Sulla leggina ad urbem che
affossa ciò che resta dell’urbanistica.
Il
partito del cemento è uscito allo scoperto. E non poteva scegliere data
migliore per farlo: la Giornata nazionale degli alberi, lo scorso 21 novembre.
D’altronde, perché parlare di Piani del verde comunali (peraltro
non obbligatori in Italia, vergognoso) o di alberi a Milano, quando c’è da
salvare torri di cemento cresciute più veloci dei platani e aprire nuove
possibilità di deregolamentazione urbanistica?
Il 21 novembre è andato in scena, nel nostro
teatrino parlamentare, il dibattito per il cosiddetto provvedimento “Salva
Milano”, la leggina ad urbem che affossa quel che rimane della pianificazione
urbanistica lasciando pieno campo alla legge della rendita (vuoi immobiliare, vuoi fondiaria). Il tutto al
cospetto pure di alunne e alunni invitati in Parlamento per un giorno. Future
generazioni che al ritorno a scuola, scrivendo il loro tema sulla giornata in
Parlamento, citeranno il “Salva Milano”. Rendiamoci conto.
Veniamo però ai fatti. Da anni il Comune di
Milano rilascia ardite autorizzazioni edilizie per fare torri, condomini,
grattacieli nei cortili o laddove prima c’erano due magazzini, una palazzina o
un deposito. Il tutto interpretando a modo suo la legge urbanistica nazionale e
dilatando il concetto di ristrutturazione così da sostituire un piccolo volume preesistente
con un condominio, rinunciando pure a incassare un bel po’ di oneri di
urbanizzazione che servono a fare opere per tutti.
D’altronde da circa vent’anni Milano e i suoi
sindaci hanno imboccato la strada pericolosa del cemento impegnandosi con tutto
loro stessi a innalzare il più possibile i valori immobiliari. Per loro il
principio a cui conformare il governo del territorio è l’attrattività (per
cittadini ben paganti, ovvio). Attrattività è la parola che piace a destra come
a sinistra e, infatti, i parlamentari la citavano con gran profusione quel 21
novembre.
Nel caso di Milano molta dell’attrattività
l’hanno pagata tutti gli italiani perché tutti hanno contribuito a Expo 2015,
alle Olimpiadi 2026, alla privatizzazione degli scali ferroviari,
alle nuove Metropolitane e a tanto altro fatto con soldi pubblici non solo
milanesi e non solo lombardi.
Quell’attrattività è fondata su un modello di
vita urbana molto esclusivo e disegnato tutto addosso a una idea di felicità
privata dove quel che conta è quel che possiedi, dove abiti, chi frequenti,
quanti apericena fai alla settimana, se hai la palestra e il giardino in
condominio, se hai la colonnina per la ricarica dell’auto elettrica, se hai
soldi per pagarti la piscina pubblica nel frattempo trasformata in una location glamour per spritz-man, etc..
Ma chi l’ha stabilito poi che quella
attrattività è cosa buona e giusta e, tanto meno, l’immagine della
sostenibilità? E così, a furia di cemento, torri, grattacieli e archistar l’ultima Giunta ha oltrepassato quel
poco di buon senso urbanistico che rimaneva ancora, decidendo che la
ristrutturazione e la rigenerazione urbana fossero quella roba secondo la quale
al posto di un piccolo magazzino artigianale posto in un cortile, si poteva allegramente
costruire un condominio a torre da decine e decine di appartamenti da vendere
dai seimila euro al metro quadrato in su.
Ma questa non è la Milano che tutti vogliono,
con buona pace del sindaco, della sua giunta e dei tanti parlamentari che li
sostengono (da tempo). E così qualcuno ha iniziato a dubitare e denunciare.
Sono partite le inchieste ed eccoci qua nel pieno di un casino imbarazzante
fatto già di mezze torri vendute, davanti alle quali schiere di parlamentari di
destra e sinistra si danno da fare come matti per mettere una pezza (che io
chiamerei condono, ma loro chiamano interpretazione autentica della legge
urbanistica nazionale).
