Un enorme incendio sta divorando i boschi della Val di Susa, dai fianchi
del Rocciamelone ai dintorni di Bussoleno, da Foresto a Caprie.
Preparato da un lungo, estenuante periodo di siccità e ora spinto dal forte
vento, da due giorni il fuoco si alza, avanza, estende il proprio fronte e
costringe a evacuare borgate, mettendo all’ennesima dura prova una valle
già troppe volte aggredita.
E la valle resiste: ancora una volta, non ha alternative alla lotta.
E la valle resiste: ancora una volta, non ha alternative alla lotta.
E ci si sente, anche da lontano, come se le fiamme fossero intorno a casa,
perché quella valle per molte e molti di noi è ormai casa, perché aprendimos a quererla, e non possiamo fare
a meno di tornarci, coi ricordi e col corpo, ogni volta che possiamo.
Non è l’unico incendio grave di quest’anno, di quest’estate che a fine
ottobre non vuole ancora diventare autunno: c’è stato il rogo di Messina a
luglio, quello al parco della Majella ad agosto… Incendi dolosi, ma resi
quasi indomabili dalle condizioni climatiche.
Gli incendi non sono l’unica conseguenza della siccità: fiumi e torrenti in
secca, falde acquifere basse, il cuneo salino che entra nel Po, lo smog che
affoga le città…
Né, tantomeno, la siccità è la sola conseguenza del cambiamento climatico:
“bombe d’acqua” e trombe d’aria colpiscono le coste e i vicini entroterra, e le
città si allagano perché la cementificazione ha reso i terreni impermeabili.
[La cementificazione ha anche effetti più profondi: se la pioggia non penetra nel suolo, le falde acquifere stentano a rialimentarsi, con conseguenze ben più vaste.]
[La cementificazione ha anche effetti più profondi: se la pioggia non penetra nel suolo, le falde acquifere stentano a rialimentarsi, con conseguenze ben più vaste.]
Cambiamento climatico. Si calcola che
nel giro di pochi decenni potrebbero scomparire sott’acqua non solo Venezia e
il suo entroterra (il MOSE è già ora un inutile
relitto), ma anche il litorale friulano, Trieste fino al Carso, il
Polesine e il Basso ferrarese, la Riviera romagnola…
Già adesso, come si ricordava sopra, l’Adriatico
sta risalendo il Po.
Quest’estate il cuneo salino è arrivato dodici chilometri a ovest della foce,
con la conseguente crisi idrica, perché se c’è acqua salata al posto di quella
dolce non si possono irrigare i campi, né si può ottenere acqua potabile per il
territorio circostante.
Lo studio linkato poco sopra prevede, nel caso di innalzamento
dell’Adriatico di poco meno di un metro, un’ingressione nell’entroterra di
circa trenta chilometri entro il 2100. Proviamo a calcolare quanti profughi
potrebbe produrre un evento del genere.
Il 2100 è subito dietro l’angolo, e il processo è già cominciato. Eppure,
avete mai sentito qualcuno dei politici che affollano telegiornali e talk show
dire una sola parola su questo?
Tutto ciò dovrebbe costituire il problema
politico, la questione n.1, la cornice entro cui svolgere ogni altro discorso,
e invece rimane chiacchiera, al massimo diventa – come lo smog in questi giorni
– effimera “emergenza” da affrontare con l’improvvisazione, le “toppe”, i mezzi
raccoglitici.
L’abbiamo già scritto, e non siamo certi stati i soli a farlo: anziché sperperare miliardi di euro in “grandi opere” inutili e imposte che vanno ad aggravare la situazione, bisognerebbe lavorare all’Unica Grande Opera – UGO – indispensabile e urgente: la messa in sicurezza del nostro territorio in vista dei prossimi sconvolgimenti, la riparazione del dissesto idrogeologico. Riparazione, manutenzione, prevenzione, liberazione dal cemento del maggior numero possibile di terreni, e degli argini dei corsi d’acqua.
L’abbiamo già scritto, e non siamo certi stati i soli a farlo: anziché sperperare miliardi di euro in “grandi opere” inutili e imposte che vanno ad aggravare la situazione, bisognerebbe lavorare all’Unica Grande Opera – UGO – indispensabile e urgente: la messa in sicurezza del nostro territorio in vista dei prossimi sconvolgimenti, la riparazione del dissesto idrogeologico. Riparazione, manutenzione, prevenzione, liberazione dal cemento del maggior numero possibile di terreni, e degli argini dei corsi d’acqua.
La lotta contro le “grandi opere” è già ora parte della lotta contro il
riscaldamento globale. Lo è sempre stata, perché contrasta il consumo di suolo,
l’aggressione ai territori, lo spreco di risorse pubbliche, la sopravvivenza
del vetusto paradigma cementizio-sviluppista. Per questo ce ne occupiamo così
tanto, da anni: lo riteniamo ilterreno
strategico. Ed è evidente il collegamento tra la lotta No Tav che la Val
di Susa porta avanti ormai da quasi ventisette anni, e la lotta contro
l’incendio che in quella valle ora divampa.
Discorsi più approfonditi seguiranno. Adesso invitiamo a seguire quel che
sta accadendo in Val di Susa. → #Valsusa
Noi, per quel che vale, ci rendiamo sin da ora disponibili per qualunque
aiuto ed evento benefit si voglia fare in valle.
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