mercoledì 14 febbraio 2024

La sconfitta dell'agricoltura mediterranea spacciata per una grande vittoria degli agricoltori

  

Cari trattori, l’agricoltura industriale che difendete è il problema, non la soluzione - Paolo Pileri

Eccesso di zootecnia, consumo di acqua, monocolture a mais, sversamento di liquami, agrofarmaci, pesticidi, emissioni climalteranti, taglio di alberi, consumo di suolo e terre svendute alle grandi aziende dell’energia. Paolo Pileri mette in fila i temi schiacciati da chi non vuol cambiare rotta. Ma una luce (e un’alternativa) si vede

 

È un ritornello: lo abbiamo già visto. Appena qualcuno tenta una riforma della agricoltura di poco diversa dal solco del peggior consumismo, una fetta dell’agricoltura monta sui giganteschi trattori (comprati inutilmente e in parte con finanziamenti pubblici) e cerca di spaventare opinione pubblica e politica. Questa volta la prima non si sta per nulla spaventando e non sta offrendo solidarietà a prescindere, la seconda al solito ci casca.

Credo che gli agricoltori che protestano stiano clamorosamente sbagliando indirizzo: non devono prendersela con l’Unione europea che li finanzia da decenni né con gli Stati che pure li finanziano da decenni e pure quando ci sono calamità e stati di emergenza (non dimentichiamolo). Devono andare a protestare dalle loro associazioni di categoria che non li hanno aiutati quanto occorreva per farli transitare verso un’agricoltura più giusta, più sana, più pulita e verso quelli che si prendono l’80% dei contributi della Politica agricola comune (Pac) senza mai mettere piede in un campo. Se la devono prendere con chi impone loro agrofarmaci in abbondanza e sementi di un certo tipo per colture di un certo tipo (disastrose). Dopodichè è inutile che ci nascondiamo dietro un dito: l’agricoltura convenzionale o industriale, a seconda di come piace chiamarla, è solo e soltanto il prodotto di sacrifici ecologici immensi. Se non ci diciamo questo, non siamo onesti. E piacerebbe sentirlo da quelle facoltà di Agraria che ancora non riescono a scollarsi di dosso il mito della super produzione, costi quel che costi, mentre dovrebbero solo virare verso la sostenibilità a tutti i costi.

Dopodichè visto che i trattori alzano la voce, ricordiamo loro che la coscienza di un bel pezzo di agricoltura ha il colore dei fumi di scarico di quei mezzi. È infatti lunga la serie di fatti che non depongono certo a favore di un’agricoltura che si può autodefinire sostenibile né ecologica. L’eccesso di zootecnia (lo diciamo da tempo) è un problema. Innegabilmente un problema che genera un sacco di problemi all’ambiente e alle persone: eccesso di consumo idrico, monocolture a mais solo per produrre insilati, perdite energetiche in filiera, patologie sanitarie gravi per eccesso di consumo di carne, problemi enormi di spandimento dei liquami, problemi enormi per trattamento degli animali, etc.. A livello mondiale la superficie agricola dedicata alla zootecnia è oltre il 70% della superficie coltivata per produrre solo il 15-20% delle calorie alimentari. Non mi pare difficile commentare questo dato come uno sbilanciamento folle e insostenibile che è assurdo mantenere e che protegge un’industria della carne che si è eccessivamente ingrandita e che ha monopolizzato la dieta alimentare dei cittadini per fare profitto, non certo per migliorare la loro salute.

Non ricordo campagne informative delle associazioni della agricoltura che spingono a ridurre il consumo di carne. In Italia gli eccessi non mancano, la Pianura padana è un “maisificio” unico, inguardabile, disastroso. Vero è che l’agricoltura ci ha dato da mangiare, ma a quale prezzo in termini di salute e ambiente? Sono replicabili nel futuro? No. Può aiutarci l’agricoltura a cambiare in meglio? Sì, ma non con quelle proteste perché sono scentrate rispetto agli urgenti obiettivi di sostenibilità. Possiamo mangiare molta (molta, molta) meno carne e abbiamo il diritto di mangiare meglio e più sano e pulito. Questo è il diritto di noi cittadini. Non quello di abbuffarci di cibo molesto e a basso costo. Aiutateci a mangiare meglio, più sano e tutti.

