I Ghats occidentali
ci hanno dato le spezie. E l’Himalaya ci ha dato amaranto, grano saraceno e una
grande varietà di altre colture nutrienti. Oggi l’India sta affrontando un’emergenza idrica e una
nutrizionale. Le due emergenze sono interconnesse. Le origini di
quella che viviamo oggi risalgono a 40-50 anni fa con i «consigli» della Banca
Mondiale e con la cosiddetta «rivoluzione verde», che ha distrutto le nostre
risorse d’acqua, il nostro suolo, la nostra biodiversità.
La canna da zucchero – chiamata IkSuka in sanscrito – si è evoluta in India, nella pianura
del Gange, dove c’è acqua abbondante. La Banca Mondiale ha imposto la
coltivazione della canna da zucchero nella regione semi arida del Deccan del
Maharashtra al posto del miglio Jowar. La regione del Deccan ha una piovosità
media di 600 mm. A causa della conformazione dei Trappi dell’altopiano del
Deccan, solo il 10% delle precipitazioni va a ricaricare le acque sotterranee
ogni anno. Siccome la canna da zucchero richiede 2.500 mm d’acqua, si è dovuto
ricorrere ad estrarre l’acqua in profondità.
La causa diretta dei pozzi secchi che vediamo oggi in Tv, risale ai
«consigli» sconsiderati della Banca Mondiale di coltivare la canna da zucchero
in un’area con scarsità d’acqua. Per far fronte all’emergenza idrica nel Maharashtra
dobbiamo riportare la coltivazione del miglio Jowar, che utilizza solo 250 mm
d’acqua e restituisce al suolo grandi quantità di materia organica, aumentando
l’umidità del suolo.
Le varietà di riso e grando tipiche della rivoluzione verde sono state
imposte nel Punjab. Le
monocolture chimiche ne hanno distrutto le terre fertili e sono anche
all’origine dell’abbandono e dell’incuria di altre terre ricche di biodiversità
del riso come Orissa e Chattisgarh.
Le varietà nane di riso e grano selezionate dalla rivoluzione verde
contribuiscono all’emergenza idrica perché richiedono dieci volte più acqua per
produrre la stessa quantità di cibo, rispetto alle varietà tradizionali. Inoltre, sono
selezionate al fine di assorbire più prodotti chimici, ed evitare il problema
dell’allettamento. Poiché le varietà nane sono coltivate in forma di
monocolture, esse violano la «Legge della Restituzione», su cui si basa la
sostenibilità. Non restituendo materia organica al suolo, diminuiscono la
capacità del suolo di trattenere l’acqua, dove solo l’1% di materia organica
nel suolo potrebbe contenere fino a 160.000 litri per ettaro.
Infine, i fertilizzanti chimici utilizzati nell’agricoltura chimica
uccidono gli organismi del suolo, il suolo vivo, che inizia a desertificarsi e
a necessitare di irrigazioni più frequenti. I sistemi agroalimentari che ci privano dei nostri
alimenti nutrienti, ci privano così anche dell’acqua. Interrompendo il ciclo
dei nutrienti, questi sistemi contribuiscono alla malnutrizione, al cambiamento
climatico e alla desertificazione. Il ciclo dei nutrienti che reintegra la
materia organica del suolo è alla base del mantenimento del ciclo dell’acqua.
Entrambi i cicli vengono interrotti dagli stessi processi
ecologici. La soluzione
alla crisi idrica può iniziare solo con la coltivazione di varietà autoctone,
che non necessitano di molta acqua e che producono più biomassa grazie alle
paglie più alte, che vengono restituite al suolo, secondo la Legge della
Restituzione. I sistemi agricoli indigeni basati sulle sementi indigene sono
sistemi di conservazione dell’acqua perché mantengono e rinnovano sia il ciclo
dei nutrienti, sia il ciclo dell’acqua.
La monocultura del riso in Punjab, che richiede irrigazioni intensive, ha infranto
questi due cicli ecologici vitali della natura. Si dovrebbero preferire invece
colture in ecosistemi nei quali siano ecologicamente adattate. Invece di
riconoscere queste realtà e promuovere la biodiversità delle sementi indigene,
scegliendo di abbandonare l’agricoltura chimica e passare al biologico, ci
troviamo di fronte ad un tentativo di criminalizzare il riso stesso: un attacco
contro la nostra biodiversità e la nostra cultura.
La rivoluzione verde non è stata né verde, né rivoluzionaria, bensì un
piano per colonizzare i sistemi agricoli e alimentari dell’India, che ha
provocato una grave crisi idrica. Per fronteggiare questa emergenza ecologica e
sociale, abbiamo bisogno di una vera e propria rivoluzione alimentare e idrica
basata sui semi indigeni, su colture che necessitano di poca acqua, come le
varietà tradizionali di grano, riso, legumi, tilhan e miglio – quelli che
definisco a volte «i cibi dimenticati». Un’agricoltura basata sulla
rigenerazione della fertilità e dell’umidità del suolo attraverso l’agricoltura
biologica può affrontare sia l’emergenza nutrizionale sia l’emergenza idrica, e
contrastare al contempo il cambiamento climatico. Questo è il nostro Jarvik
Kranti. La nostra rivoluzione per la vita.
(Vandana Shiva è fisico, ecofemminista, filosofa,
autrice di molti libri. È fondatrice della Fondazione di Ricerca per la
Scienza, la Tecnologia e l’Ecologia e ha promosso campagne per la biodiversità,
la tutela e i diritti dei contadini. Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood
Award ossia il Premio Nobel alternativo . Fondatrice e presidente di
Navdanya International)
Articolo pubblicato
anche su ilmanifesto
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