Oggi, in quella rinomata cittadella della libertà di espressione e della libertà di stampa che è stato il Regno Unito, se professi il tuo sostegno alla resistenza palestinese puoi essere arrestato e incarcerato, il tuo cellulare e il tuo PC possono essere confiscati e la tua casa devastata dalla polizia in assetto d’assalto; puoi addirittura perdere il tuo posto di lavoro ed essere espulso dal Paese.
Non era così
in passato. Persino Karl Marx, benché strettamente sorvegliato dalla
polizia, godette pienamente della libertà di espressione e di stampa mentre
risiedeva a Londra dal 1849 fino alla sua morte nel 1883. Non solo poté far
stampare il suo Manifesto del Partito Comunista (che invocava
una rivolta armata), ma fu anche libero di distribuire il suo controverso
saggio Sulla questione ebraica – un testo che, pur rispettando
l’ebraismo etnico, fustiga duramente l’ebraismo economico, o “sionismo” come
diremmo oggi.
Bei tempi
passati. Oggi nel Regno Unito criticare il sionismo o proclamare sostegno
alla rivolta armata palestinese viene accolto con una feroce repressione.
Prendiamo il caso dei giornalisti pro-pal.
La lunga
mano della lobby sionista e l’intimidazione dei giornalisti
Cosa
s’intende per “lobby sionista”? Il “sionismo”, originariamente un movimento
identitario e nazionalistico che rivendicava una patria per gli ebrei, oggi si
è trasformato in “imperialismo fideistico”, cioè nella difesa del “diritto
divino” di Israele ad occupare non solo le terre originariamente sottratte ai
palestinesi, ma anche altri territori limitrofi, che si estendono fino al fiume
Giordano e addirittura all’Eufrate. Chiunque abbia questa convinzione è
un “sionista”, ebreo o non ebreo che sia. Ad esempio, i cristiani
sionisti evangelici negli Stati Uniti desiderano una “Grande Israele” come
presagio del ritorno di Cristo. Pertanto, il termine “lobby sionista” indica oggi
una rete di sionisti, in uno o più Paesi, che cercano di favorire l’espansione
territoriale di uno Stato ebraico integralista. Un ultimo punto: l’antisionismo (la
posizione etico-politica – perfettamente legittima – che condanna
l’espansionismo israeliano a scapito di altri popoli) non deve essere confuso
con l’antisemitismo (l’ostilità vile e razzista verso gli ebrei
come gruppo etnico). Cercare di equiparare le due cose è semplicemente un
tentativo disonesto di screditare le critiche all’imperialismo fideistico
israeliano.
Il 16
ottobre 2023, il giornalista britannico Craig Murray, attivista
filo-palestinese ed ex diplomatico del Regno Unito, è stato arrestato dalla polizia
antiterrorismo all’aeroporto di Glasgow, di ritorno da un incontro con lo staff di
WikiLeaks in Islanda. Gli sono stati sequestrati il PC e il cellulare e
ha dovuto subire un interrogatorio di un’ora – e riguardante non solo i suoi
legami con WikiLeaks. Infatti, la polizia – forse informata dalla lobby
sionista del Regno Unito, che tiene d’occhio ogni spostamento di attivisti come
Murray – era ben consapevole che il giornalista aveva partecipato a una
manifestazione pro-palestinese mentre si trovava in Islanda e gli agenti
volevano sapere cosa fosse stato detto in quell’occasione. “Non ne ho idea, non
parlo islandese, ho semplicemente partecipato alla manifestazione per
solidarietà”, ha risposto Murray, con grande disappunto degli agenti, che alla
fine hanno dovuto rilasciarlo – senza i suoi dispositivi elettronici, però.
Il 15 agosto
2024, la polizia ha arrestato il
giornalista filopalestinese Richard Medhurst al suo arrivo all’aeroporto
londinese di Heathrow, apparentemente a causa dei suoi servizi a favore della
resistenza palestinese, considerati “apologia (sostegno) del terrorismo”.
Gettato in cella per 15 ore, Medhurst ha dovuto dormire – semisvestito – su un
freddo blocco di cemento. Alla fine il giornalista è stato rilasciato, ma con
l’obbligo di presentarsi a una stazione di polizia tre mesi dopo e con
l’avvertimento di fare attenzione, nel frattempo, a ciò che avrebbe scritto.