Veniamo a un altro tema, disastroso: lo sversamento di liquami nei terreni. Sappiamo perfettamente che il settore ha beneficiato di deroghe su deroghe in questi anni, il tutto per tenere in vita un’economia agricola eccessivamente sbilanciata. Sappiamo bene che sulla carta molte aziende agricole vantano superfici di spandimento sufficienti, ma che non utilizzano tutte, finendo per concentrare lo spandimento solo in alcune aree. È falso?

Sappiamo che le quantità di agrofarmaci utilizzati sono eccessive e mal dosate in molti casi. Sappiamo che molta manodopera è ancora mal pagata e sfruttata. Non ricordo le associazioni dell’agricoltura offrire seminari e incontri culturali ai loro iscritti per fargli conoscere le inchieste e i libri di Alessandro Leogrande sul caporalato (per fare un esempio a cui potremmo aggiungerne altri) o le inchieste di Stefano Liberti su temi paralleli. La strada da fare è molto lunga e queste proteste sul trattore non mi pare sollevino questi temi che sono nodali e urgenti, ma preferiscono tenere tutti sul filo del ricatto: “Senza di noi non c’è cibo”. Ma quale cibo?

Oggi il paradigma della quantità a tutti i costi non funziona. Occorre cambiare. È doloroso, mi rendo conto, ma mai come oggi è necessario che la protesta sia sinceramente ecologica e non protezionistica. Ad esempio, nessuno parla di sprechi alimentari. A che cosa serve avere una agricoltura che produce-produce-produce per buttare via un quarto di quello che vende? Certo, fa cassa per chi vende, ma dal punto di vista della sostenibilità è un dramma e pure da quello della equità. Sarebbe meglio produrre meno pur spendendo uguale ma dando più soldi al produttore. E il mondo agricolo e dell’economia alimentare potrebbe fare molto molto molto di più in tal senso.

Proseguiamo con l’elenco. L’agricoltura contribuisce alle emissioni climalteranti per una quota enorme. Non usa le acque in modo sostenibile né evita scarichi inquinanti nei fossi. C’è un problema di rifiuti: tremano le gambe quando si parla di gessi di defecazione. Poi, l’agricoltura convenzionale arriva a tagliare qualsiasi albero dia il minimo fastidio ai nuovi macchinari automatici. I trattori sono diventati pesantissimi sfondano argini (altro che le nutrie, per favore) e strade di campagna e locali. È enorme l’uso di acqua che va sprecato, tanto la si paga poco. E poi quando manca l’acqua, l’agricoltura alza la mano e la politica le concede i soldi dallo Stato invocando emergenze e calamità senza mai porsi i dubbi che tutto quel mais che richiede acqua nelle stagioni dove acqua non ce ne è mai stata, forse richiederebbe di ridurre la produzione di mais e non solo piangere la necessità di acqua a iosa…

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La protesta dei trattori vista da chi fa agricoltura biologica dal 1978 - Maurizio Gritta

Maurizio Gritta della cooperativa Iris è tra i pionieri del bio e conosce bene il disprezzo per il lavoro manuale o lo scarso valore riconosciuto a chi produce. Della mobilitazione in atto non scorge però un obiettivo chiaro e condiviso. “La maggior libertà di utilizzare i pesticidi non implementerà certo i nostri redditi”. La sua analisi

Mi occupo di agricoltura biologica dal 1978. Sono nato in un’azienda agricola a conduzione familiare in provincia di Brescia e, sin da piccolo, mio padre mi ha trasmesso la passione e la professionalità necessarie per la coltivazione agro alimentare e l’allevamento degli animali. “La natura va rispettata -diceva- perché lavorandola ci dà la possibilità di prenderci cura dei nostri figli”. Pur essendo analfabeta, aveva compreso istintivamente la necessità di un rapporto paritario ed equidistante.

