lunedì 16 ottobre 2017

Venezia e il certificato cinese - Paola Somma



Qualche mese fa, il centro storico di Vienna, che nel 2001 era stato incluso dall’Unesco tra i siti patrimonio dell’umanità, è stato declassato a sito a rischio, perché deturpato da un nuovo complesso edilizio alto sessanta sei metri. La notizia non ha destato grande scalpore, né le istituzioni locali sembrano molto preoccupate. Come ha detto il rappresentante dell’ente per la promozione del turismo, “ci dispiace, ma siamo tranquilli, perché la decisione non avrà ripercussioni sul numero di turisti in arrivo”.
Ancora più sprezzanti nei confronti delle valutazioni dell’Unesco sembrano le autorità di Liverpool, il cui porto mercantile, che era stato dichiarato patrimonio dell’umanità nel 2004, in quanto “supremo esempio di porto commerciale ai tempi della più grande influenza globale della Gran Bretagna”, è stato retrocesso nel 2012 nella categoria dei siti a rischio, a causa del progetto di valorizzazione dei suoi sessanta ettari di superficie con una serie di enormi costruzioni “ispirate alla architetture di Shanghai”.
Il nostro scopo, è di creare una world class destination, ha detto il presidente di Peel Group, la società di investimento immobiliare che ha acquisito la proprietà dei terreni. Chi viene a visitare la città, ha aggiunto, “non viene a vedere il certificato dell’Unesco appeso alla parete del mio ufficio… viene a vedere una città dinamica e vibrante e… comunque non possiamo sospendere i progetti di sviluppo, perché significherebbe inviare un messaggio sbagliato agli investitori, perdere posti di lavoro e metterci a rischio di costose vertenze legali con i developers”.
Diversamente da Vienna e Liverpool che, dopo avere usato il brand Unesco per le loro campagne di marketing, sono disposte a rinunciarvi per non scoraggiare gli speculatori finanziari e immobiliari, Venezia è riuscita nell’impresa di conservare il marchio di qualità Unesco e di disattenderne tutte le raccomandazioni.
La risoluzione del luglio 2016, con la quale l’Unesco sollecitava il governo italiano e il comune di Venezia ad adottare misure concrete per mitigare i problemi che attanagliano la città e la laguna e preannunciava che, in assenza di sostanziali progressi entro il 1 febbraio 2017, avrebbe considerato l’eventualità di porre Venezia nella lista dei siti a rischio, suscitò, oltre che l’attenzione della stampa di tutto il mondo, l’immediata reazione del sindaco Brugnaro che dichiarò “ne abbiamo le scatole piene … siamo stufi di critiche aristocratiche”. Poi, però, il sindaco ci ha ripensato, e ha deciso di trasformare la minaccia  da problema in opportunità. A un anno di distanza, dobbiamo riconoscere che l’operazione gli è riuscita perfettamente: si è fatto dare molti soldi dal governo, ha portato avanti una serie di progetti che vanno nella direzione opposta da quella auspicata dall’Unesco ed ha ridicolizzato l’organizzazione internazionale.

