Illustri Signori proprietari, direttori ed operatori delle aziende del petrolchimico, sono un cittadino di Augusta che tutti voi sicuramente conoscete.
Sono un cittadino nato nell’anno 1954 quando qualcuna delle vostre aziende era già nata anche se portava un nome diverso.
Con grande sforzo della memoria talvolta ho tentato – ma non l’ho ancora completato – di fare una cronologia toponomastica dei vostri impianti, che regolarmente dopo qualche anno cambiavano denominazione e proprietario, così come cambiavano i loghi e le “insegne” degli ingressi degli stabilimenti.
Rasiom, Tifeo, Celene, Liquigas, Augusta Petrolchimica, Sincat, Montecatini, Liquichimica, …..
Sono nato quando già l’inquinamento era in atto.
Ho visto nascere quasi tutti i vostri impianti, ma ho visto distruggere gli agrumeti dove oggi si trova la Sasol;
ho visto radere al suolo Marina di Melilli, accanto a cui venne costruita l’ISAB, la più grande raffineria del Mediterraneo;
ho visto chiudere le saline dove, in bicicletta, con mio padre andavamo a prendere periodicamente la borsa di sale;
ho visto il mare di Augusta cambiare colore, ho visto le morie dei pesci, ho buttato via quel pesce che stavo mangiando perché “sapeva di nafta”;
da piccolo ho “giocato” anche con il catrame che sempre più spesso sporcava le nostre coste e scogliere;
ho visto occupare dalle petroliere il porto di Augusta, ma ho visto sparire la consistente flottiglia di pescherecci locali che riempivano lo stesso porto e che da tempo immemorabile avevano dato di che vivere alla nostra gente…..;
di ciò che invece è stato seppellito sotto le colate di cemento o è stato distrutto dalle ruspe a Megara Hyblaea e dintorni non ne ho mai avuto visione: ritengo, però, che come tutte le città greche anche Megara avrebbe dovuto avere il suo teatro, ma non è stato mai riportato alla luce; delle sue necropoli poco o nulla si è salvato, ma tutto quel che resta ancora visibile del patrimonio del nostro passato oggi versa in stato di grave degrado o quasi abbandono. Con certezza sappiamo che all’interno di qualche vostra azienda qualcosa è ancora rimasto visibile ma non visitabile. Qualcuno più vecchio di me raccontava che, mentre si scavava attorno a Megara per impiantarvi tubazioni e serbatoi, camion carichi di reperti archeologici prendevano con cadenza settimanale la via del nord Italia, da dove proveniva l’ultimo colonizzatore.
Ricordo che tanti decenni fa, andando da Augusta a Siracusa con i pullman della scomparsa ditta Ortigia, passando in mezzo alle vostre aziende, occorreva alzare (inutilmente) i vetri dei finestrini, mentre vedevamo quei fumi multicolori che ininterrottamente giorno e notte salivano verso il cielo. Oggi quei fumi multicolori sono diventati bianchi, ma sappiamo bene che non sono solo vapore acqueo, anzi, oggi con particolari accorgimenti, di cui siete possessori di brevetto, sono stati resi addirittura invisibili, dando talvolta l’illusione di trovarci di fronte ad una industria pulita.
Nelle vostre aziende, nel tempo, come tanti altri Augustani e non, hanno lavorato anche miei familiari e parenti. Per alcuni mesi, quando ancora frequentavo gli studi universitari, ci ho lavorato anch’io.
Ho avuto anch’io la possibilità di un approccio diretto con quel tipo di lavoro. Erano anche gli anni in cui tre Gesuiti, a Marina di Melilli, facevano l’esperienza dei preti operai. A quel tempo (anni settanta), e ancor prima, parlare di sicurezza sul lavoro, prevenzione, tutela dell’ambiente e cose del genere sembrava assurdo. Quel lavoro era considerato progresso, e produceva ricchezza e benessere.
Oggi, purtroppo, non possiamo più sostenere questa tesi.
Oggi si pagano le conseguenze di quel falso progresso ed il benessere si è dimostrato effimero; l’inquinamento e le sue conseguenze sono argomenti quotidiani, anche di questi se ne parla ormai dalla fine degli anni settanta, quando la situazione di degrado ambientale e sociale raggiunse livelli assai elevati.
Erano gli anni in cui veniva rasa al suolo Marina di Melilli, ma erano anche gli anni in cui non solo ad Augusta, ma negli ospedali della zona nascevano i bambini malformati e tanti cittadini e lavoratori partivano per i viaggi della speranza nel tentativo di sconfiggere il cancro (qui contratto) nella lontana Parigi o nelle strutture sanitarie del nord Italia che era anche il luogo della residenza fiscale di numerose aziende che operavano sulla nostra terra.
