lunedì 14 ottobre 2024

Paesi Baschi: A volte correre rende liberi - Gianni Sartori

 

Sette militanti baschi verranno processati per avere – secondo l’accusa – favorito il passaggio della frontiera a un gruppo di migranti durante la Korrika

A sette mesi dai fatti contestati, la mattina del 2 ottobre sette militanti baschi venivano convocati presso il commissariato di Bayonne (Ipar Euskal Herria, Paese Basco sotto amministrazione francese). Ne uscivano soltanto dopo molte ore, nel tardo pomeriggio e dovranno presentarsi in tribunale per essere processati il 25 gennaio 2025.

Le accuse? Aver fornito “aiuto per entrare e per soggiornare in Francia a persone in situazione irregolare” e per aver agito come una “banda organizzata” (un’associazione a delinquere in pratica).

Tale azione umanitaria, definita dai responsabili di “azione civile”, costituisce un reato a tutti gli effetti per la legge francese, in base al CESEDA (il codice per l’entrata e il soggiorno degli stranieri e il diritto d’asilo).

Era stata concordata tra una dozzina di organizzazioni per consentire il passaggio di 36 “esuli” (migranti) confusi tra i partecipanti alla tradizionale corsa podistica basca di marzo, la Korrika (da Irun – Hego Euskal Herria, in territorio spagnolo – a Hendaye – Ipar Euskal Herria, in territorio francese).

Nel comunicato di rivendicazione (in data 28 marzo 2024) veniva stigmatizzata “la politica migratoria repressiva dell’Europa-fortezza che colpisce gli esiliati spingendoli verso le reti criminali di sfruttamento e della tratta di esseri umani”. Richiedendo “l’apertura delle frontiere e in particolare dei ponti come quello tra Irun e Hendaye (il Ponte Santiago nda) per garantire la libera circolazione”.

I sette baschi inquisiti (identificati grazie a un video) provengono da varie organizzazioni della sinistra basca abertzale. Tra cui il sindacato LAB (Langile Abertzaleen Batzordeak), Bidasoa Etorkinekin (un’associazione di aiuto ai migranti), il partito basco EH Bai e La France Insoumise. Mentre una ventina di organizzazioni si erano “autodenunciate” per aver collaborato all’azione di solidarietà, oltre 80 avevano espresso il loro sostegno e indetto una manifestazione davanti al commissariato di Bayonne.

Uno dei sette accusati, Eñaut Aramendi del sindacato LAB, ha spiegato che tutte le domande poste dagli inquirenti si basavano sul video della corsa, diffuso pubblicamente. Aggiungendo che “non sono soltanto sette persone che verranno giudicate, ma sette militanti di una ventina di organizzazioni”. E quindi, attraversodi loro “sono migliaia di persone aderenti a queste strutture che verranno incriminate. In quanto società dobbiamo interrogarci: siamo d’accordo con quello a cui assistiamo quotidianamente? Se per portare queste tematiche nel dibattito pubblico dobbiamo andare in tribunale, ebbene ci andremo”.

E comunque – aveva concluso – io quel giorno ho visto solamente gente che correva“.

Amaia Fontang, portavoce di Etorkinekin (una federazione di associazioni di volontariato) ricordava che “qui, nel Paese basco i nostri militanti non nascondono di aiutare i migranti. Quando vediamo persone sperdute al margine della strada, li portiamo al centro Pausa (un centro d’urgenza per l’accoglienza a Bayonne nda). Rammaricandosi comunque che questa vicenda venga a cadere “in un momento politico assai inquietante (al ministero degli Interni è stato nominato Bruno Retailleau nda) per i difensori dei diritti fondamentali dei migranti. La politica di estrema destra portata avanti dal governo sulla questione migratoria ci preoccupa”.

Fatalmente l’episodio ha rinfrescato il dibattito in merito al cosiddetto “reato di solidarietà” aperto in Francia ancora nel 2017 dalle azioni umanitarie di aiuto ai migranti dell’agricoltore Cédric Herrou.

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