A Furtei mancavano
solo le mucche al pascolo nell’area contaminata della miniera
d’oro dismessa.
Follìa nel
disastro ambientale.
Come si
ricorda, lo scorso 21 dicembre 2017 i vertici
istituzionali della Regione autonoma della Sardegna,
degli Enti locali interessati e delle società
regionali coinvolte hanno
presenziato a Furtei all’avvio (finalmente)
dei lavori di bonifica ambientale sui 530 ettaridevastati
dall’inquinamento da metalli pesanti determinato dalla locale miniera
d’oro dismessa.
Dal 1997 al
2008 sono stati estratti circa 5 tonnellate d’oro, 6
d’argento e 15 mila di rame in lingotti in forma
composita, cioè non immediatamente utilizzabile, macinando530
ettari di territorio per una quarantina di posti
di lavoro.
Ora inizia
la bonifica, sempre a spese pubbliche, così come
la realizzazionedella medesima miniera.
Non si ha
alcuna notizia di iniziative concrete ed effettive poste in essere dalla Regione
autonoma della Sardegna per ottenere il pagamento delle spese
per la messa in sicurezza e il ripristino ambientale da parte
del Soggetto che rivestiva la qualifica di concessionario
minerario, perlomeno mediante l’escussione delle fideiussioni di
legge prestate.
Tutti gli
importi impiegati o finanziati sono, quindi, fondi pubblici.
La stima del costo
complessivo della bonifica ambientale del sito
inquinato è pari a 65 milioni di euro.
La Regione
autonoma della Sardegnaannuncia di
intervenire per la realizzazione degli interventi di bonifica ai sensi
dell’art. 245 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i., con successiva
facoltà di rivalsanei confronti del responsabile dell’inquinamento per le
spese di bonifica e il maggior danno ambientale subìto (art. 253 del decreto
legislativo n. 152/2006 e s,m.i.).
In
pratica, se non ha incassato un euro finora, non lo incasserà quasi
certamente mai.
C’è quindi
ben poco da gioire, a differenza di quanto fanno i vertici istituzionali della
Regione autonoma della Sardegna.
Ora c’è
quantomeno da sorvegliare l’area contaminata, se non è chiedere troppo.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
Un lago di cianuro: il pascolo avvelenato delle mucche sarde – Nicola Pinna
In questi giorni di primavera le campagne del Medio Campidano si presentano
come un paradiso verde. Erba fresca, cespugli fioriti e pascoli sterminati. Ma
nell’isola che si fa vanto delle sue produzioni agricole d’eccellenza, del
latte di alta qualità e del formaggio con denominazione controllata, capita di
incontrare una mandria di vacche che bruca in mezzo a un lago di cianuro. Nel
cuore di una bomba ecologica che rappresenta il più grande scandalo della
storia industriale della Sardegna. Dietro la collina di Santu Miali, tra
Furtei, Segariu e Guasila, c’è ancora lo spettro di una vecchia miniera d’oro.
Di quel sogno che si è trasformato in un incubo rimangono gravi ferite: una
montagna sventrata, acque e terreni contaminati e un lago avvelenato. Tutta l’acqua
venuta fuori dalle gallerie, dove l’attività è durata pochi anni, ha formato un
bacino da cui sarebbe meglio stare alla larga. Un mix di mercurio, ferro,
piombo, cadmio e zolfo, ha formato una specie di roccia durissima che ogni
giorno cambia colore.
Dopo quasi dieci anni, la Regione ha progettato la bonifica della collina
dei veleni ma qui l’attività agricola non si è mai fermata. Intorno alla
miniera ci sono campi di carciofi e di grano e qualche allevatore sfrutta il
lago di cianuro come pascolo per le sue vacche. «Gravissimo che chiunque possa
entrare in una zona altamente inquinata e nella quale si corrono pericoli così
gravi - denuncia l’ex deputato Mauro Pili, che per primo ha fotografato e
filmato le mandrie tra i metalli pesanti - Il rischio ovviamente non riguarda
solo gli animali ma l’intera catena alimentare».
L’assessore regionale all’Ambiente, Donatella Spano, ha ricevuto le
foto-choc, ha segnalato subito il caso alla Forestale e incaricato gli agenti
di allontanare le vacche e trovare il proprietario. «Spero che questa
situazione non si ripetesse da molto tempo: in ogni caso credo sia urgente
avviare un’indagine - dice preoccupata -. Giusto da qualche mese, comunque, la
Regione ha dato il via al progetto di bonifica, mettendo a disposizione un
finanziamento di 65 milioni di euro. Nel giro di poco tempo speriamo di
riuscire a cancellare una situazione davvero scandalosa». «Ancora una volta i
pastori hanno rotto le recinzioni - spiega l'amministratore dell’Igea, la
società regionale che gestisce le vecchie miniere - Nella zona comunque, la
situazione è sotto controllo, non c’è disperazione di inquinamento, le
caratterizzazioni dicono che non ci sono pericoli».
La ricerca dell’oro nel Centro Sardegna ha fatto ricchi solo gli australiani
che hanno perforato la collina di Santu Miali. Agli abitanti di Furtei, Guasila
e Segariu è rimasto in eredità un disastro ambientale. La Sardinia Gold Mining
(controllata dalla canadese Buffalo Gold Itd, partecipata dalla Regione e
presieduta dal 2001 al 2003 dall’ex governatore sardo Ugo Cappellacci,che
rinunciò all’incarico perché non c’erano garanzie sul rispetto delle norme
ambientali) ha interrotto l’attività alla fine del 2008. E nel 2009 ha portato
i libri in tribunale. Decretato il fallimento, gli operai sono stati licenziati
e delle bonifiche nessuno si è preoccupato.
In dieci anni di scavi sono venute fuori meno di cinque tonnellate d’oro,
sei d’argento e quindicimila di rame. Nel 1997 erano stati assunti in 110 ma
già pochi anni dopo erano solo 42. E così il sogno del nuovo Eldorado si è
infranto. «Su questo disastro si aprirà presto un processo, ma per avviare
un’indagine abbiamo dovuto presentare decine di denunce - ricorda Stefano
Deliperi, presidente dell’associazione “Gruppo d’intervento giuridico” -. Le
vacche al pascolo sono l’ultima puntata di uno scandalo che per tanto tempo è
stato ignorato. Nella zona della vecchia miniera tanti agricoltori continuano a
coltivare nonostante l’altissimo tasso di contaminazione dei terreni e delle
falde. Qualcuno qui sta bevendo latte contaminato».
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