giovedì 15 febbraio 2024

La Open Arms ha lasciato il porto di Crotone dopo 20 giorni di ingiustificato fermo amministrativo

La nostra nave, la Open Arms, era partita il 17 gennaio scorso dal porto di Salerno per la sua Missione 108. Subito dopo aver raggiunto la zona di ricerca e soccorso, si era trovata a dover intervenire su tre differenti imbarcazioni in pericolo, riuscendo a trarre in salvo un totale di 57 persone, tra cui 5 minori e un bimbo di otto anni che viaggiava con lo zio.

Durante le operazioni di soccorso, tutte coordinate dalla Guardia Costiera italiana, l’equipaggio del nostro rimorchiatore era venuto a conoscenza di una quarta imbarcazione in pericolo a poche miglia di distanza. Su indicazioni delle autorità competenti, una nostra lancia veloce era stata inviata verso la posizione indicata per effettuare una prima valutazione della situazione.

Una volta giunta in zona, l’equipaggio della nostra Rhib aveva constatato la presenza di una motovedetta libica, già impegnata a recuperare le persone a bordo dell’imbarcazione in distress. Informata la nave madre, la lancia aveva immediatamente invertito la rotta, tornando verso la Open Arms.

Una volta giunti nel porto di Crotone, POS assegnato dalle autorità, il comandante era stato chiamato in questura per riferire come persone informata sui fatti. Al termine di un lungo interrogatorio durato fino a notte tarda, gli era stato notificato poi il fermo di venti giorni della nave e una possibile multa dai 3 ai 10 mila euro per aver “intralciato le operazioni di soccorso della Guardia Costiera libica”, come si legge nel verbale consegnato al Comandante stesso.

Come ribadito più volte, in alcun modo la nostra lancia ha potuto intralciare le operazioni della cosiddetta Guardia Costiera libica, essendosi limitata a constatare la presenza della motovedetta lasciando immediatamente l’area di interesse.

Insistiamo tuttavia su una questione per noi molto importante: la Libia non può essere in alcun modo considerata un luogo sicuro, come ribadito più volte dalle più importanti organizzazioni internazionali  e dalle Nazioni Unite che in quei territori lavorano. La vita delle persone vulnerabili che proprio da lì fuggono è costantemente messa in pericolo e le violenze a cui vengono sottoposte nei centri di detenzione presenti sul territorio rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani che le democrazie europee dovrebbero condannare con forza.

“Più di 100.000 persone sono state rimpatriate con la forza in Libia dopo essere state intercettate nel Mediterraneo centrale, subendo gravi violazioni dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, torture e sparizioni forzate da parte delle autorità libiche. E’ inaccettabile che queste persone, che hanno già sofferto così tanto, siano sottoposte a ulteriori violenze e abusi in luoghi di detenzione sconosciuti. Ciò non solo viola i principi fondamentali del diritto internazionale e dei diritti umani, ma dimostra anche una chiara mancanza di rispetto per la dignità e la vita degli esseri umani. Inoltre, la legislazione interna libica consente ai migranti irregolari di essere puniti con la detenzione e il lavoro forzato, il che costituisce una chiara violazione dei loro diritti fondamentali.

È preoccupante che ingenti somme di denaro, come i 100 milioni di euro stanziati con la firma dell’accordo Italia-Libia del 2017, vengano utilizzate per fermare i flussi migratori e rafforzare la cosiddetta Guardia Costiera libica, nonostante le gravi accuse di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani che sono state portate avanti dagli organismi internazionali. E’ chiaro che il traffico di esseri umani in Libia è stato gestito con la complicità di alcune istituzioni del Paese, il che è inaccettabile”. Così Oscar Camps, fondatore della ONG.

Durante la Missione 108 inoltre, abbiamo registrato episodi che destano preoccupazione e di cui abbiamo immediatamente informato le autorità competenti. Al termine dei soccorsi, sulle tre imbarcazioni, 5 persone hanno rifiutato di salire a bordo della nostra nave, decidendo di allontanarsi autonomamente senza tuttavia essere fermate dalla cosiddetta Guardia Costiera libica, pur presente in zona. Il fatto che alcune persone si siano rifiutate di essere soccorse suggerisce che i trafficanti di esseri umani stiano usando nuove tattiche per sfruttare migranti e rifugiati vulnerabili. Come osservatori di quanto sta accadendo nel Mediterraneo, abbiamo immediatamente segnalato questi eventi alle autorità italiane, consegnando un report dettagliato e agendo in totale e completa trasparenza.

Si tratta di un fenomeno nuovo, a cui assistiamo per la prima volta in tanti anni di operatività in mare. Non siamo in grado di dire a cosa sia dovuto, né sappiamo chi fossero le persone a bordo che hanno rifiutato il soccorso; per noi la priorità rimane il soccorso tempestivo delle donne, dei bambini, degli uomini che ogni giorno rischiano la vita in mare. Questa è e resterà la nostra sola missione, consapevoli del fatto che le navi umanitarie rappresentano oggi l’unico presidio in mare capace di garantire la vita e di documentare ciò che accade nel Mediterraneo.

da qui

 

Brindisi, sit-in di solidarietà contro il fermo della Ocean Viking - Lucio de Candia

Nel pomeriggio di domenica 11 febbraio, grazie ad una mobilitazione spontanea delle associazioni territoriali, si è tenuto sul lungomare di Brindisi un sit-in di solidarietà nei confronti dell’equipaggio dell’Ocean Viking in seguito al nuovo decreto di fermo imposto dalle autorità italiane, il terzo in pochi mesi.

Il personale della nave è stato accolto dalla comunità locale che ha voluto manifestargli il proprio supporto e la propria vicinanza in un periodo storico in cui si assiste a una vera e propria opposizione politica ad interventi di salvataggio in mare; l’operato della Ocean Viknig non solo è conforme alle convenzioni internazionali in materia, ma di fatto risponde a un dovere di soccorso nei confronti di persone in pericolo di vita.

E’ stato lasciato spazio all’intervento del personale della nave, composto non solo da esperti dell’assistenza in mare, ma anche da professionisti di comunicazione, logistica e mediazione culturale: il blocco è stato imposto perché l’Ocean Viking avrebbe ostacolato l’attività della Guardia Costiera libica, ritenuta al contrario responsabile di una condotta ambigua e pericolosa per le sorti di persone in evidente stato di pericolo.

Erano presenti al raduno anche volontarie del Gruppo salvagente di SOS Mediterranee di Bari, sezione locale del network organizzativo che gestisce l’imbarcazione…

continua qui

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