È appena stato pubblicato l’undicesimo Rapporto sul consumo di suolo.
Apriamo dicendo che l’incremento lordo di consumo di suolo dell’ultimo anno è
sceso, passando da 8.500 ettari del periodo 2021-2022 a 7.254 del periodo
2022-2023. È innegabilmente una buona notizia.
Però non cantiamo vittoria troppo presto perché gli oltre settemila ettari
rimangono un’esagerazione e continuano a tenerci ben al di sopra di ogni limite
accettabile di sostenibilità: 19,9 ettari/giorno, ovvero 2,3 metri quadrati al
secondo. Sempre troppi, sempre uno sfregio che sfigura il nostro territorio.
Una contrazione per la quale non abbiamo nessun elemento per considerarla
l’esito di una folgorazione ecologica delle politiche urbanistiche dell’ultimo
anno. Probabilmente parte della riduzione è da attribuirsi al ripristino di
aree di cantiere prima conteggiate come suolo consumato e ora ripristinato. Un
ripristino che, ricordiamolo, non azzera i danni e i disturbi ecosistemici che
il suolo ha comunque subito negli anni di cantierizzazione.
Siamo un Paese che ancora corre a cementificare, condannandosi a rimanere
lontanissimo dall’obiettivo del consumo netto di suolo zero.
La classifica regionale del consumo di suolo porta delle novità. La più
inaspettata (per alcuni) è quella del primato dell’Emilia-Romagna che è balzata
al primo posto per consumo di suolo netto (735 ettari nel 2023) nonché seconda
per consumo di suolo lordo (815 ettari) dietro al Veneto (891 ettari).
Per chi ancora non ci credeva, è arrivata ora la dimostrazione che la tanto
decantata legge urbanistica emiliano-romagnola (L.R. 24/2017) non è capace di
fermare il consumo di suolo nonostante i proclami di quel governo regionale.
Emilia-Romagna e Veneto hanno disarcionato l’eterna prima della classe, la
Lombardia, che ora si attesta a 728 ettari/anno di consumo di suolo netto.
Pur salutando con interesse la contrazione lombarda, anche qui non possiamo
dire che la diminuzione sia l’esito di una legge sul consumo di suolo che,
semmai lo fosse, lo sarebbe a scoppio assai ritardato visto che sono passati
dieci anni. Sta di fatto che a livello nazionale siamo saliti al 7,16% di
superficie consumata pari a 365,7 metri quadrati di asfalto e cemento per ogni
cittadino (+1,23 metri quadrati rispetto all’anno precedente).
A fronte di una generale riduzione del consumo di suolo, vi sono Regioni
che hanno invece segnato un tasso di variazione positivo: Toscana (+23,5%),
Umbria (+39,3%), Campania (+0,8%) e Basilicata (+8,6%). Stupisce e preoccupa il
caso della Toscana dove è vigente la legge urbanistica più conservativa per il
suolo ma che, probabilmente, le forze del cemento sono riuscite ad aggirare
nell’ultimo anno.
Andiamo a vedere la situazione a livello provinciale aiutandoci con il
coefficiente di urbanizzazione ovvero il rapporto tra aree urbanizzate e area
totale. In molte aree del Paese il coefficiente è molto alto ed è ulteriormente
aumentato, generando squilibri e criticità ecologiche e ambientali sempre più
gravi: isole di calore, maggior esposizione a danni da alluvioni, etc. Ci sono
province con coefficienti che sfiorano il 41% (Monza Brianza), il 32% (Milano),
il 35% (Napoli), il 21% (Trieste).
Scendendo al livello comunale, la situazione rimane anche qui assai grave:
in Campania si arriva a Comuni con oltre il 90% di superficie impermeabile
(Casavatore), in Lombardia Lissone arriva circa al 71,5%, Sesto San Giovani al
70%; in Emilia-Romagna Cattolica è al 62,5%, in Abruzzo Pescara al 52%. E
tantissimi sono i Comuni con oltre il 40% di superficie urbanizzata, valore che
farebbe preoccupare immensamente uno scienziato come Johan Rockstrom per il
quale la situazione è già ampiamente grave quando il peso delle aree urbane
sommate a quelle agricole supera il 15% rispetto alla superficie totale.
