Vivo in una delle centinaia di piccole città abbarbicate sulle colline dell’interno della nostra penisola che un tempo rappresentavano la vera ricchezza del nostro paese, il tratto distintivo che caratterizzava la cultura e la civiltà italiane.
Devo dire che vivere in questi luoghi diventa sempre
più difficile sia dal punto di vista economico – sociale sia per quanto
riguarda la condizione psicologica piuttosto complessa che, come un’epidemia,
sta interessando migliaia di persone, soprattutto tra la popolazione giovanile.
Infatti, lo spunto principale per scrivere questo
articolo è venuto proprio dalla chiacchierata che mi sono fatto di recente con
un mio ex alunno, diplomatosi da poco e alla ricerca di un posto di lavoro
temporaneo, nel suo caso si trattava di un colloquio sostenuto con il titolare
di un grosso bar del centro di Nuoro, una delle piccole città dell’interno di
cui si parlava in precedenza, in questo caso isola nell’isola essendo collocata
nel Centro Sardegna, un territorio che sta, gradualmente per essere abbandonato
dai suoi abitanti alla ricerca di lavoro e di migliori condizioni di vita.
Tornando al dialogo con il mio ex alunno, devo
confessare che esso ha provocato in me una profonda tristezza che ho faticato
non poco a cacciare via. In sostanza Antonio, nome di fantasia ovviamente, mi
ha detto che la sua principale ambizione è “scappare a gambe levate” da Nuoro,
ho citato alla lettera perché tale affermazione non mi ha sorpreso avendola
ascoltata già da tanti altri giovani nuoresi, piuttosto la malinconia dalla
quale sono stato assalito, dopo aver ascoltato quelle parole, è venuta fuori da
una mia riflessione successiva e cioè: com’è possibile che un ragazzo di
vent’anni provi tanto astio nei confronti del luogo che, in fin dei conti, lo
ha formato e lo ha fatto diventare un giovane uomo.
Infatti, nelle sue parole non c’è stato nessun momento
in cui ho avuto la soddisfazione di sentire che so, “certo a Nuoro non c’è
niente però ci sono cresciuto e ho fatto le mie prime esperienze importanti di
vita e quindi sono molto affezionata ad essa”.
Non vorrei essere frainteso, capisco benissimo cosa
voleva dire Antonio, nelle sue parole non dette si evidenziava la rabbia per
essere nato in una cittadina e in una regione che lo stavano costringendo ad
una forma di sradicamento molto dura, non semplice da metabolizzare. Purtroppo
questa è la realtà che sta interessando non solo il centro Sardegna bensì tutte
le zone interne del nostro paese, si assiste ad una fuga verso le grandi città
che continuano ad ingrossarsi, a diventare delle mostruose megalopoli cupe e
inquinate dove milioni di persone vivono i loro affanni ammassati uno addosso
all’altro e in condizioni di vita piuttosto precarie e forse con un tasso di
solitudine percepita superiore a quando vivevano nei loro piccoli paesi
d’origine.
Mi rendo conto che fare una passeggiata per le strade
di Nuoro, soprattutto in alcuni giorni della settimana e durante alcune ore può
essere un’esperienza piuttosto deprimente, ma avrei voluto dire ad Antonio che
fare la stessa passeggiata in una grande città del nord, in mezzo a migliaia di
persone che manco ti vedono può essere altrettanto deprimente, se non di più.
Insomma, io credo che lo spopolamento e la
desertificazione culturale e sociale delle zone interne non sia un evento
ineluttabile, credo piuttosto che, come sempre, almeno per quanto riguarda la
realtà italiana, la scomparsa di una classe politica dignitosa e all’altezza
della situazione abbiano portato a delle scelte scellerate che hanno, se non
altro, contribuito in maniera determinante a disperdere un immenso patrimonio
socio – culturale che si era sviluppato faticosamente nei nostri piccoli borghi
in cambio di una crescita tumultuosa di alcune grandi città sempre più sporche
e sempre più invivibili.
Quando faccio questi discorsi, io che non sono nemmeno
nuorese, o meglio sono un nuorese acquisito, mi sento rispondere che se la
gente va via non si può pretendere di tenere in piedi scuole, ospedali, banche
e uffici postali.
A queste osservazioni è facile rispondere con una
domanda semplice semplice: ma non sarà proprio perché chiudiamo tutto che la
gente scappa? Insomma Nuoro, il Centro Sardegna, le zone interne dell’Italia
tutta, si stanno svuotando a causa di una precisa e scellerata scelta politica
che risponde alle esigenze predatorie del tecnocapitalismo dominante in questi
ultimi decenni.
Pensate che il nesso proposto sia la solita forzatura
di un veteromarxista incallito? Non credo proprio e cerco di spiegarvelo. Il
tecnocapitalismo trova terreno fertile in pochi poli urbani nei quali si
concentrano le attività economico – sociali, questo perché all’interno di
questi poli che stanno diventando vere e proprie “megalopoli” si trovano
infrastrutture tecnologiche, università, startup e grandi aziende. Le zone
interne che sono sprovviste di questi strumenti diventano quindi sempre più
marginali.
L’automazione tipica della produzione
tecnocapitalista, riduce, se non spazza via completamente, il lavoro agricolo e
artigianale. Le nuove professioni digitali richiedono competenze che si trovano
molto più facilmente nei centri urbani.
La voracità tecnocapitalista per raggiungere i propri
scopi, con la sua potenza, smantella le reti locali per favorire le piattaforme
globali, in questo modo, per esempio, Amazon rimpiazza i negozi, Airbnb gli
alberghi famigliari. È ovvio che questo processo scellerato sottrae ricchezza e
autonomia economica alle comunità locali.
Teoricamente il ripopolamento delle zone interne
potrebbe essere favorito dal lavoro da remoto, ma tutto ciò richiede
infrastrutture digitali e importanti investimenti economici che la nostra miope
classe politica non vede e non è capace di mettere in atto nelle zone interne.
Bisogna dire che alcune zone interne sono state
“salvate” dal turismo legato a piattaforme digitali, ma il rischio è che questa
prassi dia vita a un’economia dipendente e stagionale incapace d’invertire la
tendenza allo spopolamento.
Dunque hanno ragione i nostri pseudopolitici? Per le
zone interne il processo di spopolamento e dunque la fine di centinaia di
comunità che hanno prodotto cultura e civiltà è irreversibile? Assolutamente
no, a patto che, come abbiamo detto e ripetuto tante volte sulle pagine di
questo giornale, ci sia una reale volontà politica dei nostri amministratori,
di fare che?
Investimenti pubblici in connessioni digitali e servizi
di base necessari al corretto funzionamento dell’intera rete locale; Interventi
politici finalizzati ad attrarre nomadi digitali e giovani imprenditori;
potenziare le reti di economia solidale e circolare fondate su tecnologie
adeguate alle esigenze delle comunità locali; Promuovere, finalmente, l’uso
sociale della tecnologia come nel caso, ad esempio, delle cooperative digitali.
"Quando si torna a stare in un piccolo centro, dopo la grande città, ci si convince che lì sarà tutto più facile e gestibile, quasi come se la gente si fosse radunata e avesse deciso di «giocare alla vita di paese». Si arriva a credere che in un posto così non possa morire nessuno". (Alice Munro)
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