Il 2018 sarà l’anno della rivoluzione. Una nuova idea
di spesa alimentare sta giungendo in Italia: arriva dalla lontana Brooklyn, è
passata attraverso il Belgio e la Francia – dove sta spopolando – e sta
prendendo forma a Bologna, dove sta nascendo Camilla, la prima food coop
italiana, il “supermercato autogestito” in
cui i clienti non sono più tali ma diventano soci, lavoratori, co-produttori.
Siamo alla periferia del capoluogo emiliano. Sono
circa le quattro di un fresco venerdì pomeriggio di inizio novembre quando
un’anonima piazzetta sovrastata da grigi palazzoni anni settanta comincia ad
animarsi, diventando nel giro di pochi minuti un brulicante centro di vita e di
socialità. Dai furgoni i contadini di CampiAperti cominciano
a scaricare verdura, frutta, torte, conserve, vini e altri generi alimentari
del territorio. Gli abitanti del quartiere scendono in strada, si incontrano,
fanno la spesa e si intrattengono a chiacchierare con i produttori.
Strappandoli dai banchetti, ci sediamo con alcuni di
loro per parlare di Camilla, il progetto pilota per portare l’idea di food coop
in Italia. Come ci spiega Giovanni Notarangelo, il nome nasce dalla fusione di
CampiAperti – associazione di contadini del territorio – e Alchemilla –
gruppo d’acquisto solidale bolognese di cui Giovanni fa parte –, le due realtà
che stanno portando avanti questo percorso. «Camilla è nata per dare
un’opportunità in più sia ai produttori che ai gasisti, che grazie a un emporio
– un luogo fisico, quindi con meno limitazioni rispetto a un gas –, possono
acquistare un paniere di prodotti ampio, locale, biologico e garantito».
COME FUNZIONA UNA FOOD COOP?
L’obiettivo del progetto è costituire una cooperativa e una nuova comunità, una rete di persone che possano partecipare attivamente alla scelta dei prodotti e dei progetti da sostenere all’interno di uno spazio fisico – l’emporio – in cui c’è una particolarità: tutti i soci, che sono gli unici che possono acquistare, sono protagonisti di ciò che succede. Sono loro infatti a definire in maniera partecipata e collettiva tutti gli aspetti organizzativi ed economici.
L’obiettivo del progetto è costituire una cooperativa e una nuova comunità, una rete di persone che possano partecipare attivamente alla scelta dei prodotti e dei progetti da sostenere all’interno di uno spazio fisico – l’emporio – in cui c’è una particolarità: tutti i soci, che sono gli unici che possono acquistare, sono protagonisti di ciò che succede. Sono loro infatti a definire in maniera partecipata e collettiva tutti gli aspetti organizzativi ed economici.
Non solo: ogni socio fornisce il proprio contributo anche
in termini di tempo, mettendo a disposizione un determinato numero di ore per
svolgere i compiti adatti alle sue competenze e necessari al funzionamento
della cooperativa, dallo stoccaggio alla contabilità, dalla promozione al
trasporto.
CAMPIAPERTI: LA GARANZIA È IL RAPPORTO DI FIDUCIA
Il coinvolgimento di CampiAperti nel progetto è fondamentale. Dal punto di vista delle produzioni infatti, consente di avere già un contatto diretto con di più di cento produttori del territorio che, grazie all’emporio, avranno la possibilità di distribuire i loro prodotti. Dal lato di chi acquista, rappresenta invece l’opportunità di avere un sistema funzionante di selezione e di garanzia partecipata dei prodotti.
Il coinvolgimento di CampiAperti nel progetto è fondamentale. Dal punto di vista delle produzioni infatti, consente di avere già un contatto diretto con di più di cento produttori del territorio che, grazie all’emporio, avranno la possibilità di distribuire i loro prodotti. Dal lato di chi acquista, rappresenta invece l’opportunità di avere un sistema funzionante di selezione e di garanzia partecipata dei prodotti.
Pierpaolo Lanzarini è un membro storico di CampiAperti
e ci spiega meglio il concetto che sta alla base del progetto: «Attualmente
gestiamo sei o sette mercati biologici a filiera corta a Bologna, dove vige un
sistema di accesso basato su forme di garanzia partecipata. Questo vuol dire
che non ci sono enti terzi che certificano che le aziende ammesse ai mercati
rispettano determinati criteri prestabiliti; al contrario, è la comunità stessa
del mercato che garantisce che quel produttore rispetta le caratteristiche
richieste».
Questo meccanismo è molto più efficiente delle forme
di garanzia comunemente intese, dove peraltro vige un grande conflitto di
interessi, poiché il controllore è pagato dal controllato. «Da noi puoi avere
la certificazione biologica oppure no – spiega Pierpaolo –, ma il tuo
lavoro viene valutato dalla comunità. Inoltre non ci basta considerare gli
aspetti della biologicità della produzione: quando facciamo le nostre visite
pre-accesso verifichiamo che siano rispettati anche i diritti dei lavoratori e
che la gestione dell’azienda sia etica oltre che ecologica».
