domenica 15 ottobre 2023

Non vogliamo vedere bruciare la Sardegna ma non vogliamo nemmeno la speculazione energetica

 

Non vogliamo vedere bruciare la Sardegna ma non vogliamo nemmeno la speculazione energetica - Antonio Muscas

 

La risposta di Antonio Muscas all’appello dei ragazzi e delle ragazze under 30 pubblicato sul manifesto sardo dal titolo “Alla Sardegna. Da parte di giovani che non vogliono vederla bruciare“.

 

Pur essendo l’appello rivolto alle forze politiche della sinistra e dell’autodeterminazione e non essendo io attualmente appartenente a nessuna organizzazione politica, mi sento comunque in dovere di intervenire per via dell’accostamento fatto tra partiti e comitati e di alcune interpretazioni, spesso erronee quando non addirittura fuorvianti, sulla lotta in corso contro la speculazione energetica.

Parlerò in qualità di attivista politico, ingegnere, nonché componente di lungo corso di comitati in difesa della salute e dell’ambiente.

Intanto, prima di procedere, ritengo sia doverosa la seguente importante premessa:

Quando nel vostro appello scrivete di consumi energetici, sembra vi riferiate a dei valori ineluttabili, quasi un prodotto della fatalità: è indispensabile un quantitativo calcolato scientificamente e, perciò, tutto si riduce a scegliere tra energia sporca e pulita. Ma l’energia non è neutra, l’energia in termini qualitativi e quantitativi è fondamentalmente una questione politica: strettamente connessa alle attività umane, e perciò al nostro stile di vita, all’alimentazione, alla localizzazione delle attività produttive, ai rifiuti, al lavoro, al nostro tempo libero. Riguarda ogni aspetto della nostra esistenza. Quanta ne consumiamo, non è una semplice addizione di numeri, non rappresenta il nostro reale fabbisogno, ma è quasi esclusivamente frutto di scelte, e non scelte, politiche.

Allo stesso modo, transizione ecologica e transizione energetica non sono sinonimi, rappresentano ambiti distinti, intimamente connessi tra loro ma spesso in forte contrasto, in cui la seconda è il risultato della prima e ad essa funzionale, e non viceversa.

Oggi la transizione energetica, il passaggio dal fossile al “rinnovabile”, per come viene portata avanti, non ha purtroppo niente di ecologico. Perché è un processo guidato totalmente dal capitalismo consumista e neoliberista. Tra l’altro, le rinnovabili quasi mai sono in sostituzione del fossile, ma in aggiunta. Si tratta di un vero e proprio nuovo settore speculativo: prova ne sia il continuo incremento, nei Paesi che maggiormente stanno investendo nella transizione, del consumo dei combustibili fossili e conseguentemente delle emissioni inquinanti (spesso mascherate in Occidente dalle cosiddette emissioni fantasma: il reale contributo alle emissioni delle delocalizzazioni imputato ai Paesi in via di sviluppo).

In questo senso, un serio ragionamento sulla transizione energetica deve svilupparsi, anche in realtà piccole come la nostra, a 360 gradi.

Passiamo ora ai vostri punti e ad alcune vostre affermazioni.

– Sul negazionismo climatico

Voi chiedete di non dare cittadinanza a chi mette in dubbio il riscaldamento globale: “coi negazionisti non si fanno alleanze, nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche. Benché meno li si candida, e neppure gli si fanno generici ammiccamenti. Anche a costo di perdere qualche voto e qualche applauso.

Mi sembra di rivivere quanto accaduto in epoca COVID in cui c’era una verità ufficiale e non erano ammesse critiche, dubbi, tentennamenti. Tutto il resto era spazzatura, complottismo, negazionismo. E, infatti, guarda caso, proprio a seguito dell’intenso dibattito sviluppatosi attorno alla speculazione delle rinnovabili, questi giorni è ripartita una campagna pubblicitaria della RAI contro le “chiacchiere al vento”. Bisogna ridicolizzare e tacciare chi dissente. Voi rischiate di trattare “i diversi” allo stesso modo. Come se la questione non fosse così complessa e articolata da meritare un confronto approfondito e articolato, con i relativi legittimi dubbi e critiche. Ora vi chiedo: quanti, tra i convinti assertori del riscaldamento globale, hanno informazioni a sufficienza e sono in grado di sostenere le loro posizioni? Io credo davvero pochi. E, in questo caso, qual è la differenza tra loro e chi sostiene il contrario? Quanti di voi sono in grado di dimostrare che il riscaldamento ha origini antropiche e non è invece parte di un processo naturale?