La cosiddetta “protesta dei trattori”, oggi, mette in luce alcune problematiche reali ma non sembra avere ancora un obiettivo solido, chiaro e condiviso in modo unanime. Nel momento in cui scrivo la Commissione europea ha ceduto alla pressione delle contestazioni e ha deciso di rinunciare alla normativa che prevedeva una riduzione progressiva dell’uso di pesticidi per proteggere la biodiversità e l’impatto sull’ecosistema. Siamo sicuri che questa concessione, insieme a qualche promessa di ridurre burocrazia e spese carburante, sia davvero un’azione che migliora le nostre condizioni di lavoro?

Non sarà certo la maggior libertà di utilizzare pesticidi o fitofarmaci a implementare il nostro reddito o la qualità della nostra vita personale e lavorativa, anzi, secondo il “Farm worker ministry” negli Stati Uniti, uno dei Paesi con i metodi di coltivazione più avanzati e moderni, la vita media di un agricoltore è di circa 49 anni, ben 29 in meno del resto della nazione, e svuotando di senso e contenuto il “Green deal” europeo rischiamo di intraprendere lo stesso percorso. L’agricoltura biologica sta dimostrando da decenni ormai come sia possibile produrre (e guadagnare) senza rinunciare alla tutela dell’ambiente che ci circonda. Coltiviamo alimenti per circa 12 miliardi di persone in un mondo abitato da otto, non abbiamo bisogno di produrre di più ma meglio, in modo più oculato e intelligente.

Una ricerca dell’Università di Goiàs in Brasile, analizzando i dati dal 2011 al 2020 di oltre 20 nazioni tra cui Francia, Stati Uniti, India, Italia e lo stesso Brasile, ha constatato un aumento parallelo, dal 40% al 60%, tra l’uso intensivo di pesticidi e le malattie cancerogene tra gli addetti ai lavori che ne sono a stretto contatto tutto il giorno nei campi. Come già accaduto per l’Ilva di Taranto crediamo di dover scendere a compromessi con la nostra salute pur di mantenere il lavoro ma la lotta comune dovrebbe concentrarsi sulla produzione di cibo sano nel modo meno inquinante possibile e pretendere che la ricerca e le nuove tecnologie studino metodi più adatti alla tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori aiutandoci a fare dei passi avanti verso un futuro migliore invece di tornare ai metodi intensivi e coercitivi del passato…

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PERCHÈ GLI AGRICOLTORI COMUNQUE PERDERANNO - Daniele Ioannelli

Nei giorni della lotta abbiamo dentro un fuoco che ci pare essere infinito, e crediamo di avere il diritto di vincere per il solo fatto di sentirlo ardere. Ma spesso invece a vincere è chi pianifica con freddo calcolo le proprie mosse.

Il Potere questo lo sa e cominciò a farlo 50 anni fa, quando spostò la dottrina economica dominante dal keynesimo, che promuoveva un benessere diffuso attraverso la formazione della cosiddetta classe media e del welfare, alla scuola austriaca del libero mercato e della globalizzazione, che concentra la ricchezza in poche mani attraverso l’esclusione dello Stato dall’economia e le privatizzazioni di beni e attività strategiche.

Ecco perchè comunque vada, anche fossero accolte il 100% delle loro rivendicazioni, gli Agricoltori hanno comunque già perso.

Gli Agricoltori oggi stanno guardando il dito e non la luna.

Il dito sono le norme imposte, o in procinto di esserlo, dall’Europa in nome di una ideologia green presentata come salvifica ma in verità distruttiva e antisociale. La luna è l’impianto ideologico nel quale queste norme sono prodotte.

Il dito viene puntato sulle politiche del cosiddetto Green Deal (Patto Verde) e della PAC (Politica Comune Europea), che sulla carta promettono sostenibilità e benessere, ma nei fatti stanno rendendo economicamente insostenibile fare agricoltura e allevamento.

