giovedì 20 luglio 2023

Ecco come stanno distruggendo gli ospedali sardi - Francesco Carta

 

La crisi del Servizio Sanitario pubblico in Sardegna ha finalmente posto all’attenzione la necessità di riorganizzazione delle Cure primarie e territoriali.

Si parla giustamente di superare un servizio sanitario basato sulla centralità dell’Ospedale. Si propongono sostegno, incentivazione e creazione di Ospedali e Case di comunità, gestiti nell’ambito della medicina territoriale. Nella pratica, invece, assistiamo all’istituzione di Ospedali di comunità in sostituzione di reparti ospedalieri, gestiti da personale medico e infermieristico, già dipendente ospedaliero. Nulla di aggiuntivo.

Il PNRR, per poter concedere i finanziamenti, impone la riorganizzazione della medicina territoriale. Per ottenere tali finanziamenti è indispensabile prevedere l’istituzione di innovative strutture socio sanitarie col compito di programmare l’attività socio-sanitaria territoriale di prevenzione, diagnosi,  cura e  riabilitazione, con programmi di gestione, a livello di Distretto socio-sanitario, delle malattie croniche con maggior rilevanza sociale ed epidemiologica, con  adozione di forme di medicina d’iniziativa e proattiva; favorire e gestire l’integrazione socio sanitaria; incentivare le varie forme di associazionismo (Unità di cure primarie e medicina in rete dei medici di base), la multidisciplinarità e multi professionalità nell’ambito delle Case e degli Ospedali di comunità.

Per una corretta informazione va ricordato che le prime Case della salute furono istituite nel 2008 (Assessore alla sanità Dirindin). Nel 2015 inoltre si approvarono le linee di indirizzo per la riorganizzazione delle Cure primarie (DGR del 12/10/2015) su proposta di un tavolo tecnico di operatori sanitari che lavorò per circa due anni.

Purtroppo, queste linee di indirizzo furono disattese e dimenticate. Esse prevedevano di incentivate le varie forme di associazionismo medico: Unità di cure primarie (UCP) e medicina in rete; una sperimentazione di integrazione tra questi modelli organizzativi e le Case della salute finalizzate all’integrazione sociosanitaria; lavoro multidisciplinare con infermieri e altre figure professionali; gestione delle malattie croniche col modello del cronical care model. Furono istituite nuove Case della salute in tutte le legislature che si sono succedute (Giunte Soru, Cappellacci, Pigliaru e Solinas). Riproporre oggi la discussione sulla costituzione di Case della salute (declinate a Case di comunità dal PNRR) è certamente positivo anche se tardivo. Le proposte sono inserite negli atti aziendali delle ASL, ma spesso sono solo teoriche o sostitutive di strutture preesistenti.

I principi di superamento della condizione ospedalocentrica sono solo enunciati nelle delibere regionali e negli atti aziendali. Far lavorare assieme le varie forme di associazionismo medico in ambito distrettuale con le Case di comunità è certamente utile e indispensabile; ciò ancor oggi è ostacolato da imposizioni burocratiche e limiti anacronistici. Bisogna passare dalle enunciazioni e dalla teoria alla pratica, dotando le Case e gli Ospedali di comunità di personale sanitario indispensabile per il loro funzionamento. Ma la realtà va in altra direzione, altro che superamento della condizione ospedalocentrica.

La mancanza di medici di medicina generale determina un grave arretramento rispetto alla situazione precedente, nella quale, tra tante criticità c’era un preciso riferimento nel medico di famiglia. In Sardegna sono state bandite 492 zone carenti. Come provvedimenti emergenziali è stato innalzato il massimale degli assistiti a 1800 e sono stati istituiti gli ASCOT (Ambulatori straordinari di comunità territoriale). Sono scelte emergenziali che non possono diventare permanenti e sostitutive della medicina territoriale. In alcuni casi si istituisce un ambulatorio che opera una volta alla settimana per 12 comuni. Il tempo a disposizione è scarso, l’ascolto è limitato e spesso impossibile, con conseguente decadimento della qualità del lavoro per il medico e l’assistito.

I LEA (Livelli essenziali di assistenza) sono disattesi in tutto il territorio regionale. Anche recenti indagini confermano, con metodi validati, che circa il 20% dei sardi rinuncia alle cure. Ancor più spesso i cittadini pagano direttamente le prestazioni. I pronto soccorso sono in grave crisi organizzativa e di personale. Il servizio di emergenza e urgenza si regge grazie alle associazioni di volontariato. Grave è la mancanza di specialisti nei pronto soccorso (PS). La maggior parte dei PS e dei reparti ospedalieri bloccano le ferie nel periodo estivo. Si fa ricorso sempre più spesso a pratiche oggettivamente corruttive e antieconomiche per il SSN, come i medici a gettone e in affitto reclutati da cooperative esterne – costosissime per le ASL – per i codici meno gravi, che in condizioni ottimali dovrebbero essere trattati nelle cure primarie, nel territorio: Distretti, associazionismo medico, continuità assistenziale, Case di comunità, servizi di prossimità.

