comunicato di Comitato lavoratori delle
campagne – Rete Campagne in Lotta (*) datato 7 ottobre
Ieri, ancora una volta, le persone che
vivono nella vecchia tendopoli di San Ferdinando hanno dato prova di grande
determinazione, riuscendo a bloccare l’ennesimo tentativo di sgombero messo in
atto dalle forze dell’ordine, sostenute da associazioni e sindacati.
Dopo essere stati costretti in fila indiana per ore, sottoposti all’ennesima identificazione forzata – ricordiamo che è da novembre scorso che polizia e carabinieri si dilettano in operazioni di questo tipo nell’area della tendopoli – circondati da un ingente presenza di forze dell’ordine, buona parte degli abitanti si è nuovamente opposto allo sgombero.
“È tanto tempo che lo diciamo! Noi da qui non ce ne andiamo! Non vogliamo tende ma case! Vogliamo i documenti e non il business dei campi sulla nostra pelle!”
Non si vogliono trasferire nell’adiacente fabbrica Rizzo e nella nuove tende poste lì accanto di recente. Allo stesso tempo chi è andato a vivere nella nuova tendopoli racconta quanto segue. “Qui stiamo male, nelle tende dobbiamo dormire in 12 e dopo tante promesse hanno portato solo una cucina, dove possiamo entrare in pochi, mentre qui siamo più di 500 persone! Ci trattano come bestie!”
La giornata si è conclusa con l’accordo che le persone potranno restare lì fino alla fine della stagione, e lasciare il campo tra marzo e aprile.
Questo è stato possibile grazie alla forte consapevolezza e autodeterminazione che queste persone hanno mostrato ieri, così come negli ultimi anni, nonostante le squallide e ripetute accuse portate avanti da qualche sedicente giornalista (evidentemente al soldo del potere) che invece di raccontare quanto accaduto nella giornata di ieri, ha preferito attaccare con illazioni forcaiole e infondate la veridicità del percorso di autorganizzazione di chi vive nella tendopoli e chi da anni sostiene e solidarizza con le loro lotte.
Ancora una volta vergogna!
Nel frattempo le persone continueranno ad organizzarsi e lottare per ottenere quello che vogliono, sempre più consapevoli che solo la lotta paga!
No ai campi di lavoro!
Vogliamo documenti, casa e contratti!
Dopo essere stati costretti in fila indiana per ore, sottoposti all’ennesima identificazione forzata – ricordiamo che è da novembre scorso che polizia e carabinieri si dilettano in operazioni di questo tipo nell’area della tendopoli – circondati da un ingente presenza di forze dell’ordine, buona parte degli abitanti si è nuovamente opposto allo sgombero.
“È tanto tempo che lo diciamo! Noi da qui non ce ne andiamo! Non vogliamo tende ma case! Vogliamo i documenti e non il business dei campi sulla nostra pelle!”
Non si vogliono trasferire nell’adiacente fabbrica Rizzo e nella nuove tende poste lì accanto di recente. Allo stesso tempo chi è andato a vivere nella nuova tendopoli racconta quanto segue. “Qui stiamo male, nelle tende dobbiamo dormire in 12 e dopo tante promesse hanno portato solo una cucina, dove possiamo entrare in pochi, mentre qui siamo più di 500 persone! Ci trattano come bestie!”
La giornata si è conclusa con l’accordo che le persone potranno restare lì fino alla fine della stagione, e lasciare il campo tra marzo e aprile.
Questo è stato possibile grazie alla forte consapevolezza e autodeterminazione che queste persone hanno mostrato ieri, così come negli ultimi anni, nonostante le squallide e ripetute accuse portate avanti da qualche sedicente giornalista (evidentemente al soldo del potere) che invece di raccontare quanto accaduto nella giornata di ieri, ha preferito attaccare con illazioni forcaiole e infondate la veridicità del percorso di autorganizzazione di chi vive nella tendopoli e chi da anni sostiene e solidarizza con le loro lotte.
Ancora una volta vergogna!
Nel frattempo le persone continueranno ad organizzarsi e lottare per ottenere quello che vogliono, sempre più consapevoli che solo la lotta paga!
No ai campi di lavoro!
Vogliamo documenti, casa e contratti!
Comitato lavoratori delle campagne
Rete Campagne in Lotta
(*) La rete Campagne in Lotta è nata con
l’obiettivo di mettere in connessione lavoratori e lavoratrici –
prevalentemente stranier* – che lavorano e vivono in diverse aree di produzione
agro-industriale italiane, con singol* e collettività militanti. Mettersi in
rete per conoscersi e coordinarsi, nell’ottica di sostenere processi di
autodeterminazione ed auto-organizzazione che possano portare ad una
composizione di vari ambiti di lotta.
