domenica 25 febbraio 2024

Sardegna, l’isola nascosta in cerca di un futuro - Costantino Cossu

 

ELEZIONI REGIONALI. Nella Sardegna profonda, dove i piccoli paesi rischiano l’estinzione e gli ultimi echi della campagna elettorale arrivano smorzati. Crisi profonde nel settore industriale, soffrono agricoltura e pastorizia. Disoccupazione al 12%. Le scuole chiudono per i tagli decisi a Roma, i trasporti sono da incubo.

Sul manifesto del 24 febbraio 2024

https://ilmanifesto.it/sardegna-lisola-nascosta-in-cerca...


Tuili è un paese alla fine del mondo. Novecento abitanti nel cuore della Giara di Gesturi, nel cuore della Sardegna. È lontano dalle città, lontano dalle coste della monocoltura turistica. Il ministro della Difesa Crosetto lo ha messo nella lista dei siti che potrebbero ospitare il deposito nazionale delle scorie radioattive.

Chi li vede qui i veleni delle vecchie centrali dismesse che nessuno vuole? A Tuili ogni anno da parecchi anni i morti sono più dei nati. Se va avanti così, dicono i demografi, nel giro di una sessantina di anni Tuili diventerà un paese fantasma, del tutto disabitato.

E non è il solo in Sardegna a rischiare l’estinzione. Ce ne sono altri trenta di piccoli centri che hanno un tasso demografico negativo. Si chiama spopolamento.

A Tuili non vorrebbero le scorie radioattive. Vorrebbero servizi. Perché se non ci sono scuole, se non ci sono ambulatori, se non ci sono uffici postali, se non c’è un cinema o una biblioteca, per quale motivo la gente non dovrebbe fuggire a Cagliari o prendere un traghetto e andarsene sul continente?

ANCHE A TUILI DOMANI si vota per eleggere il nuovo governatore dell’isola. Ma gli echi della campagna elettorale arrivano smorzati ai bordi della Giara. A pochi chilometri il profilo monotono dell’altopiano è spezzato dalle torri della regia nuragica di Barumini. Pietre millenarie, il tempo circolare delle società tradizionali.

Cagliari e Roma qui sono distanti non solo per numero di chilometri. E però è proprio per questo che è utile guardare alla Sardegna profonda ora che brillano, un po’ mesti, gli ultimi fuochi di una battaglia politica dura, con il centrodestra che s’è messo nelle mani di un nostalgico del Duce e un centrosinistra diviso.

Mentre ieri a Cagliari Alessandra Todde per l’alleanza Pd-M5S e Renato Soru per la Coalizione sarda chiudevano le rispettive campagne elettorali ripetendo le argomentazioni sulle quali hanno battuto per due mesi e dandosele ancora di santa ragione, e mentre il fedelissimo meloniano Paolo Truzzu nel suo comizio finale ripeteva che la vittoria del centrodestra è sicura, Tuili guardava e giudicava.

Guardava e giudicava dalla solitudine delle zone interne, dalla quale giovani donne e giovani uomini scappano per avere un futuro.

La situazione non è molto diversa in tante altre parti della Sardegna. Se ne sa poco, oltre Tirreno, di che cos’è quest’isola.

Si sa poco ad esempio, di che cosa sta accadendo nel Sulcis, Sardegna sud-occidentale. Le miniere di carbone hanno chiuso da tempo e il distretto metallurgico di Portovesme è in crisi profonda. Le fabbriche vendute dallo Stato negli anni Novanta alle multinazionali dell’alluminio sono tutte a un passo dalla chiusura, con migliaia di posti di lavoro a rischio. E nessuna risposta.

Difficile fare politica industriale se a prevalere, alla fine, è sempre la logica del mercato. Persino la famiglia Moratti ha mollato. È della scorsa settimana la notizia che il gruppo milanese ha venduto lo stabilimento petrolchimico di Sarroch alla holding svizzero-olandese Vitol. I sindacati sono in allarme: sanno che cosa può succedere quando le proprietà si spostano fuori dai confini nazionali.

MA NON È SOLTANTO il settore industriale a soffrire. Vanno male agricoltura e pastorizia, alle prese con una crisi strutturale che ha dimensioni europee e alla quale l’assenza di visioni di lungo periodo impedisce di trovare rimedi che tengano insieme tutela dei redditi e transizione ecologica.

L’amministrazione pubblica è in stallo, penalizzata dalla lentezza con la quale la politica regionale gestisce l’altra decisiva transizione, quella digitale.

La scuola è in sofferenza: gli istituti chiudono per i tagli decisi a Roma (il dimensionamento scolastico) e la Sardegna è tristemente al primo posto nella classifica dei ragazzi che abbandonano gli studi prima di terminare il corso obbligatorio.

I trasporti sono da incubo. Sali su un treno e ti sembra di entrare in una macchina del tempo, su binari che seguono le tratte progettate dai pionieri delle ferrovie nell’Ottocento e con tempi di percorrenza da scoraggiare chiunque: per arrivare da Cagliari a Sassari – 220 chilometri – si impiegano tre ore e mezza.

Restano le strade, ma anche quelle sono un disastro. La statale 131, che percorre da Nord a Sud la regione, è una delle arterie più pericolose d’Italia, interrotta com’è da eterni cantieri di manutenzione. E le strade provinciali, su vecchi e tortuosi tracciati, abbandonate da decenni sono un colabrodo di buche.

Per non parlare dei collegamenti con la penisola: con le politiche della destra, che privilegiano il mercato, i biglietti degli aerei e quelli dei traghetti sono diventati salatissimi. E che dire dei poligoni?

Un recente studio di un gruppo di economisti dell’università di Cagliari ha dimostrato che le zone occupate dalle basi sono quelle che in Sardegna hanno avuto i tassi di crescita più bassa: reddito sotto la media regionale e dinamismo imprenditoriale prossimo allo zero.

Soltanto il turismo va bene, in Sardegna, aiutato da salari vergognosamente bassi e dalla diffusione del precariato e del lavoro nero.

LA CONSEGUENZA di tutto ciò è che nell’isola il tasso di disoccupazione è al 12%, 5 punti in più della media nazionale. E con la disoccupazione riparte l’emigrazione. I sardi se ne vanno via e se le cose non cambiano si prepara, per i prossimi decenni, uno scenario demografico nerissimo.

Questa è la Sardegna in cui domani si vota. Un quadro rispetto al quale le responsabilità della destra al governo negli ultimi 5 anni sono forti ed evidenti. Ma i problemi hanno radici che affondano ben al di là nel tempo. E sono in pochi a potersi dire assolti.

da qui

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