lunedì 1 febbraio 2016

Bimbi e ragazzi disabili: un’altra occasione mancata - baruda


Si leggono storie di madri e padri che mettono la sveglia all’alba per portare i loro figli al parco. O che aspettano le ore più fredde ed umide, quando gli altri portano i bimbi a casa, al riparo dal vento o dal troppo caldo: solo per far giocare i loro figli.
Noi mamme di bambini disabili impariamo ogni giorno a notare ogni minima differenza: attraverso i nostri figli impariamo, come dei bambini spauriti, a riconoscere i particolari di ogni bimbo, i particolari di ogni disabilità. Imparare a conoscere le piccole differenze (spesso enormi) nella disabilità dei figli delle altre mamme nella mia condizione mi permette di comunicare, di provare a giocare, di tentare di farli sentire meno esclusi e allo stesso tempo di escludere meno me. E mio figlio.
Mio figlio accede ai parchi per ora: accede perché è piccolo, accede perché ha un passeggino posturale ingombrante ma funzionale, accede perché malgrado i miei 40 kg riesco a prenderlo in braccio, a caricarlo sulle altalene, a fare lo scivolo con lui in braccio tornando un po’ bambina anche io.
Mio figlio osserva il mondo con la sua bocca un po’ troppo aperta, con gli occhi enormi e pieni di parole, con il silenzio e il nervosismo di un bimbo che non parla, che ha una diagnosi pesante, che palesemente capisce di essere diverso dagli altri, che combatte le sue menomazioni da quando è nato.
Non tutte le diagnosi che hanno i nostri figli permettono di combattere: per tutte però dovremmo trovare un po’ di integrazione e socialità. Tutte.
Esiste un mondo grandissimo, che non conosco ancora molto bene, che è quello dell’autismo. Lo stesso autismo che per lo stato italiano finisce col compimento del 18esimo anno di età…e sappiamo bene quanto non è vero.
I ragazzi autistici spesso vivono un isolamento simile a quelli con disabilità motorie gravissime, vengono violentemente allontanati dalla società, dalle famiglie altre che non conoscono queste genere di patologie.
Perché la maggior parte di questi ragazzoni autistici può far paura, quando non si sa cosa hanno, quando si accompagna un bimbo piccolo in un parco a giocare: sono grossi e ingombranti, si comportano in modo strano perchè son ragazzi grandi eppure voglion saltare e andare sugli scivoli, correre e correre e correre.
Oddio quanto chiacchiero… volevo raccontarvi una notizia e sto qui a blaterare.
La notizia l’ho letta stamattina e la potete leggere per intero qui.
E’ una notizia triste e surreale. Si parla di un’inaugurazione di un parco tanto atteso, di un’inaugurazione che avrebbe dovuto coinvolgere anche i ragazzi autistici, che avrebbe dovuto permettere a quelle mamme che vanno a far giocare i loro figli nei parchi “quando gli altri bimbi non ci sono, almeno non diamo fastidio” di andare insieme alle altre.
Doveva esserci un’area dedicata ai ragazzi autistici:
“Da tempo avevamo comunicato al sindaco Massimo Zedda e all’assessore Paolo Frau che c’era l’esigenza di un parco dove i nostri figli potessero andare. Così, quando abbiamo saputo che forse era stato trovato, siamo andati subito a vederlo. E’ successo molti mesi fa. E l’assessore Frau ci ha fatto da guida. Abbiamo dato dei suggerimenti. C’erano certe zone pericolose, certe piante con le spine, certe pozze d’acque. Bisognava recintarle. E’ stato fatto. Forse si riferisce a questo il sindaco quando oggi, nella sua pagina Facebook, scrive:  “Uno spazio che è stato progettato pensando anche alle richieste arrivate nel tempo da associazioni e genitori che convivono con l’autismo perché possa essere un giardino per tutti”. Già, il problema è che tutti i giardini sono di tutti. Nessuno è per i disabili.
Quando ieri siamo andati all’inaugurazione del parco eravamo certi che sarebbe stato detto che quel luogo era per i nostri figli. Attenzione: non esclusivamente per i nostri figli, ma preliminarmente per i nostri figli. Che, cioè, era quel luogo sempre sognato dove i nostri figli sono i cittadini e gli altri sono gli ospiti. Un luogo straordinario per noi, ordinario per le persone ‘normali’. Si trattava di dire che – in quel piccolo e unico luogo – si ribaltava l’ordinaria gerarchia della titolarità: a chiedere ‘permesso’ non dovevano essere i nostri figli. Nessuno doveva chiedere permesso. Ma chi andava in quel parco doveva sapere che era prima di tutto frequentato da strani bambini-uomini. E che chiunque poteva portare i suoi figli ‘normali’ sapendo che c’era, nel parco, questa ricchezza. Qualcosa da spiegare, da raccontare, ai bambini ‘normali’ per renderli uomini. Per ‘educarli alla diversità’. Come Siro Vannelli, il botanico a cui è stato dedicato il parco, educava alla diversità delle piante.”
Niente da fare. Nessuna zona dedicata ai disabili. Niente di niente.
E la spiegazione è stata che si sarebbe rischiato il “ghetto”.
Il ghetto capite? si rischiava un ghetto nel creare uno spazio adatto a bimbi e ragazzi che altrimenti devono affrontare guerre che non possono e spesso nemmeno capiscono per poter salire su uno scivolo. Il ghetto, quello che noi conosciamo bene perchè per permettere al nostro bimbo, e al suo normalissimo fratello, di fare una vita quasi normale, ogni giorno dobbiamo EVADERE. Dal ghetto dove farebbe comodo che noi rimanessimo,
noi che sbaviamo, noi che non parliamo, noi che abbiamo comportamenti non consoni, dal ghetto dell’ignoranza.
Peccato per Cagliari: in Emilia e in tanti piccoli altri comuni stanno sorgendo parchetti per disabili molto belli, dove si gioca tutti. Ma quanto tempo ci vorrà ancora…

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