La nostra esperienza inizia nell’agosto
2011 dall’incontro di due percorsi. Da una parte l’Assemblea dei Lavoratori
Africani di Rosarno (ALAR), costituitasi a Roma in seguito alla nota rivolta di
Rosarno (gennaio 2010). Dall’altra i lavoratori e i solidali che avevano preso
parte all’altrettanto noto sciopero di Nardò (agosto 2011). Le lotte di Rosarno
e di Nardò, come altre prima di loro, hanno in parte fatto emergere le
durissime condizioni lavorative e socio-abitative alle quali erano e sono
costretti i lavoratori e le lavoratrici delle campagne – ma anche la loro
disponibilità alla lotta. La rete, quindi, si è costituita come strumento per
rompere il loro isolamento, sostenere le loro spinte alla rivendicazione
autodeterminata e portare pratiche di solidarietà concreta su diversi piani –
da quello giuridico a quello dello scambio di conoscenze e informazioni, dalla
socialità alla discussione politica. Ad oggi, la rete “Campagne in Lotta” è
composta da lavoratori e lavoratrici precar*, stranier* e italian*,
disoccupat*, singol* o organizzati in collettivi. Il percorso iniziato
nell’Agosto del 2011 si intreccia ad altre esperienze di lotta (prima fra tutte
quella dei facchini nel settore della logistica) e aspira ad una loro
ricomposizione lungo le filiere dell’agroindustria ed oltre.
Nel corso degli anni, come rete abbiamo
costruito e praticato interventi puntuali in alcuni territori, soprattutto la
Capitanata (provincia di Foggia) e la Piana di Gioia Tauro (provincia di Reggio
Calabria), luoghi noti per la produzione di pomodori e di agrumi,
rispettivamente. Ma abbiamo stretto contatti e relazioni anche con altri
territori, dalla zona del saluzzese (provincia di Cuneo) alla regione del
Vulture (provincia di Potenza), dalle province di Napoli e Caserta alla Piana
di Sibari (Cosenza). Questo ci ha permesso, oltre che di costruire solide
relazioni con alcun* lavorator* (i quali sono diventati parte trascinante della
rete stessa) e realtà organizzate, di approfondire la conoscenza dei meccanismi
produttivi e di sfruttamento propri del comparto agro-industriale, e di
sostenere le rivendicazioni di chi li subisce. Alla totale assenza di diritti
per le/i lavoratori/lavoratrici salariat*, nelle campagne si associa una
precarietà sociale e abitativa estrema (favorita dalle leggi sull’immigrazione
e da altri meccanismi amministrativi di differenziazione) che a sua volta
favorisce lo sfruttamento del lavoro riproduttivo. Come spesso accade, questo è
svolto principalmente da donne, le quali si occupano di soddisfare a pagamento
i bisogni primari dei lavoratori, dalla cucina alla sfera sessuale, nelle
grandi baraccopoli come nei casolari abbandonati o nei centri abitati. Allo
stesso tempo, le donne che lavorano come braccianti (e che per la maggior parte
provengono da Romania e Bulgaria) in molti casi sono costrette ad accettare i
ricatti sessuali di padroni e padroncini, e sono quindi sottoposte ad una
doppia, brutale forma di sfruttamento.
In questo quadro, istituzioni e parti
del terzo settore sono impegnate in un’opera di contenimento, controllo e messa
a valore della precarietà esistenziale di alcuni lavoratori/lavoratrici
straniere/i, soprattutto se provenienti dall’Africa sub-Sahariana: sono decenni
che la marginalità endemica viene gestita come ’emergenza’ attraverso campi e
tendopoli, che non fanno altro che riprodurla e per i quali si spendono ingenti
somme di denaro pubblico. D’altra parte, la spettacolarizzazione, da parte
della macchina militare-umanitaria, dei ‘ghetti neri’ come emergenza occulta la
massa, molto più cospicua, di lavoratori e lavoratrici dell’est Europa che ogni
anno migra dai propri paesi ed è costretta a subire condizioni di vita e lavoro
altrettanto drammatiche, se non peggiori. Chi trae beneficio da questa gestione
neo-coloniale e para-carceraria del lavoro bracciantile, a discapito dei
lavoratori/lavoratrici e dei piccoli produttori, sono le organizzazioni dei
produttori (O.P.) ed i grandi consorzi, che ovviamente sono legati a doppio
filo con la grande distribuzione organizzata (G.D.O.).
Vista la molteplicità delle forme di
sfruttamento che si registrano in questi ambiti, le pratiche di lotta e
rivendicazione che in questi anni abbiamo sostenuto riguardano sia il piano
amministrativo (permessi di soggiorno, residenze, diritto alla salute) che
quello abitativo (contro tendopoli e ghetti e l’isolamento che producono, a
favore di soluzioni strutturali che individuino nei soggetti che maggiormente
traggono profitto dal sistema agro-industriale la principale responsabilità per
l’alloggio ed il trasporto dei braccianti stagionali), oltre ovviamente a
quello lavorativo. L’inchiesta e l’allargamento di collaborazioni e reti, a
livello locale, nazionale ed internazionale sono strumenti fondamentali per il
rafforzamento e la composizione delle lotte lungo le filiere globali dello
sfruttamento.
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