In media controlliamo il
telefono duecento volte al giorno,
che si tratti di posta elettronica, notifiche, tweet o messaggi di testo.
Questo livello di connettività non ha precedenti. Ed è difficile immaginare la
vita senza: essere così connessi significa accedere in un istante a
informazioni, persone, momenti di divertimento e di rabbia. L’aspetto
inquietante è il modo in cui questa connettività sta trasformando la struttura
del nostro pensiero.
Non è affatto detto che gli
aspetti positivi superino quelli negativi.
L’istantaneità è il nuovo dio: istantaneità di presenza, comunicazione e risposta. Da un lato è
una cosa fantastica, ma dall’altro è preoccupante. Quale profondità di pensiero
può esserci dietro delle risposte così veloci? Non si può fare altro che
riproporre opinioni preesistenti e affidarsi a reazioni istintive. Non c’è
tempo per veri confronti, dibattiti e argomentazioni.
Recentemente Tim Berners-Lee,
l’uomo che ha inventato il world wide web nel 1989, ha preso una posizione
molto dura contro la negatività e la prepotenza che imperversano sui social
network, in particolare su Twitter.
In un mondo veloce e senza
troppa riflessione, ha detto Berners-Lee, i tweet sono diventati un veicolo per
la rabbia. A quanto pare le
cose che ci fanno arrabbiare hanno dieci volte più probabilità di essere
ritwittate rispetto a quelle che ci rendono felici. Da qui l’atmosfera che domina in molti
social network: prepotente, misogina e negativa. Berners-Lee ha auspicato che
queste piattaforme siano reinventate in modo da favorire l’espressione di
“critiche costruttive e armonia”.
È difficile non essere
d’accordo, ma altrettanto complicato è immaginare che aspetto potrebbero avere
simili social network. Per prima cosa, forse,
dovrebbero essere molto più lenti.
Nel suo best seller Pensieri lenti e veloci,
Daniel Kahneman ha
sostenuto che il cervello umano funziona in base a due sistemi fondamentali.
Durante il nostro sviluppo come primati pensanti dovevamo fare affidamento su
pensieri reattivi, istintivi ed emotivi per affrontare i pericoli. L’istinto
era il modo migliore per restare vivi. Kahneman definisce questo tipo di
riflessione sistema 1.
Spesso commette errori, è irrazionale e si affida all’inconscio, ma permette
scelte rapide, necessarie alla sopravvivenza. Il sistema 2 è più lento e deliberativo. Soppesiamo
le prove, esercitiamo il giudizio, discutiamo con gli altri e cerchiamo di
arrivare a conclusioni fondate. È uno sforzo intellettuale che richiede tempo.
Ovviamente sarebbe meglio se la maggior parte delle nostre decisioni fosse
presa dal sistema 2, ma nel trambusto della vita quotidiana è semplicemente
impossibile.
Nonostante tutti i suoi
difetti, spesso dobbiamo fare affidamento sul sistema 1 per andare avanti.
Siamo iperottimisti, iperemotivi, troppo influenzati dagli eventi recenti,
troppo ansiosi di evitare un rischio invece di cogliere un’opportunità. E tutto
a causa del sistema 1. Per gestire tutti gli impulsi che riceviamo siamo
costretti ad affidarci al pensiero intuitivo.
Quando abbiamo il telefono in
mano, il sistema 1 diventa il nostro principale modo di pensare. Nessuno può gestire il volume di dati a cui siamo sottoposti oggi
senza fare affidamento sui sentimenti per elaborare risposte istantanee, spesso
motivate dalla reazione che osserviamo negli altri. C’è meno spazio per la
riflessione ed è più forte la pressione che ci spinge a prendere decisioni
immediate e a passare oltre. Adoro questo film, questo articolo è orrendo (o
fantastico), questo politico è una ventata d’aria fresca (o un bastardo
ipocrita) e così via. Una delle ragioni per cui c’è tanta misoginia in rete è
che criticare l’aspetto fisico di una donna è l’impostazione predefinita di
troppi uomini. Non esiste un legame logico tra le opinioni di una donna e il
suo aspetto, ma al sistema 1 questo non interessa.
Berners-Lee ha ragione:
internet è il miglior strumento per cambiare il mondo che sia mai stato
inventato. Democratizza e apre nuove possibilità. Ma questo vale solo se è
usato per rafforzare il sistema 2. Certo, spesso ricorriamo a internet per
prendere decisioni cruciali, documentarci su una malattia, organizzare una
vacanza, comprendere una scoperta scientifica. Ma la maggior parte delle
volte lo usiamo per perdere tempo su YouTube e su Facebook. È un comportamento
compulsivo, perché ci spinge continuamente verso un universo da sistema 1,
fatto di sciocchezze e comportamenti impulsivi.
Forse l’appello di Berners-Lee
verrà ascoltato e qualcuno inventerà dei social network diversi, in cui uno dei
protocolli fondamentali sarà il tempo per pensare. Ma per ora sembra
improbabile. Il dibattito
pubblico sta diventando più emotivo e rabbioso dei suoi protagonisti. I partiti
tradizionali si stanno allontanando dalle posizioni moderate anche a causa
della rabbia alimentata dai social network, che favorisce le posizioni più
estreme. I social network stanno cambiando le regole.
Paradossalmente, ci stanno
insegnando che abbiamo bisogno di più tempo per pensare e più spazio per essere
seri.
Traduzione: Internazionale n. 1140
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