Ci fu così l’intervento coraggioso di un singolo “piccolo magistrato” che osò sfidare le grandi aziende e le multinazionali imponendo il rispetto delle leggi contro l’inquinamento. Qualcosa sembrò cambiare, ma fino a quando non venne decisa la sua promozione in tutt’altra parte dell’Italia.
Due mesi fa la Procura della repubblica di Siracusa, non la scomoda Pretura di Augusta di un tempo, dopo due anni di indagini tecniche ha sequestrato (senza fermarli) alcuni dei vostri impianti con la motivazione che “avevate inquinato”. Non era una scoperta, ma una conferma. L’inquinamento era qualcosa di pregresso. Lo sapevano tutti; la sapevamo tutti; lo sapevate tutti: ma nessuno interveniva.
Oggi, come ieri, gli interessi economici in gioco sono enormi, sia per voi sia per lo stesso Stato.
Quando succedeva qualcosa, considerata la vasta estensione dell’area industriale, rispondevate che nessuno di voi era responsabile, la colpa era sempre degli altri. In fondo, “per motivi di sicurezza” il “fuori servizio tecnico” era sempre una valida giustificazione. E dentro e fuori le fabbriche si respirava di tutto rassegnati e con senso di impotenza.
Da alcuni anni i fuori servizio sono passati da eccezionali a normali e frequenti, anche fin troppo frequenti. Da diversi anni questa puzza, questa “molestia olfattiva” da occasionale è diventata perenne. Colpisce a “macchia di leopardo” mentre la conta dei morti di cancro non si ferma, anzi aumenta. E non c’è solo il cancro: lo sanno bene sia gli operai, sia la popolazione, sia le “autorità” sanitarie. Ma è sempre meglio tacere o minimizzare: è in gioco una posta altissima: il lavoro, quello su cui si basa secondo l’art. 1 della costituzione la Repubblica italiana. Forse, oggi, sarebbe più giusto dire non il lavoro, ma i posti di lavoro. Perché il lavoro è dignità e il lavoro serve per vivere. Qui, però, di lavoro ci si ammala e anche si muore.
Ad alcuni questo progresso ha portato lauti guadagni, ad altri ha sottratto qualcosa di vitale. È certamente vero che questo tipo di progresso ha portato del pane, ma qualcuno sapeva che questo pane non era poi tanto buono.
Per giustificarvi dite che al progresso bisogna pagare un prezzo, ma questo prezzo lo stanno pagando i vostri e nostri operai e noi cittadini assolutamente indifesi, specie di notte.
Fino a qualche settimana fa si diceva che sui fondali della rada di Augusta erano sedimentati “solo” 18 milioni di metri cubi di fanghi industriali e quindi la bonifica non era possibile; oggi si dice che ne esistono altri 45 milioni di metri cubi fuori della rada: e non parliamo di discariche, dell’emungimento e dell’inquinamento della falda, non parliamo dell’atmosfera, ecc.
Qualche anno fa, l’Europa, nostro “capo”, stabilì che chi inquina deve pagare. Nel 2015 il nostro paese approvò la legge sugli ecoreati.
Ma nel nostro parlamento e nelle istituzioni è più facile trovare i rappresentanti delle lobby che i rappresentanti dei cittadini comuni o degli operai. Quando si fanno certe leggi non si tutelano anche certi interessi?
Scriveva circa 19 secoli fa un tale, un certo S. Paolo: il peccato c’è perché c’è la legge: quindi se non c’è la legge il peccato non sussiste; quindi, per analogia, l’inquinamento sussiste solo quando una legge lo fa esistere. Allora basterebbe non fare le leggi o fare le leggi a convenienza oppure fare leggi facilmente aggirabili.
Ragionando per analogia, se io commettessi un’infrazione e venissi scoperto, non mi basterebbe ammettere di avere sbagliato e chiedere scusa, ma certamente mi sarebbe stata inflitta una sanzione. Questa regola, però, non vale per tutti: nello Stato dove in teoria la legge è uguale per tutti, per quelli che invece hanno tanti soldi la legge si interpreta, non si applica; lo stato addirittura in taluni casi è sceso a trattativa. (evasione fiscale dei VIP, introiti dei padroni del WEB, …)
Purtroppo non si può scendere a trattativa quando ormai sei gravemente ammalato o morto.
Allora è vero che chi inquina paga? Fuori dell’Italia probabilmente sì, ma nel nostro paese?
Quante sentenze cominciano con “In nome del popolo italiano” ?