Innanzitutto bisogna ricordare che oggi si è persa una consapevolezza molto presente nel passato mondo agricolo, perchè la società dei consumi ci ha abituati ad avere ininterrottamente gli scaffali dei supermercati pieni di merce sempre fresca, e cioè che avere un raccolto da vendere non è così scontato, anzi è una “grazia”, un dono che riceviamo. In quelle passate società ciò che dava la terra era sufficiente al proprio sostentamento o poco più, la resa del terreno era molto più bassa di oggi già in condizioni normali, se poi avvenivano problemi climatici, di salute pubblica o guerre…addio raccolto.

L’agricoltura e in misura minore l’allevamento sono attività di per sè con un grado alto di precarietà ma di fondamentale importanza per la nostra vita, senza cibo non viviamo. Ecco perchè è giusto e doveroso sovvenzionare con soldi pubblici chi pratica tali attività. Gli va garantita una protezione minima per il proprio sostentamento. Equiparare l’agricoltura a un qualsiasi altro settore produttivo, magari industriale, è pensare che il cibo sia un prodotto artificiale come un bullone fabbricabile nelle quantità che vogliamo nel chiuso dei nostri stabilimenti e di cui noi soli deteniamo i diritti di produzione, pena il far valere le leggi anti contraffazione.

Premesso questo, su cosa verte la protesta? Essenzialmente su questo:

  • NO a lasciare una parte del terreno, almeno il 4% per ora, a riposo e una maggiore rotazione delle colture per mantenere il terreno in salute.
  • NO alla riduzione dell’uso dei fertilizzanti e pesticidi.
  • NO alla conversione del 25% dei terreni in agricoltura biologica.
  • NO all’Irpef sui terreni agricoli.
  • NO alla soppressione degli sgravi sul gasolio agricolo.
  • NO all’eccessivo divario dei prezzi tra produttore e consumatore.
  • NO a questa burocrazia eccessivamente complicata.
  • NO al Trattato MercoSur con Unione Europea
  • NO alla zona di libero scambio globale e approfondito (DCFTA) con l’Ucraina.
  • NO all’eccessiva tutela della fauna selvatica che danneggia i raccolti.

Sostanzialmente è una protesta di tipo economico, non ci sono rivendicazioni di principi, diritti o altro. Si dice che il guadagno già ora è talmente basso che le misure in oggetto renderebbero fare agricoltura e anche allevamento insostenibile.

Ed è vero, perchè ridurre del piccolo 4% le terre utilizzabili, destinare ad agricoltura biologica il 25% della terra, utilizzare meno pesticidi e fertilizzanti, significa solo e unicamente produrre di meno e a costi più alti, ma poi dover vendere alla grande distribuzione sempre a prezzi ridicolmente bassi o anche sottocosto – grande distribuzione che però sui propri banchi applica ricarichi del 200-300% – e ritrovarsi a fine anno maggiori tasse da pagare, tra costi burocratici per ottenere gli aiuti previsti e aliquota Irpef calcolata anche sui terreni sinora esclusi dal reddito. In più si è costretti a sostenere anche quella che nei fatti è una concorrenza sleale da parte di Paesi extra-UE che possono produrre con regole più amichevoli, che hanno l’effetto immediato di contrarre ancora di più i prezzi ed erodere fette di mercato importanti, come sta già accadendo con il grano ucraino o con la carne del Sud America.

La sensazione è quella che l’agricoltura sia un settore sgradito in Europa.

Il primo elemento che salta agli occhi è la differenza di metodo tra l’UE e gli Agricoltori. La UE ha definito e porta avanti a tappe una politica ecologia di transizione dal fossile a un sistema più sostenibile. Gli Agricoltori ne fanno una questione meramente economica. Si dice: la UE faccia pure la sua transizione ecologica purchè ci riconosca un indennizzo adeguato per le perdite cui siamo costretti a causa delle sue regolamentazioni. Non c’è una visione politica della propria categoria, al massimo un vago sentimento di patriottismo e giustizia. Si risponde a una mossa della UE, non si cerca di partecipare attivamente alla determinazione delle stesse. Certo, loro devono lavorare non fare politica è vero, è per questo che si demanda questa funzione a dei rappresentanti sia di categoria sia politici. Però per loro stessa ammissione coloro i quali avrebbero dovuto curare i loro interessi non hanno fatto nulla o peggio sono complici della UE, e infatti non li hanno voluti al loro fianco in questa mobilitazione. Allora era importante portare avanti una propria differente visione di ciò che dovrebbe essere il settore agricolo oggi, alternativa, per cui battersi.

