Sette militanti baschi verranno processati per avere – secondo l’accusa – favorito il passaggio della frontiera a un gruppo di migranti durante la Korrika
A sette mesi dai fatti contestati, la mattina del 2
ottobre sette militanti baschi venivano convocati presso il commissariato di
Bayonne (Ipar Euskal Herria, Paese Basco sotto amministrazione
francese). Ne uscivano soltanto dopo molte ore, nel tardo pomeriggio e dovranno
presentarsi in tribunale per essere processati il 25 gennaio 2025.
Le accuse? Aver fornito “aiuto per entrare e
per soggiornare in Francia a persone in situazione irregolare” e per
aver agito come una “banda organizzata” (un’associazione a
delinquere in pratica).
Tale azione umanitaria, definita dai responsabili
di “azione civile”, costituisce un reato a tutti gli effetti
per la legge francese, in base al CESEDA (il codice per l’entrata e il
soggiorno degli stranieri e il diritto d’asilo).
Era stata concordata tra una dozzina di organizzazioni
per consentire il passaggio di 36 “esuli” (migranti) confusi tra i partecipanti
alla tradizionale corsa podistica basca di marzo, la Korrika (da
Irun – Hego Euskal Herria, in territorio spagnolo – a Hendaye –
Ipar Euskal Herria, in territorio francese).
Nel comunicato di rivendicazione (in data 28 marzo
2024) veniva stigmatizzata “la politica migratoria repressiva
dell’Europa-fortezza che colpisce gli esiliati spingendoli verso le reti
criminali di sfruttamento e della tratta di esseri umani”. Richiedendo “l’apertura
delle frontiere e in particolare dei ponti come quello tra Irun e Hendaye (il
Ponte Santiago nda) per garantire la libera circolazione”.
I sette baschi inquisiti (identificati grazie a un
video) provengono da varie organizzazioni della sinistra basca abertzale. Tra
cui il sindacato LAB (Langile Abertzaleen Batzordeak), Bidasoa
Etorkinekin (un’associazione di aiuto ai migranti), il partito
basco EH Bai e La France Insoumise. Mentre
una ventina di organizzazioni si erano “autodenunciate” per aver collaborato
all’azione di solidarietà, oltre 80 avevano espresso il loro sostegno e indetto
una manifestazione davanti al commissariato di Bayonne.
Uno dei sette accusati, Eñaut Aramendi del sindacato
LAB, ha spiegato che tutte le domande poste dagli inquirenti si basavano sul
video della corsa, diffuso pubblicamente. Aggiungendo che “non sono soltanto
sette persone che verranno giudicate, ma sette militanti di una ventina di
organizzazioni”. E quindi, attraversodi loro “sono migliaia di persone
aderenti a queste strutture che verranno incriminate. In quanto società
dobbiamo interrogarci: siamo d’accordo con quello a cui assistiamo
quotidianamente? Se per portare queste tematiche nel dibattito pubblico
dobbiamo andare in tribunale, ebbene ci andremo”.
“E comunque – aveva concluso – io
quel giorno ho visto solamente gente che correva“.
Amaia Fontang, portavoce di Etorkinekin (una
federazione di associazioni di volontariato) ricordava che “qui, nel Paese
basco i nostri militanti non nascondono di aiutare i migranti. Quando vediamo
persone sperdute al margine della strada, li portiamo al centro Pausa (un
centro d’urgenza per l’accoglienza a Bayonne nda). Rammaricandosi comunque che
questa vicenda venga a cadere “in un momento politico assai
inquietante (al ministero degli Interni è stato nominato Bruno
Retailleau nda) per i difensori dei diritti fondamentali dei migranti.
La politica di estrema destra portata avanti dal governo sulla questione
migratoria ci preoccupa”.
Fatalmente l’episodio ha rinfrescato il dibattito in
merito al cosiddetto “reato di solidarietà” aperto in Francia ancora nel 2017
dalle azioni umanitarie di aiuto ai migranti dell’agricoltore Cédric Herrou.
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