La
caratteristica distintiva di una conversazione è l’attesa di una risposta. Se
non ci fosse sarebbe un monologo. Quando parliamo di persona, o al telefono, le
risposte arrivano quasi subito: quando smettiamo di parlare, l’altra persona
risponde in media dopo appena duecento millisecondi.
Negli ultimi
decenni la comunicazione scritta ha recuperato terreno fino ad avvicinarsi
molto alla velocità di una conversazione (almeno fino a quando non
installeranno dei microchip pensiero-testo nei nostri cervelli). Per scrivere
un messaggio ci vogliono più di duecento millisecondi, ma li chiamiamo
“istantanei” per un motivo: ogni messaggio, infatti, potrebbe avere una
risposta più o meno immediata.
Sappiamo
anche, però, che non è obbligatorio rispondere immediatamente a ogni messaggio.
Questi strumenti di comunicazione sono concepiti per essere istantanei, ma
possono essere facilmente ignorati. Come, del resto, facciamo. I messaggi non
ricevono risposta per ore o giorni, le email si accumulano nella casella di posta
così a lungo che la frase “Scusa se ti rispondo in ritardo” è passata
dall’essere un messaggio sincero a una frase fatta.
Non c’è
bisogno di tecnologie avanzate per ignorarsi a vicenda: basta un minimo sforzo
per evitare di rispondere a una lettera, a un messaggio vocale o al campanello
quando citofona qualcuno. Come spiega Naomi Baron, una linguista dell’American
University che studia il linguaggio e la tecnologia, “in passato abbiamo offeso
le persone in mille modi diversi”. La differenza è che ora “i mezzi di
comunicazione, che teoricamente sono asincroni, funzionano sempre di più come
se fossero sincronici”.
Per questo
abbiamo la sensazione che tutti possano rispondere immediatamente, se ne hanno
voglia, e ci prende l’ansia se non lo fanno. Ma il paradosso dei nostri tempi è
che quest’ansia è il prezzo da pagare per la comodità. Le persone sono felici
di accettare questo scambio per avere la possibilità di rispondere solo quando
hanno voglia.
Quando sei
davanti a una persona osservi l’ombra delle tue parole sul suo volto
Nonostante
sappiamo che tutti hanno delle buone ragioni per non rispondere a un messaggio
o a un’email (sono occupati, non hanno ancora visto il messaggio, stanno
riflettendo sulla risposta), non sempre è facile tenerne conto in una società
in cui tutti sembrano incollati al telefono. Secondo un sondaggio del centro di ricerca Pew, il
novanta per cento di chi ha un telefono lo porta spesso con sé, mentre il 76
per cento lo spegne raramente o mai. I giovani coinvolti in uno studio del 2015 hanno controllato
il telefono una media di 85 volte al giorno. Se a questo si aggiunge che è
sempre più accettabile usare il telefono mentre siamo con altre persone,
non ci vorrà molto prima che le persone vedano ogni messaggio ricevuto.
“Così si
crea un mondo in cui le persone pensano di ricevere subito una risposta ai loro
messaggi, ma poi non succede. E questo non fa che aumentare l’ansia”, spiega
Sherry Turkle del Massachusetts institute of technology.
La cosa è
ansiogena perché la comunicazione scritta oggi è concepita per scimmiottare le
conversazioni. Permette un veloce dialogo botta e risposta, ma senza il
contesto fornito dal linguaggio del corpo, le espressioni del viso e il tono. È
più difficile, per esempio, capire se qualcuno ha trovato antipatiche alcune
parole, oppure provare a spiegarsi meglio. Quando sei davanti a una persona,
invece, “osservi l’ombra delle tue parole sul suo volto”, dice Turkle.
Nel
racconto Cat person, pubblicato con successo a dicembre 2017 sul New Yorker,
una giovane donna ha una relazione romantica fallimentare con un uomo
incontrato nel cinema in cui lavora. Nel racconto i due si vedono solo una
volta, ma imparano a conoscersi attraverso messaggi di testo. Quando la
relazione si conclude in modo caotico, emerge non solo che la realtà può
distruggere le aspettative sentimentali, ma anche quanto la comunicazione
digitale sia incapace di farci conoscere davvero l’altra persona.