DA CONSUMATORE A CO-PRODUTTORE
La food coop Camilla ha anche un obiettivo che potremmo definire “politico”: riappropriarsi del rapporto diretto fra chi acquista e chi produce e vende, rapporto che attualmente è stato sostanzialmente espropriato dalla Grande Distribuzione. «Oggi ci rapportiamo unicamente con lo scaffale – sottolinea Roberta Mazzetti, una delle responsabili del progetto Camilla –, neanche più con i commessi. Tutto è basato sulla facilità e sull’immediatezza dell’acquisto. Noi vogliamo sovvertire questo modello, trasformando il consumatore in co-produttore e coinvolgendolo non solo nella scelta critica del cibo che acquista, ma addirittura nella definizione dei criteri di produzione».
La food coop Camilla ha anche un obiettivo che potremmo definire “politico”: riappropriarsi del rapporto diretto fra chi acquista e chi produce e vende, rapporto che attualmente è stato sostanzialmente espropriato dalla Grande Distribuzione. «Oggi ci rapportiamo unicamente con lo scaffale – sottolinea Roberta Mazzetti, una delle responsabili del progetto Camilla –, neanche più con i commessi. Tutto è basato sulla facilità e sull’immediatezza dell’acquisto. Noi vogliamo sovvertire questo modello, trasformando il consumatore in co-produttore e coinvolgendolo non solo nella scelta critica del cibo che acquista, ma addirittura nella definizione dei criteri di produzione».
Da qui il modello di cooperativa dei consumatori, che
si rifà alle cooperative di inizio novecento – ben diverse dalla forma che le
coop hanno assunto oggi –, che avevano una grande capacità aggregativa.
«Filiera corta non è solo uno slogan – sottolinea Roberta –, è un sistema equo
e rispettoso sia per chi compre che per chi produce, sia del lavoro che della
qualità della vita».
«Partecipando a questi mercati – aggiunge Alessandro
Nannicini, proprietario dell’azienda agricola Il Granaro e membro di
CampiAperti – noto che i nostri co-produttori diventano amici, mi vengono a
trovare in azienda, vogliono vedere come lavoro. In questo modo si crea un
rapporto che va oltre la garanzia partecipata e diventa amicizia. Lo considero
un investimento in umanità e per questo destinato al successo».
SI DECIDE INSIEME, SI LAVORA INSIEME
«L’idea è nata circa un anno e mezzo fa», ricorda Giovanni. «Tramite un questionario abbiamo chiesto ai gasisti di Alchemilla se sentivano l’esigenza di un luogo fisico, andando oltre i meccanismi dei normali gruppi d’acquisto. In seguito alle loro risposte, un gruppo di una quindicina di persone ha portato avanti uno studio, analizzando le basi ideali e i progetti a cui potersi ispirare».
«L’idea è nata circa un anno e mezzo fa», ricorda Giovanni. «Tramite un questionario abbiamo chiesto ai gasisti di Alchemilla se sentivano l’esigenza di un luogo fisico, andando oltre i meccanismi dei normali gruppi d’acquisto. In seguito alle loro risposte, un gruppo di una quindicina di persone ha portato avanti uno studio, analizzando le basi ideali e i progetti a cui potersi ispirare».
L’ispirazione è arrivata dalla food coop di Park Slope, a New York, che ancora mantiene
l’organizzazione originale delle food coop, con il contributo di tutti i soci.
Negli ultimi anni in Europa ne sono nate altre, soprattutto in Francia e in
Belgio, dove c’è Bees Coop. «Abbiamo studiato gli aspetti economici per capire
le spese e i costi della fase di avviamento, di quanti soci ci sarebbe stato
bisogno e qual è il volume di acquisti necessario affinché il progetto sia
economicamente sostenibile».
La fase di redazione dello statuto è molto complessa:
«Stiamo proponendo qualcosa che ancora non esiste per la legge italiana e il
fatto che i soci daranno un contributo di tempo ci renderà pionieri di questa
formula». Questo introduce un altro tema importante, affascinante ma delicato:
organizzare il lavoro di tutti i soci. «Ciascuno contribuirà a seconda delle
proprie motivazioni. Nel questionario abbiamo chiesto al futuro socio di
proporre quella cosa che avrebbe sempre voluto fare ma non ha mai fatto, a
sottolineare il fatto che questo è uno spazio di tutti, in cui ognuno mette le
proprie peculiarità a disposizione degli altri».
I PROSSIMI PASSI
Attualmente il progetto Camilla ha raggiunto una massa critica, raccogliendo l’adesione di circa 280 soci. Da alcuni giorni sono iniziati i cantieri di progettazione collettiva, nell’ambito dei quali si riuniscono ogni due settimane coloro che hanno già aderito.
Attualmente il progetto Camilla ha raggiunto una massa critica, raccogliendo l’adesione di circa 280 soci. Da alcuni giorni sono iniziati i cantieri di progettazione collettiva, nell’ambito dei quali si riuniscono ogni due settimane coloro che hanno già aderito.
Il primo mattone è stato posato il 30 ottobre con la
co-redazione e l’approvazione da parte di circa 120 persone della carta
d’intenti, dove sono elencati principi fondamentali che vanno dal biologico al
rispetto delle persone, dal diritto al giusto cibo ai diritti della comunità
agricole rurali.
«Il prossimo passo – conclude Roberta – è
l’individuazione del luogo fisico dove sorgerà l’emporio. Il costo è un
problema, stiamo cercando sia nel pubblico che ne privato. Il nostro
sogno? Ci piacerebbe che, come è successo alla food coop di Bruxelles, ci
fosse qualche mecenate che crede nel valore del progetto che ci mettesse a
disposizione uno spazio».
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