L’Unesco aveva identificato quattro principali fenomeni che stanno distruggendo la città e la Laguna – turismo, grandi navi, grandi opere, moto ondoso – e per ognuno di essi ci chiedeva concreti interventi, cioè l’adozione di un piano per ridurre la sproporzione tra la quantità di turisti e la popolazione residente; la proibizione per le grandi navi passeggeri e commerciali dell’entrata in Laguna; la sospensione dei progetti di nuove grandi opere infrastrutturali, in primis l’ampliamento dell’aeroporto e il porto offshore; l’introduzione, e l’osservanza, di limiti al traffico acqueo, sia in termini di velocità che di tipo di scafi.
Su tutti i quattro punti l’amministrazione è intervenuta, come dice il sindaco, “con fatti e non chiacchiere”. Per quanto riguarda il turismo, il comune, prendendo atto che la domanda è in crescita costante, da un lato si adopera per aumentarla ulteriormente, ad esempio sollecitando e stipulando accordi con i tour operators cinesi, dall’altro continua ad ampliare l’offerta ricettiva con la costruzione di migliaia di nuovi posti letto, spalmati in tutto il territorio comunale secondo una zonizzazione che prevede per ogni tipologia di turista la localizzazione adeguata alla sua capacità di spesa. Quindi i molto, molto ricchi andranno nelle isole della laguna privatizzate e sottratte ai cittadini normali; i semplicemente ricchi al Lido e nei palazzi lungo il Canal Grande; i mediamente dotati di denaro nella parti della città più discoste da san Marco e dalle grandi attrazioni; i low budget infine, attorno alla stazione di Mestre e sulla gronda lagunare.
E siccome l’Unesco non chiedeva misure scoordinate, ma un piano, il comune ha adottato il DMP, “Destination Management Plan della destinazione turistica Venezia e Laguna”, per il triennio 2016-2018. Si tratta di uno strumento inventato dalla regione Veneto (che ha individuato nel suo territorio tredici destinazioni turistiche) che, di fatto, altera il sistema pianificatorio.
Da un lato, al DPM, che diventa il principale strumento di “gestione strategica del territorio in funzione dello “sviluppo, gestione e marketing del turismo e della sua economia”, viene demandata”l’individuazione delle decisioni strategiche, organizzative e operative attraverso le quali deve essere gestito il processo di definizione, promozione e commercializzazione dei prodotti turistici espressi dal territorio veneziano al fine di generare flussi turistici di incoming equilibrati, sostenibili e adeguati alle esigenze economiche degli attori coinvolti”.
Dall’altro il DPM, essendo adottato dagli “attori pubblici e privati che partecipano all’”Organizzazione di gestione della destinazione turistica”, presieduta dal comune di Venezia e della quale fanno parte affittacamere e albergatori, commercianti ed esercenti, artigiani ed industriali, esclude da ogni decisione relativa al territorio chiunque non eserciti un’attività economica legata al turismo.Per i cittadini che non beneficiano del business turismo (e che potremmo chiamare i “senza turismo”) sono previsti solo aumenti di tasse e tagli di servizi.

Via le grandi navi dal bacino di San Marco”, mentre la richiesta dell’Unesco era “via le grandi navi dalla laguna”, è poi l’astuto slogan al cui riparo il comune continua a promuovere progetti per nuovi scavi e nuovi terminal in laguna e a slogan e annunci pubblicitari, come l’operazione “onda zero”, si riducono anche le misure per contenere il moto ondoso.
Su tutti questi fronti, e soprattutto su quello delle grandi opere infrastrutturali, il sindaco ha anche abilmente negoziato con il governo Renzi, con il quale ha firmato, il 26 novembre 2016, il cosiddetto patto per Venezia che destina circa quattrocento cinquanta sette milioni di euro per “il rilancio della città”. Un successo che Brugnaro ha commentato cosi: “il progetto per questa città lo abbiamo delineato chiaramente e parla dello sviluppo delle sue infrastrutture: porto, aeroporto, ferrovie, connettività e fibra ottica, perché se riparte Venezia possiamo dare il segnale che può ripartire l’Italia. Venezia si è rimessa in moto, adesso ha bisogno di persone lungimiranti che vogliano investire”.
Dopo di che il sindaco ha messo tutto in un dossier, è andato a Parigi per “dettagliare i progressi per la rivitalizzazione della città” e l’Unesco, riconoscendo “i progressi ed i risultati raggiunti”, ha rinviato ogni decisione. Al ritorno dalla vittoriosa spedizione e giustamente fiero del risultato, il sindaco ha annunciato che nel gennaio 2018 Venezia ospiterà in palazzo Ducale un grande evento, per inaugurare l’anno del “turismo cinese in Europa”, al quale interverranno le maggiori autorità politiche cinesi ed europee, oltre a delegazioni di tour operator. L’iniziativa ha avuto l’immediato plauso del presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che è venuto a Venezia per congratularsi e, abbracciando Brugnaro, ha detto: vorrei vedere meno acciaio e più turisti cinesi.
Non sappiano se l’Unesco figura tra gli invitati alla cerimonia in palazzo Ducale. Sappiamo però che l’assessore al turismo si è recata in missione promozionale in Cina e che stiamo lavorando per ottenere la cosiddetta “welcome chinese certification”, cioè il riconoscimento di destinazione chinese tourist friendlyPer i cittadini è una consolazione sapere che se mai dovessimo perdere il marchio Unesco ci rimarrebbe il certificato cinese, ma siamo fiduciosi che il nostro sindaco smart riuscirà a cumularli.

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