Illustri signori proprietari, direttori e dirigenti delle aziende del petrolchimico,
il reato da voi commesso è stato ormai accertato; se avete accettato le prescrizioni della magistratura sostanzialmente vi siete dichiarati colpevoli, ma non credo che entrerete mai in un’aula giudiziaria: l’operazione Mare Rosso insegna. Nessuno finora vi ha comminato una sanzione; nessuno di voi è stato giudicato o condannato e non credo che ciò potrà avvenire. Gli unici ad essere stati privati del diritto alla salute sono stati gli abitanti del territorio; gli unici ad essere stati condannati (magari ad una consapevole morte per cancro o altre malattie) sono stati gli abitanti di questo territorio e i tanti lavoratori delle vostre fabbriche.
A mio avviso il principio CHI INQUINA PAGA È SBAGLIATO se applicato in un determinato modo! Pagare un’ammenda con gli spiccioli di guadagni miliardari sarebbe facile e fin troppo comodo.
Quanto dovrebbe pagare chi ha inquinato? Chi dovrebbe stabilirlo? E a chi dovrebbe pagare? I vostri veleni non li respirano e non contaminano solo i vostri dipendenti.
CHI HA INQUINATO E INQUINA DEVE SMETTERE DI INQUINARE: oggi esistono nuove tecnologie e metodologie che consentono di farlo;
CHI HA INQUINATO DEVE BONIFICARE non perché qualcuno potrebbe imporglielo in un’aula giudiziaria, ma solo perché esiste anche il principio del ravvedimento e della riparazione dopo l’errore.
Bisogna dare un futuro nuovo e pulito a questa terra.
Circa tre quarti del territorio della provincia di Siracusa sono stati dichiarati “PATRIMONIO DELL’UMANITÀ”, solamente la parte nord di essa dove è ubicato il petrolchimico meriterebbe il titolo di pattumiera dell’umanità. Questo vuol dire che una parte della nostra provincia (Val di Noto ed oltre) vive di un lavoro pulito: turismo. Chissà perché nella zona nord della provincia di Siracusa questa parola non viene mai pronunciata, eppure di luoghi che potrebbero richiamare turisti ce ne sono ancora rimasti. Il porto di Augusta che ha ospitato superpetroliere e le portaerei degli Stati Uniti non potrebbe accogliere anche le navi da crociera?
Tempo fa, una delle vostre aziende, fece realizzare una propria segnaletica pubblicitaria come se fosse lo sponsor degli insediamenti turistico-archeologici del nostro territorio: alcuni di questi cartelloni li fotografai perché mi sembrarono contraddittori: come si può sponsorizzare il turismo dopo averlo distrutto?
In quanto cittadino nativo di questa “mia terra”, mi sento in dovere di fare a tutte le vostre aziende una PROPOSTA PER UN LAVORO PULITO inquadrandolo nell’ottica della giustizia e di un “ravvedimento operoso”:
considerato il danneggiamento probabilmente irreversibile del territorio dovuto all’industrializzazione;
considerati i vostri profitti nel corso di tutti questi anni in cui avete inquinato;
considerato che la tassazione del lavoro ha prodotto ingenti guadagni anche per lo stato centrale;
fermo restando l’onere giusto e doveroso delle bonifiche,
chiediamo che parte di questi profitti siano restituiti alla comunità residente su questo territorio per i seguenti progetti: (ovviamente faccio riferimento alla mia città di Augusta; Melilli e Priolo potrebbero fare altrettanto)
potenziamento e riqualificazione dell’ospedale di Augusta; (non vanno sponsorizzate solo le società sportive ad es. l’Inter di Moratti, la Sampdoria di Garrone, Basket di Priolo dall’Enichem, ….)
realizzazione di un grande centro sportivo polivalente (stadio compreso) per il territorio ricadente nell’area; (al riguardo ricordiamo che negli anni 70 gli stadi di Augusta e Priolo – oggi chiusi – furono colmati dalle ceneri di pirite)
restauro completo dei beni storico-culturali del territorio: castelli Augusta e Brucoli, fortificazioni spagnole all’interno del porto, prosieguo degli scavi di Megara Hyblaea, realizzazione di un museo, recupero dell’hangar, restauro del convento di San Domenico, recupero e pubblica fruizione dei siti archeologici esistenti entro il perimetro dell’area industriale……
Quanto lavoro, quanti posti di lavoro e per quanti anni potrebbe produrre una tale coraggiosa e doverosa decisione?
Ed una volta realizzato tutto questo, quel che è stato recuperato non potrebbe costituire il lavoro futuro, pulito e sicuro degli stessi figli degli operai del petrolchimico che magari sono rimasti orfani troppo giovani?
Quanto lavoro pulito e quanti posti di lavoro potrebbero dare oggi quegli stessi soldi che hanno “sporcato” il nostro territorio, ma che in gran parte sono andati a finire in qualche altra parte d’Italia o del mondo?
Per questa nostra terra e per le nuove generazioni ci sarà mai la possibilità di un riscatto e di un futuro pulito?
Augusta, 28 settembre 2017
Palmiro Prisutto
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