La politica UE vuole rendere il mondo sostenibile? Come? Passare dal fossile alle energie rinnovabili cosi da fermare il cambiamento climatico, e rendendo il mondo in generale un ambiente più sano, limitando le sostanze chimiche usate e salvaguardando il territorio e la biodiversità. Per attuare questa politica l’agricoltura e l’allevamento – soprattutto – vanno ridimensionati. L’agricoltura inquina il terreno con i suoi prodotti chimici, l’allevamento il clima con i gas prodotti dagli animali e dai loro liquami. Per fare energia pulita servono i terreni da destinare agli impianti del Fotovoltaico. E, non secondaria, c’è sia la questione dei nuovi cibi, quelli sintetici fatti in laboratorio o in 3D, sia gli insetti ora dichiarati commestibili.

Qui non si capisce se questi nuovi cibi siano promossi al consumo per sopperire alla futura minore produzione dei cibi naturali o se limitare questi ultimi sia propedeutico alla loro diffusione. Fatto sta che se la cornice ideologica che muove le mosse della UE è questa…anche qualora le rivendicazioni degli Agricoltori fossero accettate in toto, la UE dovrà solo correggere il tiro. La visione che promuove le riforme di questo settore è una sola e non può non andare verso la stessa direzione di oggi. Allo stesso risultato, ovvero la chiusura delle aziende agricole, si può arrivare anche solo diminuendo ulteriormente il potere di acquisto della gente, che per forza di cose andrebbe verso quei prodotti a basso costo importati, imponendo una ulteriore contrazione dei guadagni, oppure continuando a non curare il territorio, facendo si che normale pioggia diventi una inondazione distruggendo i raccolti, oppure rendendo ancora più complicato essere in regola con la documentazione per accedere agli aiuti pubblici oppure, ancora, creare un altra epidemia animale etc etc…I modi per ottenere quello che si vuole facendoli passare per la famosa “tempesta perfetta” sono infiniti e la UE ha pensatori di alto livello.

In uno di questi scenari, dove le cose “semplicemente accadono” senza nessuna responsabilità diretta se non dell’uomo e della situazione globale, gli Agricoltori di oggi contro chi potranno protestare? Contro nessuno. Quindi questa mancanza di visione da parte degli Agricoltori e questo semplice opporsi a norme di cui si vuole solo la cancellazione li ha già condannati a perdere, comunque vada la protesta.

Inoltre si dimostra anche di non aver capito il funzionamento legislativo della UE. A che serve protestare entro i propri confini, anche sotto il Parlamento della propria nazione, se a fare le leggi è qualcun altro? Una legge può essere fatta solo dalla Commissione Europea, e i Parlamenti sia Europeo sia nazionali, hanno solo il compito di dare consigli ed eseguire ciò che la Commissione Europea vuole. L’Italia, anche accogliesse il 100% delle lamentele avrebbe al massimo il potere di rimandare la loro attuazione, non di cancellarle. Potrebbe riscriverle, come la PAC prevede, e cioè ogni Paese membro può far presente la sua particolare ed unica situazione e proporre un qualcosa che si adatti alla sua realtà, ma alla fine sempre e comunque sarebbe la Commissione Europea a dire se ciò va bene o meno.

Se la Commissione Europea vuole distruggere il comparto agricolo in favore dei nuovi cibi, farà in modo che accada. A parte la loro del Green e del Sostenibile, quale altra visione del futuro circola tra la gente? La lotta da fare è tutta qui.

da qui

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