Due
settimane dopo, il 29 agosto 2024, all’alba, la polizia in tenuta
antisommossa ha fatto irruzione nella
casa della
giornalista e attivista filopalestinese Sarah Wilkinson, mettendo a soqquadro
ogni stanza e confiscando il suo passaporto e i suoi dispositivi
elettronici. Con irriverente crudeltà, gli agenti hanno persino sparso
sul pavimento e calpestato le ceneri della madre, che Sarah conservava in
un’urna sigillata su una mensola. Messa agli arresti domiciliari per
sospetto sostegno al terrorismo, la 61enne non ha potuto nemmeno andare in
farmacia a comprare le medicine di cui aveva bisogno. Essendole stato sottratto
il suo telefono cellulare e non potendo uscire di casa, non ha potuto nemmeno
chiedere ai vicini di farlo per lei. Ora rischia un massimo di 14 anni di
carcere. Il suo crimine? Gli articoli che ha scritto a favore della
resistenza palestinese. “Vogliono instillare la paura”, ha detto, “per farmi smettere
di denunciare il genocidio a Gaza; ma non ci riusciranno”.
Poi, il 17
ottobre 2024, all’alba, la polizia antiterrorismo ha fatto irruzione nella casa del noto giornalista Asa
Winstanley, vice caporedattore di Electronic Intifada. Il suo
telefono cellulare, il suo PC e altri dispositivi elettronici sono stati
confiscati e, durante la perquisizione, il giornalista è stato continuamente
intimidito. Anche in questo caso, il suo “reato” sarebbero i suoi scritti
a favore della resistenza palestinese, scritti che qualcuno evidentemente ha
denunciato alla polizia come apologia del terrorismo. Ed è facile
immaginare chi poteva essere quella persona e quale potente lobby l’avesse
incoraggiata a setacciare ogni parola degli articoli di Winstanley per trovare
affermazioni che potessero farlo arrestare.
Questi e
altri esempi di azioni repressive contro giornalisti ed attivisti
filo-palestinesi nel Regno Unito sono stati denunciati in un rapporto che non lascia scampo, redatto dalle Nazioni Unite e reso
pubblico una settimana fa (5/2/2025). Il rapporto era stato inviato in
via confidenziale al Primo Ministro Starmer lo scorso 4 dicembre, con la
richiesta di un riscontro entro 60 giorni; trascorso tale periodo senza alcuna
risposta da parte di Starmer, gli autori del rapporto – quattro Relatori
Speciali delle Nazioni Unite – hanno ora scelto di rivelarne il
contenuto. “Le disposizioni del Terrorism Act 2000, del Terrorism Act
2006 e dell’Anti-Terrorism and Border Security Act 2019,” scrivono i quattro
Relatori, “sembrano essere state utilizzate per indagare, detenere, raccogliere
dati e perseguire attivisti politici e giornalisti, sollevando preoccupazioni
per le potenziali violazioni dei loro diritti fondamentali”.
La
strumentalizzazione delle leggi contro il terrorismo
Infatti, gli
abusi sopra descritti – ed altri ancora, che il rapporto ONU elenca – sono
stati resi possibili da una legge antiterrorismo draconiana che risale al
2000, il Terrorism Act. In particolare, la sezione 12
criminalizza qualsiasi tipo di sostegno fornito a un’organizzazione proibita e
qualsiasi espressione pubblica di simpatia per tale organizzazione.
La legge
elenca, poi, le organizzazioni proibite che non possono essere aiutate e di cui
non si può nemmeno parlare in modo favorevole. La maggior parte sono veri
e propri gruppi terroristici, come al-Qaida e ISIS (nei Paesi musulmani), Boko
Haram (in Nigeria), al Shabaab (in Somalia) e le Tigri Tamil (in Sri Lanka).
Ma nel 2019
e poi nel 2021, su pressione della potente lobby sionista nel Regno Unito,
l’elenco delle organizzazioni proibite è stato ampliato per includere i due
gruppi armati che si oppongono all’occupazione israeliana delle loro
terre. Uno di essi è Hezbollah, la resistenza armata creata nel 1982 per
respingere l’esercito israeliano che aveva invaso e stava occupando il
Libano. L’altro è Hamas, la resistenza armata creata nel 1987 per
cacciare l’esercito israeliano che occupava Gaza.