Valori che sono figli di consumi di suolo più o meno elevati in molti
Comuni. Il più elevato consumo di suolo lo ha totalizzato un piccolo Comune
alle porte di Cagliari, Uta, con ben 105 ettari dovuti a serre e nuovi impianti
fotovoltaici (ribadiamo la preoccupazione per la mancata
pianificazione rigorosa della localizzazione delle rinnovabili). Segue Ravenna
(il cui sindaco è ora il neopresidente della Regione Emilia-Romagna) con +89
ettari che scavalca Roma (+71,3 ettari) da sempre la top-consumer.
Tra le prime città consumatrici abbiamo anche Alessandria (+61,7 ettari),
dove il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è recato il 26
novembre scorso per ricordare la terribile alluvione del 1994 e dove, ne concludo,
il buon governo del territorio non è stato per nulla buono con il suolo,
impermeabilizzando altre decine di ettari, esponendo la città e il territorio a
nuovi rischi alluvionali.
A proposito di buon governo del territorio, non possiamo non ricordare la
prestazione sempre scintillante di Milano, Comune recentemente oggetto di
pseudo condoni edilizi (“Salva Milano”), che pur
professandosi città green, ha cementificato altri 19 ettari circa
(330,5 ettari tra il 2006 e il 2021 di cui il 23% solo tra il 2017 e il 2022).
Anche Bologna non ha spento la betoniera: +21,4 ettari nel 2022-23, + 16,8
nel 2021-22. Idem Venezia con +23,3 ettari nel 2022-23 e +40,32 nel 2021-22. E
potremmo proseguire quasi all’infinito per arrivare a dire che le città
continuano a macinare suolo, a rincorrere la rendita, a conformarsi a un
modello di insostenibilità che procurerà grossi problemi nel futuro.
Con la grave crisi ecologica in corso abbiamo bisogno dell’esatto opposto:
città che fermano il consumo di suolo, usano solo quel che hanno e liberano
spazi. E invece, continuano a spalmarsi di asfalto per poi stendersi al sole
della crisi climatica e abbrustolirsi (e noi con loro).
Ma anche gli altri Comuni consumano? Più i piccoli o i grandi? La maggior
responsabilità va sulle spalle dei Comuni medi (quelli tra i 5mila e i 50mila
abitanti) con il 58,3% del consumo di suolo dell’ultimo anno. Seguono i piccoli
(sotto i 5mila abitanti) con il 23,6%. Si affaccia di nuovo il tema della
frammentazione amministrativa come fattore che spinge il consumo di suolo.
Oppure il fatto che i piccoli Comuni si trovano a subire le grandi trasformazioni
funzionali ai capoluoghi ma che sarebbe troppo caro localizzare là. Ad esempio,
la logistica o i data center o le grandi aree parcheggio o gli
impianti energetici per le rinnovabili.
E poi ci sono gli effetti ambientali negativi che il consumo di suolo produce
e scarica sulle spalle dell’ambiente e degli abitanti. Sono tanti e nel
Rapporto sono documentati. Ricordiamo l’effetto isola di calore urbana.
L’aumento del cemento significa aumento delle superfici che si scaldano di
giorno e che scaldano le notti, rilasciando il calore accumulato, abbassando la
qualità della vita urbana sia di giorno che di notte. Il differenziale di
temperatura tra aree urbane e rurali è di oltre 10° C in molte città al punto
da condannare intere Regioni alla graticola. Così nelle città di Piemonte,
Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e
Liguria.
E poi, da non crederci, continuano i consumi di suolo in aree a
pericolosità idraulica (+1.108 ettari in media pericolosità) come se non
fossimo stati mai travolti da tragedie come quelle subite da poco nelle Marche,
in Romagna e in Toscana. E continuano anche le cementificazioni in aree a
pericolosità di frana: +37,7 ettari in aree a pericolosità di frana molto
elevata; +79,2 in aree a elevata pericolosità; +146,5 in aree a media
pericolosità.
Come vedete il consumo di suolo non si è fermato e mai si fermerà da solo.
Siamo noi a doverlo fermare. È la responsabilità di politici, tecnici e
urbanisti in primis. Ognuno dando voce a questa emorragia per come può fare.
Importante è non distrarsi. La distrazione è assolutamente vietata soprattutto
per chi ha responsabilità politiche di governo del territorio. Occorre
accelerare sulla approvazione di una legge che fermi il consumo di suolo. Vedo
invece che il Parlamento e tanta politica spendono energia a profusione per
proroghe, condoni e interpretazioni autentiche. Autentiche non certo per il
suolo e per il clima. Autentiche ancora una volta per il cemento, i soldi, il
consumismo avido e le speculazioni.
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