le tradizioni. Oggi la gente inizia a pensare che la strada sia in progetti come il nostro. Ciò ci inorgoglisce.
Perchè occuparsi della difesa del suolo è divenuta
oggi una priorità?
Oggi le policolture
sono minacciate dalle monocolture industriali. Le colture intensive avvengono a ritmi
spaventosi. La negatività delle colture intensive sta principalmente nel trarre
profitto ad ogni costo. Non a caso, pur di lucrare, le grandi aziende tendono a
sfruttare al massimo il suolo, i mezzi, il personale e tutto ciò di cui
necessita una coltivazione intensiva. Le conseguenze sono note: cattive paghe,
usi sproporzionati di carburante, uso massivo di pesticidi, anticrittogamici,
fitofarmaci, insetticidi. È la chimica che fa il gioco purtroppo, col suo malefico
ausilio si può annualmente ottenere una produzione standard. Ma sopperire le
mancanze con la chimica porterà la natura a depauperarsi. Infatti, riproponendo
questi metodi anno dopo anno il suolo, le piante e i prodotti stessi verranno
denaturati. Perderanno le loro fisiologiche proprietà. Isde Italia, ad esempio, ha reso
pubblica la sua posizione sui rischi ambientali e sanitari generati dall’uso di
pesticidi. Nel documento vengono presentate numerose informazioni che
evidenziano le criticità delle pratiche agroindustriali dannose per la salute
dell’uomo, degli animali e degli ecosistemi. Mi riferisco alla contaminazione
chimica del suolo, dell’acqua, dell’aria e degli alimenti. È un documento che a
mio avviso dovrebbero leggere tutti. Essendo stato uno scout non posso
dimenticare le parole del fondatore Baden Powell: “Lascia il mondo un po’
migliore di come l’hai trovato“. La difesa del suolo è una priorità
perchè se tratti bene la terra lei ricambierà nel migliore dei modi. Coltivare
con metodi biologici, prendersi cura della salute del terreno è un po’ come
difendere l’equilibrio del cosmo.
Come fate quindi a difendere i vostri raccolti da
possibili attacchi?
Gli agrumi sono dei frutti resistenti. La buccia, spessa
e grezza, consente di proteggere al meglio il frutto dagli attacchi. Di
conseguenza il produttore, se vuole, non è costretto a far uso della chimica. Capita però che
l’agrumeto venga infestato dalla presenza di un numero massiccio di afidi e
cocciniglie, insetti visibili anche ad occhio nudo che si raggruppano
solitamente sulla pagina inferiore delle giovani foglie. Succhiano la linfa
delle piante provocandone un generale deperimento. Per affrontare questo
problema utilizziamo un metodo naturale, l’olio extra vergine d’oliva. L’olio,
distribuito nelle foglie, riesce a soffocare gli insetti sopprimendoli. Per
altri casi utilizziamo anche rame e zolfo, fungicidi naturali che,
se utilizzati in giuste dosi, sono consentiti in agricoltura biologica.
se utilizzati in giuste dosi, sono consentiti in agricoltura biologica.
Quale potrebbe essere a tuo avviso un sistema di
produzione e di distribuzione ideale?
Mi piace pensare che un giorno si potrà tornare ad una
produzione e ad una distribuzione locale, il famoso km0. E mi piace pensare
che un giorno le produzioni industriali cesseranno di esistere. Una piccola
azienda non ti obbliga ai ritmi frenetici di cui necessita una mega azienda. Si
sa, le grandi aziende sono spesso strozzate dai costi e da un’organizzazione
troppo macchinosa, con tempi e ritmi rigidissimi dettati dalle dure leggi di
mercato, per non parlare dell’uso sproporzionato di concimi chimici. Invece,
tante piccole aziende possono agire nel rispetto della terra e dell’uomo con
giuste ore di lavoro, adeguate tecniche di potatura, di concimazione, di
irrigazione e di raccolta.
Sarebbe bello vedere un giorno il contadino entrare
nuovamente in città attraverso i mercati di vendita diretta, mettendo così in
evidenza la trasparenza del prezzo, il valore del lavoro e la qualità del
prodotto. Quella della vendita diretta, negli spacci, nei mercatini, attraverso i
Gas, non è solo un’alternativa critica alla grande distribuzione, ma resta
prima di tutto un modo diverso per creare e difendere le relazioni tra persone.
