mercoledì 5 ottobre 2022

La crisi climatica cambierà la nostra dieta e alcuni cibi spariranno – Vanna Lucania


Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti. Ci ha fatto ripensare al nostro modo di fare economia, di progettare i nostri ambienti e rivedere le nostre comuni abitudini. Ha cambiato la nostra Natura e l’alternarsi delle stagioni. E cambierà anche il nostro modo di mangiare.

Dall’impatto che il clima e le sue mutazioni stanno già avendo sui raccolti alle prospettive future, inevitabilmente nei prossimi decenni la dieta di tutti dovrà adattarsi per poter assicurarci la sopravvivenza.

Sì, perché i cambiamenti climatici mettono a rischio innanzitutto la sicurezza alimentare di una popolazione in aumento. Si prospetta, infatti che entro il 2050 saremo circa dieci miliardi di persone. Una crescita che interesserà soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Così, il bisogno di cibo aumenterà di circa il 60%.

In questo senso, la desertificazione, la siccità e l’inquinamento delle acque metterà a rischio la capacità umana di reperire facilmente il cibo e di produrlo, con un’incidenza più alta per le aree dove questi fenomeni sono più intensi.

Allora dobbiamo essere pronti ad affrontare un cambiamento nell’alimentazione che partirà dalle pratiche agricole, messe a dura prova dagli eventi atmosferici di entità e densità progressivamente più catastrofiche. La prima conseguenza sarà percepibile, e per certi versi lo è già, nelle rese dei raccolti.

Le tempeste improvvise, i lunghi periodi di siccità, le ondate di caldo estremo unite agli incendi e alle gelate tardive comporteranno una riduzione significativa del ricavo dei campi. Le colture più fragili e che meno si adatteranno non avranno più le condizioni ideali affinché il proprio ciclo produttivo si compia. Le instabilità climatiche e le temperature altalenanti stanno già aprendo la strada, inoltre, all’invasione di alcune specie aliene e parassitarie, che si uniscono alla lista delle condizioni che minano i prodotti delle campagne in tutto il mondo.

La proiezione più estrema dei cambiamenti climatici vede alcuni alimenti scomparire del tutto dalle nostre tavole. Un esempio, in questo caso amaro, è rappresentato dal cacao. La pianta infatti, già di per sé dalla delicata produzione che la rende esclusività della fascia tropicale, resiste malamente ai cambi repentini di umidità e alla siccità. Il cacao, quindi anche il cioccolato, potrebbe estinguersi nei prossimi decenni.

Ciò che preoccupa però, in questa prospettiva, è la possibile scomparsa insieme ad altri cibi che fanno parte della nostra attuale alimentazione, di beni di prima necessità, su tutti riso e grano.

Il riso, pietanza di base di molte popolazioni tra le più povere al mondo, potrebbe veder calare la sua produzione di ben il 50% per via delle variazioni nelle stagioni delle piogge e dell’innalzamento delle acque.

Anche per il grano i pronostici non sono rosei: in tutto il mondo le scorte si stanno progressivamente riducendo e il prezzo è destinato a diventare sempre più alto, rendendolo di fatto un cereale di nicchia.

Non solo scomparsa, ma anche la totale ridistribuzione delle colture nel mondo, è quello cui dovremo abituarci col passare del tempo. Le temperature che riscaldano il Pianeta innalzano e fanno progredire in latitudine le fasce climatiche. Quello cui assisteremo, dunque, sarà uno spostamento delle colture verso quelle nuove condizioni che ne favoriscono la crescita.

Quello che succede ad esempio è che la produzione mediterranea di vite ed olivo si sposta verso il Nord, con l’innalzamento della linea dell’olivo verso climi che oggi sono più miti. Allo stesso tempo nel Sud si assiste all’apertura verso la coltivazione di frutti tropicali, come il mango e l’avocado.

Stesso destino si sta verificando già nel nostro mare, con la tropicalizzazione del Mediterraneo, dove acque sempre più calde ospitano nuove specie ma favoriscono anche il proliferarsi delle migrazioni o della morte di specie autoctone.

Mentre facciamo la conta di cosa non coltiveremo più, molte delle nostre abitudini alimentari stanno già risentendo dei cambiamenti climatici e si traducono in una modifica in atto.

Un singolare studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università della Columbia Britannica, in Canada, ha analizzato i menù di numerosi ristoranti nell’area di Vancouver, dimostrando come l’offerta ittica in essi presente sia cambiata nel corso degli anni. E, cosa più interessante, in che modo i diversi menù siano uno specchio di come la fauna marina sia diversa a causa dei cambiamenti climatici.

Come per le fasce climatiche che avanzano più a Nord, anche la biogeografia dei mari si sta modificando, costringendo diverse specie di pesci a migrare verso latitudini più elevate e acque più profonde, così come una maggiore presenza e un aumento di quelle specie che preferiscono acque più calde all’aumentare delle temperature.

Ma se alla lancetta più alta del termometro corrisponde una modifica della disponibilità di cibo nel mondo, è anche vero che il modo di approcciarsi al cibo da parte dell’essere umano sta cambiando in virtù di un’etica dell’alimentazione che cerca di riparare al danno causato dalla mano antropica e che, indirettamente, deriva dai cambiamenti climatici.

Sono sempre di più le persone che si interrogano sulla sostenibilità del proprio stile nutrizionale e scelgono la strada che vede ridursi il consumo di carne e di derivati animali.

Nella catena di produzione alimentare, infatti, gli allevamenti intensivi di carne bovina, seguiti dai latticini ma anche dai cereali necessari al nutrimento del bestiame, sono la principale causa di emissione di CO2 al mondo.

Scegliere un’alimentazione plant-based, dunque, pare essere una valida e sensibile alternativa agli attuali modi di consumo, che in qualche modo hanno scatenato, per una buona percentuale, i cambiamenti climatici di cui siamo ora vittima.

Tuttavia, la scelta di una dieta per gran parte vegetale potrebbe rivelarsi non soltanto una scelta etica auspicabile, ma una necessità stessa di sopravvivenza, indotta dal cambio del clima.

La carne, ad esempio, come tutti gli altri alimenti la cui produzione necessita quantità ingenti di acqua, è messa a dura prova con l’avanzare del fenomeno climatico.

Ciò che si renderà più urgente, in altre parole, sarà una modifica radicale della maniera in cui ci nutriamo e soprattutto in cui produciamo ciò che mangiamo: il sistema alimentare è responsabile di circa il 75% della deforestazione globale e di alte percentuali di emissioni.

Interrompere questa catena di causa-effetto con l’innalzamento della temperatura terrestre è forse l’unica via percorribile verso un mantenimento dignitoso della specie, per combattere la fame e garantire nutrimento a tutte le popolazioni della Terra.

E mentre alcune prospettive vanno verso l’introduzione di nuovi alimenti nella nostra dieta, come insetti, alghe o sub-cereali e verso alternative artificiali agli attuali alimenti, il cambiamento climatico ci sta già costringendo a fare delle valutazioni per il futuro, in campo alimentare.

Non deve essere indispensabile apportare cambiamenti radicali o grandi rinunce, così come demonizzare una dieta in favore di un’altra.

La predilezione di uno stile alimentare sostenibile deve passare anche da un cambiamento qui ed ora dei modelli produttivi, preferendo quelli che ristabiliscano un equilibrio tra emissioni, occupazione del suolo, esposizione delle popolazioni più a rischio impatto e uso delle tecnologie.

da qui

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