Il ricorso alle prestazioni a pagamento è in aumento a causa delle interminabili liste di attesa nel servizio pubblico. L’abbandono delle cure e delle indagini di prevenzione oncologica collocano la Sardegna agli ultimi posti nelle classifiche nazionali. Centinaia di comuni sono senza assistenza di base, le zone carenti sono 492 (è il numero di medici mancanti al 31/12/2022, oggi sono aumentati); circa un quinto dei sardi è senza medico di base. I piccoli ospedali rischiano di chiudere. Anche gli ospedali provinciali con DEA (Dipartimento di Emergenza, urgenza e accettazione) di primo livello sono in grave crisi, compresi gli Ospedali con DEA di secondo livello che rappresentano le eccellenze nazionali della sanità sarda (Brotzu e Oncologico).

Ogni mese abbiamo in Sardegna oltre 200 decessi in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Tale numero è destinato ad aumentare a causa delle carenze dei servizi sanitari, ora anche delle condizioni climatiche, rispetto alle quali siamo impreparati. In questa grave situazione il Presidente Solinas e l’Assessore Doria propongono la realizzazione di quattro nuovi ospedali in Sardegna, depotenziando quelli esistenti. Mi sembra una proposta demagogica e avventuristica.

Dopo aver enunciato il superamento dell’ospedale – centrismo, in una situazione disastrosa della medicina territoriale, affrontata solo con risposte emergenziali, si ripropone la costruzione di nuovi ospedali. Si vorrebbero accentrare gli ospedali nelle grosse città, svuotando ulteriormente il territorio. Non basta enunciare la gestione delle malattie croniche dove vivono gli assistiti, secondo il modello del Cronical care model; bisogna praticarla. Inoltre, richiamare “capitali finanziari internazionali” per la gestione dei nuovi ospedali come indicato nella delibera di Giunta del 1/6/2023, significa privatizzare interi settori di queste strutture che dovrebbero realizzarsi con finanziamenti pubblici.

Tutto ciò con una completa esautorazione del Consiglio regionale. La Giunta regionale dovrebbe ritirare la delibera approvata frettolosamente da una parte della Giunta, aprire un’ampia discussione in Consiglio regionale e nella società sarda per individuare una seria programmazione con un Piano sanitario regionale triennale adeguato all’emergenza sanitaria con proposte a breve e lungo termine.  La programmazione sanitaria non è estemporanea, deve essere decisa dai sardi nel complesso con le rappresentanze istituzionali, gli operatori sanitari, le associazioni dei malati, non da lobby economico-finanziarie internazionali che operano tra la Lombardia e la Sardegna.

La partecipazione dei cittadini non può essere enunciata nelle delibere per ottenere i finanziamenti, deve essere praticata permettendo ai tanti Comitati per il diritto alla salute, nati in questi anni, di esprimere il parere e proposte dei cittadini, amministratori e Comitati di partecipazione.

Stiamo assistendo a un apparente ritorno all’ospedale – centrismo, con posti letto ridotti, con un servizio sanitario ulteriormente indebolito in favore del sistema sanitario privato, allo smantellamento del SSN, introducendo forti elementi di privatizzazione, con una pericolosa commistione tra pubblico e privato, col risultato di socializzare i costi della sanità e privatizzare i profitti della speculazione economica, finanziaria e di edilizia sanitaria.

Secondo la proposta Solinas-Doria la salute cessa di essere un diritto e viene considerata solo una merce di scambio. La causa principale della crisi sanitaria è da attribuirsi alla forte pressione delle lobby della sanità privata che individua in essa il settore più importante e redditizio nella nostra epoca. La sanità privata non si accontenta di avere un ruolo integrativo rispetto alla sanità pubblica, vuole assumere un ruolo sostitutivo. La sanità pubblica gratuita e universalistica rappresenta un ostacolo da ridimensionare ed eliminare.

La mancanza di programmazione sanitaria favorisce oggettivamente la voracità delle lobby finanziarie. Quando tutto sarà privato, saremo privati di tutto. Questa è la sanità che ci propone questa Giunta regionale.

Le soluzioni adottate per far fronte alla emergenza sanitaria, non sono sufficienti e non possono essere scambiate per programmazione sanitaria; si deve partire innanzi tutto dalla valorizzazione e dal rafforzamento dell’esistente nella sanità pubblica (troppi ospedali sono sottoutilizzati); è improrogabile una concreta e realistica riorganizzazione delle cure primarie e territoriali con la salvaguardia di tutte le strutture esistenti.

da qui

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