Non sempre è
facile capire cosa vuol dire una persona con un’emoji
In un’intervista, Kristen Roupenian,
l’autrice del racconto, ha detto di essersi ispirata “alle fragili prove che
usiamo per giudicare le persone che incontriamo al di fuori della nostra
cerchia di amici, che siano in rete o meno”. Infatti, anche con le persone che
già conosciamo spesso ci affidiamo a forme di comunicazione senza contesto.
Questo mette un’aspettativa enorme sulla parole (e le emoji) che usiamo. E ogni
messaggio, così come le pause tra i messaggi, assume un’importanza enorme.
“I messaggi
di testo diventano segni sulla pietra da analizzare e sui cui scervellarsi”,
sostiene Turkle. Non sempre è facile capire cosa vuol dire una persona con un’emoji
o con una pausa di tre giorni tra un messaggio e l’altro. Ognuno di noi ha
un’opinione diversa su quanto sia giusto aspettare prima di rispondere. Come faceva notare sull’Atlantic Deborah
Tannen, linguista dell’università Georgetown, i segnali che mandiamo con il
modo in cui comunichiamo online possono essere fraintesi con facilità:
Gli esseri
umani sono sempre impegnati a creare significato e a interpretare significato.
Quando spediamo un messaggio possiamo scegliere tra varie opzioni (quale
strumento usare e come usarlo, per esempio) e ognuna di questa assume un
significato diverso. Ma visto che le tecnologie e il modo in cui funzionano
cambiano in continuazione, anche i nostri amici più intimi e i parenti li usano
in modi diversi. I metamessaggi sono sottintesi e possono essere fraintesi o
non colti affatto”.
Quest’opacità
dei metamessaggi genera ogni anno migliaia di altri messaggi di testo, perché
le persone chiedono ai loro amici d’interpretare esattamente quello che la
persona a cui sono sentimentalmente interessate voleva dire con una certa
sfumatura, o se il silenzio di una settimana significa che sono state vittime
di ghosting,
ovvero che sono state lasciate da un partner che semplicemente smette di
rispondere e sparisce (il New Yorker ha fatto una parodia di questa analisi
testuale collaborativa in un video in cui un gruppo di donne si ritrovano, come
in un consiglio di guerra, per rispondere alla domanda “era
una relazione”?).
Strumenti
concepiti per aumentare la chiarezza – come la conferma di lettura o la piccola bolla coi tre puntini di
iMessage che ti avvisa quando qualcuno sta scrivendo – spesso non fanno altro
che aumentare l’ansia, perché mostrano in modo incontestabile quando qualcuno
ti sta ignorando, oppure quando ha cominciato a rispondere ma poi ha deciso di
concludere più tardi.
Il fatto che
le persone sappiano quanto sia stressante aspettare una risposta a un messaggio
istantaneo non significa che, a loro volta, non ignoreranno quelli che hanno
ricevuto da altri. A volte le persone non rispondono per far capire apertamente
che sono infastidite, o che non vogliono continuare una relazione. Secondo
Turkle, aspettare molto tempo prima di rispondere è un modo per stabilire un
ruolo dominante nella relazione, per trasmettere il messaggio di essere troppo
occupato o importante per rispondere.
Spesso,
invece, le persone stanno solo cercando di gestire la quantità di messaggi e
notifiche che ricevono. Nel 2015 lo statunitense medio riceveva 88 email di
lavoro al giorno, secondo la società di ricerche di mercato Radicati,
ma ne spediva solo 34. Il motivo? Chi ha tempo per rispondere a 88 email al
giorno? Forse una persona non risponde perché ha capito che l’interruzione che
impone una notifica influisce negativamente sulla sua produttività, e quindi
ignora il telefono per poter lavorare un po’.
