“La Sardegna non ha il metano, è una delle pochissime regioni europee a non
averlo”. Questa frase è il
principale slogan con cui si sponsorizza la metanizzazione dell’isola ed è la
più in voga e più ripetuta tra i suoi sostenitori. È un invito a
non riflettere. Non spiega molto,
non contiene nessun ragionamento, ma ci induce a considerare questa nostra
presunta carenza un problema. Pertanto, nel nostro
immaginario l’arrivo del metano,
come logica conseguenza, produrrebbe
quella spinta necessaria a metterci al passo con le restanti regioni europee.
Qualche giornalista intraprendente si è spinto addirittura ad affermare che
“senza il metano la Sardegna rischia di
restare al buio”. Come se nel lungo termine l’assenza di questo
combustibile potesse causare un black-out permanente e irreversibile; come se
questa ipotesi fosse realistica e plausibile.
In altri tempi per affermazioni di questa portata
si sarebbe potuto parlare di procurato allarme, con tutte le inevitabili
conseguenze politiche e giudiziarie. Ma nel caso specifico, alla luce degli
enormi interessi in gioco e del dilagare delle affermazioni più false e
strampalate dei Salvini e salviniani di turno, assurdità di questo calibro vengono relegate a battute innocue da
inserire nel vasto catalogo di fesserie prodotte quotidianamente.
Ma cosa sappiamo realmente noi del metano e del progetto di metanizzazione
della Sardegna, dei suoi costi, del suo impatto e dei reali benefici?
Cosa sa chi è convinto della sua bontà e ritiene indispensabile per il
nostro futuro garantircene l’approvvigionamento?
Oserei dire niente, se non le poche
e inutili informazioni fornite da chi ostinatamente, con le buone o con le
cattive, ce lo vuole imporre.
“Combustibile di transizione” e “risparmi per le
famiglie fino al 30%”. Questo è e questo basta per convincersi che senza non si
può più andare avanti.
Ma il metano non è una novità
tecnologica e non produce entusiasmo come avrebbe potuto invece 50 anni fa. Non
c’è una narrazione in grado di dargli lo slancio necessario per promuoverlo
nella nostra isola e si prospetta come l’ennesima fregatura per noi e la nostra
terra.
Oggi, quando i ghiacci della Groenlandia e dell’Alaska si sciolgono ad un
ritmo quattro volte superiore alla media, l’unica cosa certa è la necessità di
un cambiamento drastico. E il cambiamento drastico non può avvenire attraverso
una realizzazione di un’infrastruttura che forse ci garantirà il metano a
cominciare dal 2030 per doverlo eliminare totalmente nel 2050 in quanto
anch’esso inquinante e climalterante.
E infatti questo non viene detto da chi lo vuole a tutti i costi,
altrimenti dovrebbe anche spiegare perché spendere oltre due miliardi di euro
per la sola realizzazione della dorsale più diversi altri miliardi di euro per
le infrastrutture e per stravolgere il nostro sistema energetico, per avere il
metano per appena vent’anni.
Come verranno recuperati gli investimenti? E come
sarà possibile nel frattempo investire in altre tecnologie, nelle rinnovabili e
nel taglio dei consumi, se sarà necessario spingere i cittadini a consumare
metano per recuperare le spese?
I conti non tornano, vero?
C’è chi contesta il riscaldamento climatico quale conseguenza delle
attività antropiche e delle emissioni climalteranti. E in effetti, alcuni
specialisti affermano che il riscaldamento globale è un processo naturale in
corso da diverso tempo, forse accelerato in parte per responsabilità dell’uomo.
Ma se anche così fosse, ci sono altre conseguenze anche peggiori del
riscaldamento globale, quali l’inquinamento atmosferico, della terra e del
mare, la cementificazione del suolo, la devastazione di intere aree del
pianeta, l’accaparramento ossessivo e crescente di risorse non rinnovabili, il
furto di territorio, la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e il
conseguente aumento delle diseguaglianze a valori mai registrati in precedenza,
la crescita di disagi economici, sociali e sanitari e conseguentemente delle
malattie correlate, lo stesso recente fenomeno della migrazione ambientale ed
economica, a cui si aggiunge la migrazione dai Paesi in guerra per
l’accaparramento delle risorse.
Sono problemi ai quali dobbiamo far fronte, ciascuno di noi col proprio
contributo. E, pertanto, ogni
nostra scelta deve tener conto delle ripercussioni nel mondo.
L’abbandono dei combustibili fossili non è una passeggiata indolore. Non lo è
perché difficilmente chi detiene il controllo del mercato del fossile rinuncerà
ai suoi profitti, e non lo è perché immaginare oggi un futuro rinnovabile
richiede uno sforzo economico e sociale enorme.
A ciò si aggiunga l’affare delle rinnovabili, o
presunte tali: un nuovo settore in cui gli speculatori si sono infilati a piè
pari al solo scopo di garantirsi enormi ricavi senza ricadute sul territorio,
se non ulteriore furto di risorse e di territorio e ulteriore inquinamento.
La transizione rinnovabile perciò deve necessariamente avere a che fare
con il taglio drastico dei
consumi, il controllo collettivo delle fonti energetiche, la ridistribuzione
della ricchezza e l’eliminazione o riduzione delle diseguaglianze. Non esiste
alternativa percorribile senza considerare questi aspetti.
In merito alla metanizzazione, quindi, le ipotesi
sono due: o consapevolmente ci stiamo condannando al suicidio di massa oppure
ci troviamo di fronte a dei maghi della strategia economica ed energetica.
Ma poiché sappiamo con chi abbiamo a che fare, e i soggetti in questione
non si sono mai distinti in ambito filantropico, è molto probabile che il loro,
alla moda dei tarli che mangiano il legno di un galeone alla deriva invece di
assumerne la guida per portarlo in acque sicure, sia un semplice e banale intento
di voler ancora una volta seguire i propri interessi senza badare troppo alle
conseguenze.
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