Vale la pena
notare che né l’uno né l’altro di questi due gruppi era attivo o esisteva prima dell’invasione
e dell’occupazione israeliana delle loro terre. Inoltre, nessuno dei due
ha mai cercato di occupare e di dominare territori israeliani.
Entrambi sono semplicemente forze difensive che cercano di scacciare le truppe
straniere, segnatamente l’IDF, che occupano la loro terra.
In questo senso, possono essere paragonati ai partigiani cinesi, guidati da Mao
Tse-Tung, che cacciarono gli occupanti giapponesi e fondarono la Repubblica
Popolare Cinese.
Alla luce di
tutto ciò, è palesemente pretestuoso designare Hezbollah e Hamas come
organizzazioni “terroristiche”, soprattutto dal momento che la 20a Assemblea
Generale delle Nazioni Unite (1965) ha legittimato “la lotta
[armata] dei popoli sotto il dominio coloniale… per l’autodeterminazione e
l’indipendenza”. Naturalmente, la lotta per cacciare una forza straniera
occupante non autorizza i resistenti a commettere crimini di guerra o crimini
contro l’umanità; se ne commettono, devono risponderne davanti ad un
tribunale. Molte delle atrocità attribuite a Hamas il 7 ottobre 2024
(come la mai verificata “decapitazione di bambini”) si
sono rivelate solo propaganda israeliana, ma altre, invece, sono documentate e
andrebbero sanzionate, a partire dalla stessa presa di ostaggi, che è un
crimine di guerra.
Dunque,
Hamas – come lo stesso Hezbollah – rimangono forze di resistenza (armata),
malgrado i delitti eventualmente commessi. Chiamarli “gruppi
terroristici” facendoli inserire in qualche lista nera come la Sezione 12 del
Terrorism Act britannico è solo uno stratagemma per demonizzarli e per impedire
che se ne parli. E’ una vecchia tattica: durante la Resistenza in Italia,
i nazisti chiamavano i partigiani italiani “banditi”, così come, durante la
Resistenza in Cina, i giapponesi chiamavano i partigiani cinesi “diavoli” – in
entrambi i casi, per alienare loro il consenso e la simpatia della
popolazione. “Terrorista” è il termine demonizzante usato oggi da Israele
per screditare le forze che si oppongono con le armi al suo espansionismo.
Conclusione
Per via
della Sezione 12 del Terrorism Act, nel Regno Unito è diventato un crimine
parlare favorevolmente di Hezbollah o di Hamas o anche semplicemente della
“resistenza palestinese”: farlo costituisce infatti la cosiddetta apologia del
terrorismo. Da qui gli arresti, le perquisizioni e le intimidazioni nei
confronti di quei giornalisti e attivisti britannici che hanno osato sostenere il
diritto dei palestinesi a liberare la propria terra, anche tramite la lotta
armata (purché venga condotta secondo il diritto bellico e le relative
convenzioni internazionali).
Ma la legge
sul terrorismo, così come è stata scritta, è estremamente ampia e vaga – a tal
punto che la polizia non potrebbe mai essere in grado di verificare tutte le
possibili violazioni dell’articolo 12; per farlo, sarebbe loro necessario
leggere tutti gli scritti di tutti i giornalisti e attivisti del Regno Unito e
soppesare le sfumature di tutte le parole che usano: un compito immane, anche
con l’aiuto dell’AI. Chiaramente, dunque, l’ondata di repressione dei
giornalisti e degli attivisti filopalestinesi attualmente in corso nel Regno
Unito, presuppone l’esistenza di una rete di “informatori” di base, in grado di
fornire alla polizia le segnalazioni di cui ha bisogno. Si tratta, molto
probabilmente, di una rete di comuni cittadini britannici – ma con spiccate
simpatie sioniste – alla quale è stato chiesto di tenere d’occhio determinati
giornalisti e attivisti filopalestinesi e di fare una segnalazione quando essi
dicono o scrivono qualcosa che possa passare per “apologia del terrorismo”,
secondo la vaga definizione della Sezione 12. Poi, chi ha reclutato
questi informatori – si tratta molto probabilmente di sionisti altolocati o
comunque influenti – può usare queste segnalazioni per indurre la polizia ad
emettere mandati di perquisizione allo scopo di accertare i fatti. Questo
stratagemma ha un duplice scopo: serve ad intimidire i giornalisti o gli
attivisti in questione e, allo stesso tempo, consente alla polizia di accedere
ai contatti privati sui loro rispettivi cellulari e a tutti i documenti
riservati presenti nei loro computer e nelle loro apparecchiature elettroniche.