E la pezza, come tradizione vuole, è peggio
del buco perché si vara una norma per mettere fuori legge l’urbanistica
ovunque. In buona sostanza d’ora in poi la volumetria di un box potrà diventare
quella di una palazzina. Quella di una palazzina di un condominio, e così via.
Il tutto versando solo pochi denari al Comune, del tutto insufficienti a
garantire quel minimo di servizi pubblici necessari per compensare l’aumento
del numero di cittadini.
La vicenda è già sufficiente per vergognarsi
di quel che hanno fatto a Milano e stanno facendo in Parlamento, da destra e
sinistra. Ma oggi siamo nel 2024. E ha fatto bene qualche parlamentare a
ricordarlo, ma non certo per mettere mano all’urbanistica affossandola.
Si è appena conclusa una fallimentare Cop29
dove si è ricordato che il 2024 è stato un anno pessimo e la politica non è
stata capace di fare nulla a beneficio del clima. Pertanto i parlamentari che
invocano il 2024 dovrebbero invocare lo stop alla crescita compulsiva delle
città, ancor più se quella crescita la sfigura, si fonda sulla deregulation urbanistica e sulla espulsione delle
fasce sociali più deboli, quelle che non possono permettersi appartamenti da
cinquemila euro al metro quadrato in su.
E non ci vengano a dire che quell’urbanistica
allegra in altezza a Milano è stata fatta per non consumare suolo, come ho
sentito dire in aula Parlamentare. Falso. Milano continua a consumare suolo e
il brivido per l’altezza non ha frenato un bel niente.
Negli ultimi 17 anni Milano ha consumato una
media di 18 ettari all’anno di suoli agricoli o liberi al bordo o interni alla
città. Semmai Milano è la dimostrazione del contrario: scegliere l’altezza non
equivale a non consumare suolo.
Non sono quindi i sindaci, assessori e parlamentari milanesi a poterci dare
lezioni di non consumo di suolo. Men che meno oggi. Negli ultimi venticinque
anni non ho sentito uno solo di loro fare un discorso a favor di suolo con una
energia e vigoria tale e quale a quella che ho visto in Parlamento per il
cosiddetto “Salva Milano”. E faccio notare che non stanno neppure cogliendo
l’occasione di questo imbarazzante provvedimento urbanistico per approvare uno
stop al consumo di suolo. Se ne guardano bene.
Quel che si sta compiendo è un doppio disastro
nazionale. Per “salvare Milano”, il Parlamento sta decidendo che in tutte le
città italiane si potranno costruire torri, condomini, grattacieli
semplicemente chiedendo la più semplice delle autorizzazioni edilizie, senza un
piano attuativo, senza adeguare i servizi, saltando a piè pari qualsiasi
pianificazione urbanistica. E per di più la decisione parlamentare avrà pure
valore retroattivo. Fatico a non mettere questa roba dentro il faldone dei
“condoni”.
Il secondo disastro è culturale. Questo “Salva
Milano” come volete che venga letto e capito dalle persone? Come un
provvedimento per salvare il Pianeta? La miglior mossa per la transizione
ecologica? Una legge per adeguare le città alla crisi climatica? Il primo di
una serie di provvedimenti per avere città resilienti? Non credo proprio.
Verrà visto come l’ennesimo abuso di potere politico all’italiana, dove i
provvedimenti urbanistici in odor di condono e cemento che si approvano sono la
normalità. Dove il cemento vince sul verde. Altro che “Salva Milano”, qui siamo
in pieno “Sfascia tutto”. Benvenuti nello Sfasciocene.
Concludo con un appello alle sindache e ai
sindaci che sono dalla parte del suolo.
Vi chiedo di prendere le distanze da questo provvedimento facendo sentire la
vostra voce.
Prendete posizione pubblicamente, scrivete alla redazione di Altreconomia, intervenite: redazione@altreconomia.it.
(*) Tratto da Altreconomia.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e
ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Dalla parte del
suolo” (Laterza, 2024)