Una foto di George Steinmetz, pubblicata sul National
Geographic Instagram, mostra l’allevamento Bengbu Dairy nella provincia cinese
di Anhui che ospita circa 39.000 mucche Holstein: una serie infinita di box
anonimi dove vengono stipati i vitellini. Una didascalia sotto la foto
spiega che i vitelli, anziché essere svezzati con il latte, seguono
un’alimentazione a base di fagioli di soia provenienti dal Brasile, mescolati
con erba medica dello Utah e sementi canadesi. Ciò che non viene spiegato è che
però la produzione di soia per il cibo da allevamento è uno dei maggiori
responsabili della deforestazione dell’Amazzonia e la coltivazione del foraggio
richiede un consumo colossale di acqua. L’orrore celato dietro l’industria del
latte Quella del latte è un’industria che da sempre lavora, a livello
comunicativo, sul creare uno stereotipo di “mucca felice di fare il latte per
noi”. I media e l’industria lattiero-casearia ritraggono
animali soddisfatti delle loro vite e ci sottopongono ad una costante propaganda
in cui fanno passare il latte come un alimento indispensabile, il solo in grado
di fornire (soprattutto ai bambini) il giusto apporto di calcio e nutrimenti.
Invece, le alternative esistono e la vita delle mucche è ben lontana
dall’essere felice.
Per ottenere i prodotti caseari, la mucca è stata selezionata
per produrre più latte possibile, molto più di quanto il suo corpo sia in grado
di sopportare. La quantità di latte che queste mucche producono è di circa sei
volte la quantità che berrebbe normalmente un vitello. Come risultato, vi è un
alto rischio di mastiti, una dolorosa infezione della mammella; un’altra
conseguenza è la zoppia, causata dalle mammelle troppo pesanti per le zampe
posteriori e dal fatto di essere costrette a passare ore in piedi su pavimenti
di cemento per essere munte diverse volte al giorno. I vitellini,
dall’altro lato, vengono allontanati dalla madre dopo solo pochi giorni di
vita. Questo prematuro allontanamento causa stress e dolore inimmaginabili sia
al piccolo, che risente della mancanza del calore materno, sia alla mamma che
muggisce e cerca il suo cucciolo per giorni. Dopo questa separazione il
vitello, per i primi mesi di vita, viene rinchiuso in un box poco più grande di
lui; poi verrà trasferito in un recinto di gruppo, in cui comunque non ha modo
di muoversi e sviluppare muscoli, manifestando evidenti stati di stress
riconducibili a continui movimenti stereotipati o giacendo fermo a terra. Essere
Animali spiega che il latte e l’erba che i piccoli dovrebbero bere e brucare
vengono sostituiti con un unico liquido composto da latte magro in polvere
(prodotto di avanzo dell’industria casearia) integratori, farmaci e altre
sostanze chimiche. Questa alimentazione volutamente priva di ferro è studiata
in modo da ottenere una carne pallida, che invece normalmente in tutti i bovini
è rossa, costringendo il vitello ad una costante condizione di stanchezza e
malessere, dovuta ad una forte anemia. Una mostruosità comunemente usata
in zootecnia è la “cavezza antisucchio”: si tratta di un dispositivo dentellato
applicato al naso del vitellino che gli impedisce di ricevere dalla mamma il
latte destinato al consumo umano. Il dispositivo costa poco più di 4 euro al pezzo.
Può sembrare una crudeltà che non appartiene ai metodi italiani di allevamento,
ma sfogliando tra i molti cataloghi, anche online, dei siti italiani di
zootecnia si trova comunemente in vendita questo oggetto – di vari materiali e
colori – insieme ai biberon e ai contenitori con tettarelle per il dosaggio dei
liquidi da somministrare ai vitellini. Non mancano anche gallery
dettagliate dedicate ai box, di varie forme, dimensioni, tipologie, presentati
come funzionali per “migliorare la salute degli animali, favorirne la crescita
abbassando il tasso di mortalità”. La situazione in Italia Si contano circa 250
milioni di vacche da latte sul pianeta, 36 milioni delle quali nella UE e circa
2 milioni in Italia (dati CIWF Italia). A dispetto di questi numeri,
non esiste ancora una vera e propria Direttiva Europea che fissi degli
standard minimi per la tutela delle mucche da latte e dei bovini adulti
come, per esempio, per le galline ovaiole. Tanto è vero che in alcuni paesi
(comprese certe regioni di montagna in Italia) è ancora concesso l’allevamento
delle mucche “alla posta”, cioè legate per limitarne i movimenti. In realtà
recentemente qualcosa si sta muovendo come segnalato da Agricoltura 24 anche se
i provvedimenti – elaborati dal Consiglio d’Europa per il futuro vaglio della
Commissione Europea – sono ben lontani dalla definizione di
“benessere”: “dovrebbe essere data agli animali la possibilità di stare
all’aperto, in un recinto, preferibilmente ogni giorno e quando è possibile di
andare al pascolo. Vacche e manze dovrebbero poter pascolare per non meno di 90
giorni all’anno. A vacche e manze che sono legate viene concesso un esercizio
giornaliero”. Con il Decreto Legislativo 7 luglio 2011, n.
126 riguardante l’Attuazione della direttiva 2008/119/CE che stabilisce le
norme minime per la protezione dei vitelli, vengono invece definite le misure
per i recinti e gli spazi minimi individuali per ogni vitello, oltre che la
tipologia di struttura in cui questi animali devono poter vivere. Un iter verso
la tutela di mucche e vitelli ancora però molto lungo che incontra non poche
resistenze. “Personalmente ritengo – ha spiegato il veterinario Luigi
Bertocchi, esperto del Centro di referenza nazionale del benessere animale -
che nella media il nostro sistema sia ampiamente rispettoso delle esigenze
fisiologiche e comportamentali delle vacche da latte, sebbene in alcuni casi si
possa e si debba migliorarlo. Non possiamo comunque pensare di cambiarlo
radicalmente trasformandolo in sistemi di allevamento che non appartengono né
alla nostra cultura zootecnica né alle nostre condizioni climatico-ambientali”.
In Europa esistono generalmente tre tipologie di allevamento: Sistemi a
pascolo-zero (le vacche non hanno mai accesso al pascolo); Accesso limitato al
pascolo (per esempio durante l’asciutta, il periodo i cui le mucche non
producono latte); Sistemi più estensivi al pascolo. La razza bovina Holstein,
specializzata nella produzione di latte, è la razza più diffusa in Italia.
Visto l’intenso ritmo di produzione imposto alle mucche da latte, questi
animali hanno un’aspettativa di vita produttiva molto breve. Le mucche da latte
vengono generalmente abbattute molto presto, in media dopo la loro terza
lattazione mentre allo stato naturale potrebbe vivere fino a 20 anni.
da qui
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