Nel 1817,
quando pubblicò il secondo volume del suo mastodontico Viaggio in Italia basato su diversi viaggi da lui
compiuti una trentina di anni prima, Johann
Wolfgang von Goethe non avrebbe mai potuto sospettare di essere in
procinto di porre una delle prime
pietre di una delle più terribili dinamiche che l'Occidente abbia mai
partorito: il Turismo.
Quello in
cui si muoveva Goethe era
un altro mondo: senza treni, senza aerei, senza traghetti, un mondo in
cui la velocità del viaggio era quella delle carrozze di posta, dei cavalli
presi a nolo e lasciati di stazione in stazione, quando andava male di un mulo
o addirittura delle proprie gambe stesse. Non
c'erano macchine fotografiche per immortalare tramonti, scorci cittadini e
spiagge solitarie, né tantomeno canali di comunicazione digitali su cui
condividere istantaneamente tutta quella bellezza con il mondo.
C'era solo il viaggiatore, quasi sempre solitario,
che si avventurava senza guide, giusto qualche mappa, i soldi necessari per vivere due o tre mesi in giro
— ché anche ai bancomat mancava più di un secolo e mezzo — e tempo, tanto
tempo.
Duecento
anni dopo, in una Europa che non somiglia più se non lontanamente a quella dei
tempi di Goethe, anche il viaggiare non somiglia più quasi per niente a quello
che facevano i ricchi figli della grande borghesia nord europea come il
tedesco, gente che poteva permettersi di stare lontano dalla propria casa e dai
propri affari per mesi con il solo scopo di visitare altri luoghi e, al posto
di quella attività solitaria da privilegiati ci ritroviamo il suo surrogato
peggiore, quel Turismo di cui sopra.
Al posto di
quella manciata di viaggiatori eleganti e sofisticati, ora assistiamo a
un fenomeno di massa, con più di un miliardo di persone al
mondo che ogni anno viaggiano generando un giro
di affari pazzesco che, nel 2016, si aggirava intorno ai 7,61 trilioni di dollari, qualcosa
come 7mila miliardi. Una vera e propria invasione, che se ci fermiamo al solo
dato economico potrebbe sembrarci positiva, sta però avendo effetti devastanti
sulla vita delle comunità locali coinvolte, tanto che in molte di queste
comunità — da Barcellona a Venezia, da Dubrovnik a San Sebastian — sta crescendo un sentimento di ostilità
verso i turisti e il turismo, accusato di minare la sopravvivenza delle
comunità stesse.
Il fenomeno
più evidente è quello della controgentrificazione causata
dall'uso sempre più massiccio di servizi di affitto come Airbnb da parte dei
grandi proprietari di immobili situati in luoghi “turistici” — esempio numero
uno Barceloneta — una dinamica che sta causando un fenomeno molto particolare:
in buona sostanza i padroni di casa preferiscono affittare ai turisti che ai
residenti, con la conseguenza che gli affitti aumentano e che, paradossalmente,
questi luoghi sono sempre più visitati dalle truppe cammellate dei turisti di
mezzo mondo, ma sempre meno abitati da chi ci ha sempre vissuto. Un po' come se nella Napoli di cui si innamorò
Goethe ci fossero più tedeschi e inglesi che napoletani.
Non ci possiamo sorprendere però. Perché se è vero che i cavalli
vincenti si capiscono alla partenza, la stessa cosa vale anche per quelli zoppi,
e il turismo è zoppo dalla nascita e
contiene in sé alcune delle peggiori e più inveterate idiosincrasie della
società consumista occidentale, al pari degli zoo.
Il turista,
al pari del visitatore dello zoo, è più
simile al colonizzatore che al viaggiatore. Frappone tra sé e il mondo
che visita una griglia culturale ancora più coriacea di quella che, allo zoo,
separa gli spettatori dagli animali, rifiutando senza nemmeno passare dal via
la possibilità di non giudicare quello che ha davanti con le proprie categorie.
E di più, perché non soltanto queste sbarre il
turista fa finta di non vederle, ma le desidera, le desidera sopra
qualsiasi altra cosa. Perché se i Goethe almeno si sforzavano di uscire dalla
propria comfort zone e andavano in giro con una rivoltella per difendersi dei
briganti, i moderni
Goethe imbrutiti, che lavorando guadagnano e guadagnando pretendono, non fanno
un passo fuori dalla propria comfort zone.
Perché ai turisti dei luoghi che visitano non
interessa nulla. Il viaggio del turista non è un movimento di apertura,
al contrario, è impermeabile a tutto, soprattutto all'altro da sé che incontra
sul cammino. Non gli interessa, perché il
turista cerca di replicare la propria comfort zone quotidiana in ogni luogo che
visita, pronto anche a deturparlo piuttosto che essere al sicuro. Non è
un caso che il momento culminante del viaggio non sia più l'esperienza stessa
del muoversi, né lo scoprire o il conoscere, ma la rappresentazione del proprio
viaggio. È quella che conta ormai, la sua condivisione.
Solo che
quando lo faceva Goethe il risultato era un'opera d'arte. Ora ormai è difficile
finanche ritrovarsi in quelle grottesche serate diapositive di una volta. Ormai il turismo è solo masturbazione:
una sega a due mani in onda 24/7 su Facebook e Instagram.
Nessun commento:
Posta un commento