Così facendo, ecco che essi risultano totalmente spiati. Non solo, ma
anche il nome di ciascun loro contatto entrerà in una data base e, quindi,
anche quella persona diventerà “schedata”.
Si tratta
solo di una pura congettura? Forse no. Un indizio dell’esistenza di una
cinica operazione di questo tipo è, come sottolinea Craig Murray, la totale assenza di interventi
della polizia nei casi in cui un giornalista o una personalità di spicco
esprime sostegno – come ormai fanno in tanti – all’organizzazione terroristica
l’HTS (Hay’at Tahrir al-Sham) in Siria. Infatti, l’HTS, benché
ufficialmente proscritto, viene ora corteggiato dall’Occidente, con il
risultato che la legge sul terrorismo sembra non esistere più nei suoi
confronti. La prova è che nessuno, dal Primo Ministro in giù, è mai stato
arrestato o perquisito per aver espresso simpatie per questa organizzazione
terroristica.
Tutto lascia
pensare, quindi, che la polizia sia stata indotta a scovare e
ad arrestare, ai sensi della Sezione 12, solo quegli individui che esprimono
simpatie per la resistenza palestinese. Indotta da chi? Verosimilmente
dalla lobby sionista che, oltre ad avere i motivi e i mezzi, è in grado di
offrire alla polizia una fitta rete di informatori.
C’è una via
d’uscita a tutto questo? Sì. Gli attivisti britannici potrebbero
intentare una causa chiedendo all’Alta Corte di stabilire che, sebbene
Hezbollah e Hamas siano effettivamente forze di resistenza armata, non sono da
considerarsi “terroristi”. Non dovrebbero quindi figurare nel Terrorism Act e
non dovrebbe essere un crimine appoggiarli.
Esiste un
precedente per una sentenza di questo tipo: la Corte d’Appello del Regno Unito
è stata recentemente in grado di bloccare il trasferimento di migranti dal
Regno Unito al Ruanda, annullando l’inclusione di quel Paese, promossa dal
governo, tra i luoghi “sicuri” per la deportazione. Allo stesso modo, la
Corte potrebbe ora annullare l’inclusione di Hezbollah e di Hamas nell’elenco
dei gruppi terroristici di cui al Terrorism Act. Questo servirebbe a porre fine
all’attuale repressione dell’attivismo filopalestinese, repressione che non fa
altro che offuscare la reputazione del Regno Unito. Anzi, la fine della
persecuzione di giornalisti e di attivisti filopalestinesi rafforzerebbe le
libertà fondamentali di espressione e di stampa nel Regno Unito. Le isole
britanniche tornerebbero a essere viste come la cittadella di queste libertà
nel mondo.
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NOTA 1: Quest’articolo
è apparso, in forma ridotta, sul mensile de L’Indipendente di febbraio 2025 (1:1, pp.
44-45) con il titolo UK: vietato difendere la resistenza palestinese.
NOTA 2:
L’autore di questo articolo, pur riconoscendo il diritto dei palestinesi a
difendersi dall’occupazione israeliana usando la forza, ritiene che solo
attraverso mezzi politici nonviolenti essi possano veramente raggiungere
l’autodeterminazione. Il ricorso alla violenza non fa che generare
altra violenza, come si è visto. Ma perché i mezzi politici nonviolenti abbiano
successo, occorre che la comunità internazionale, intervenendo, li assecondi in
massa, isolando così Israele. Se invece la guerra a Gaza e in
Cisgiordania perdura, è in gran parte a causa dell’assenteismo di noi
altri. E il legittimo diritto di Israele alla sicurezza? Come
garantirlo? Ce lo ha detto Noam Chomsky: “Il modo migliore per combattere
il terrorismo è smettere di praticarlo”.
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