Bisogna ripensare l’agricoltura e il nostro rapporto con il cibo. Le dinamiche
commerciali odierne, ahimè, obbligano ad attivare anche dei metodi di
distribuzione ad ampio raggio. Noi ad esempio diamo l’opportunità al
consumatore di acquistare i nostri prodotti da ogni parte d’Italia e farseli
recapitare nelle proprie case in breve tempo. Unici aspetti positivi: diamo la
possibilità a tutti di mangiare prodotti sani e sicuri; in tal modo eliminiamo
i vari passaggi degli intermediari, i quali non fanno altro che far lievitare i
prezzi e la tempestica tra raccolta e consumazione.
È possibile secondo te un’agricoltura differente che
preservi l’agricoltura tradizionale, l’uso delle sementi antiche e che rispetti
i ritmi naturali considerando l’aumento della richiesta di cibo?
Per quanto riguarda la questione dei semi posso parlarti della mia
esperienza. Parte dell’azienda è destinata a un piccolo orto per il fabbisogno
familiare. Grazie alla passione per la campagna di mio nonno e di mio padre,
oggi, io e mio fratello,disponiamo di sementi antiche di varietà non più
esistenti in commercio: pomodoro, zucchina siciliana, fava, cetriolo, cipolla,
aglio. Ho ereditato una grande ricchezza. Purtroppo alcuni semi di altri ortaggi
sono andati persi nel tempo. Ciò ci obbliga ad acquistare sementi o piantine
direttamente dai vivaisti che commercializzano semi ibridi. Qui si apre un
capitolo immenso sull’origine dei semi, le modifiche apportate, le
certificazioni, i brevetti, le multinazionali. Argomenti che non possono essere
riassunti o trattati superficialmente. Aggiungo solo che oggi i circuiti di scambio
dei semi hanno un’importanza fondamentale, perchè offrono l’opportunità di
scambiare varietà di semi poco conosciute. I semi sono un patrimonio
dell’umanità. Difendere i semi significa difendere la biodiversità, ecco perchè
dobbiamo conservarli con cura e scambiarli. Mi piace pensare che in futuro di
circuiti di scambio potranno essercene di più, distribuiti in tutto il
territorio nazionale, perchè la libertà di scambiare le sementi antiche è un
diritto naturale. La terra ci offre doni che dobbiamo condividere con gli
altri.
Ci era stato detto che gli Ogm avrebbero salvato il
mondo dalla fame facendo aumentare i raccolti, diminuendo l’uso
dei pesticidi, mettendo in circolo piante in grado di resistere alle condizioni
climatiche, e invece? Cosa ne pensi dell’inquinamento genetico che ne deriva?
Le promesse fatte sono inganni. Solo e semplicemente inganni. Interessi di
multinazionali impavide pronte a tutto pur di lucrare. Quella degli Ogm è una
macchina formidabile e in continua espansione che promette di nutrire il
pianeta mentre nella realtà riproduce una struttura di spreco e di ingiustizia.
Si sa, le multinazionali sono divenute così potenti da condizionare persino le
scelte istituzionali, a discapito di piccoli e medi agricoltori, dei cittadini consumatori e
persino dell’ambiente. L’uomo è riuscito a brevettare il bene comune più
prezioso, il seme. È riuscito a modificarne la genetica, a renderlo proprio al
fine di commercializzarlo, mettendo a rischio la fertilità del suolo, della
falde idriche, dell’atmosfera e della salute umana. Non si può pensare di
modificare la terra all’infinito, scavare montagne in eterno, cementificare
tutto. Sulla terra non si può lucrare per sempre. Tutto questo un giorno si
rivolterà contro.
Cosa possiamo contribuire per tutelare il futuro del
suolo e per limitare il più possibile il collasso ambientale che si è
già innescato?
Bisogna credere nella buona agricoltura e cercare di avvicinare quanta più
gente possibile al rispetto dell’ambiente. Siete voi consumatori ad avere
potere decisionale. Bisognerebbe ridurre o ancor meglio eliminare la
cultura dell’usa e getta e del consumo senza qualità e consapevolezza. Quella del
consumismo è una logica che si è imposta nel tempo e che ha influenzato
negativamente la salute dei consumatori. Ricordiamo sempre che noi siamo quel
che mangiamo.
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