Mi sorprendo
a ignorare o a ritardare messaggi anche importanti, e altri ai quali desidero e
voglio rispondere. Ho dovuto creare un’etichetta rossa per le email “Devi
rispondere” per combattere il mio personale problema di “risposta tardiva”. Mi
capita regolarmente di leggere messaggi di testo, pensare “a questo risponderò
dopo” e poi dimenticarmene completamente. La memoria di lavoro, la lista
mentale di cose da far fare al cervello, non può contenere troppe cose, e
quando alle notifiche si aggiungono le liste della spesa e di cose da fare al
lavoro, comincia a perdere colpi.
“Un sacco di
volte succede che le persone portino avanti cinque conversazioni
contemporaneamente, ma non si può pensare che siano intime e presenti allo
stesso modo in tutte e cinque i casi”, dice Turkle. “E quindi smistano,
stabiliscono delle priorità, dimenticano delle cose. Il nostro cervello non è
uno strumento perfetto per gestire i messaggi”.
Ci sentiamo
a nostro agio chiedendo alle persone solo alcune briciole del loro tempo
Eppure,
nonostante i messaggi istantanei possano essere ansiogeni, le persone li
preferiscono. Gli statunitensi passano più tempo a mandare messaggi che a
parlare al telefono, e i messaggi di testo sono la forma di comunicazione più
frequente per gli statunitensi che hanno meno di cinquant’anni.
Nonostante
l’invio di messaggi di testo sia diffuso in tutto il mondo, Baron,
dell’American University, ritiene che la preferenza per una comunicazione
facile da ignorare è un tratto tipico degli statunitensi. “Gli americani, nelle
loro comunicazioni, sono in generale molto più maleducati di altri”, spiega.
“La seconda questione riguarda un profondo senso di autoaffermazione. Penso che
siamo diventati una sorta di maniaci del potere, non solo del controllo”.
In una
ricerca eseguita da Baron tra il 2007 e il 2008 sugli studenti di molti paesi
–compresi gli Stati Uniti – le cose che gli intervistati dicevano di amare di
più rispetto ai loro telefoni erano spesso legate al controllo. Una
statunitense ha dichiarato che la cosa che preferiva era la possibilità di
“comunicare quando lo desidero (e il fatto di poter smettere quando non la
desidero più)”.
“Quello che
ho osservato in questo paese, e non so se è una caratteristica nazionale, è che
le persone aspettano di rispondere finché non credono di avere la risposta
perfetta”, spiega Turkle. “E credo che per questo paghiamo un prezzo molto
alto”.
Nella
ricerca di Baron, le persone dicevano anche di sentirsi controllate dai loro
telefoni, lamentandosi di quanto fossero dipendenti, e come la connettività
costante li facesse sentire obbligati a rispondere.
Ma i
messaggi di testo e le email non creano un senso di dovere paragonabile a
quello delle chiamate telefoniche o delle conversazioni faccia a faccia. Quando
ai giovani viene chiesto perché non amino telefonare, sostengono che si tratta
di qualcosa di “invasivo” e parlano della loro riluttanza a imporre un peso su
qualcun altro. La messaggistica istantanea crea una copertura per negarsi in
modo credibile a chi non ha voglia di rispondere. La cosa può provocare
sollievo in chi vuole negarsi e frustrazione in chi lo sta cercando.
Ma più di
tutto, l’era della messaggistica istantanea ha reso possibile la capacità di
sostenere delle conversazioni secondo le regole che preferiamo. Possiamo
rispondere subito, possiamo rimandare di due o tre giorni, oppure possiamo non
rispondere del tutto. Possiamo gestire varie conversazioni contemporaneamente.
“Scusa, ero fuori con alcuni amici” è una frase che possiamo usare se
rispondiamo in ritardo. Oppure possiamo rispondere anche mentre siamo fuori con
amici: “Scusa, devo rispondere subito a questa persona”.
Mano a mano
che queste cose diventano normali, ci sentiremo a nostro agio solo chiedendo
alle persone alcune briciole del loro tempo, per timore che ci obblighino a
dargli la nostra piena ed esclusiva attenzione.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato da The Atlantic.
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© 2018. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency.
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