Per me, per chiarire, il problema neppure si pone: non ho neppure bisogno di credere nel riscaldamento globale, mi basta vedere il disastro attorno a me per capire che, col caldo o con altre numerose forme di inquinamento, stiamo condannando, noi e il resto del pianeta, all’estinzione. Allo stesso tempo, non ho difficoltà a vedere come la transizione ecologica sia diventata la nuova corsa all’oro, una nuova ghiotta occasione per fare affari. Per questo lotto e mi oppongo con tutte le mie forze al tentativo di cancellazione dei miei diritti e all’ennesima e più brutale devastazione del territorio e dell’ambiente portata avanti in nome dell’emergenza climatica. E così fanno i comitati, composti solitamente da semplici cittadini, i quali, pur avendo spesso scarse competenze in materie tecniche, giuridiche, ambientali e climatiche, hanno acquisito questa consapevolezza.

– Sulla “retorica paesaggistica ormai sempre più popolare – e non a caso portata avanti da quotidiani e realtà pseudo-ecologiste che riteniamo distanti da qualsivoglia posizione radicale.

C’è la transizione ecologica e poi ci siamo noi sardi, che nella vostra descrizione sembriamo degli estranei in terra sarda a cui è negato il diritto alla bellezza. Ma la transizione ecologica, lo dice il termine stesso, include anche la nostra specie, quella umana, compresi gli abitanti della Sardegna, perché anche noi siamo parte del pianeta. E, invece, noi sardi dovremmo sacrificarci al servizio di chi? Dovremmo rassegnarci ad una distesa monotona di pale e pannelli per salvare cosa?

Il paesaggio non è un pretesto. E non è semplicemente un’immagine da stampare in una cartolina. È il senso della nostra vita su quest’isola, l’espressone stessa della nostra civiltà, dei luoghi che ci hanno ospitato, formato, nutrito in tutti i sensi, anche di bellezza, e che abbiamo modellato e trasformato nel corso dei millenni trascorsi su questa terra. E mi sorprende questa affermazione da parte di chi si rivolge anche agli ecologisti. Come se nella vita non vi fosse spazio per il bello e per il piacere di goderne. Io non potrei sopportare l’idea di vedere i miei monti sfigurati, violentati, distrutti. Di vedere le pianure trasformate in distese di specchi e gli orizzonti alterati da muri di aerogeneratori piazzati lì a stravolgere inesorabilmente albe e tramonti. Perché di questo stiamo parlando quando ci riferiamo al numero di richieste di connessione per la Sardegna. Come fanno dei ragazzi così giovani ad affermare che la difesa del paesaggio è un pretesto, perché tanto se, non lo cambiamo noi, lo cambierà il clima? In una terra come la nostra che ha subito ogni sorta di violenza, quando parlate di urgenze, non sentire l’urgenza di proteggerla? Di preservare le sue bellezze? Cos’è la vita senza la bellezza? Siete davvero disposti a sacrificare con questa facilità i nostri paesaggi, i nostri orizzonti, come se davvero non vi fossero altre soluzioni, in nome di una non meglio specificata transizione operata da terzi?

– Sulla presunta richiesta da parte dei comitati di “una transizione senza eolico

Questo, mi dispiace dirlo, è una interpretazione fuorviante e dimostra la vostra scarsa conoscenza sulle rivendicazioni dei comitati. In tutte le contestazioni sull’eolico si denuncia la mancata concertazione con le popolazioni locali, si sollevano critiche sulla dislocazione, il numero e la taglia degli aerogeneratori, si sollevano dubbi sui loro reali benefici, sulle ricadute economiche, ambientali, paesaggistiche, sociali e lavorative, sull’effettiva necessità di avere, in determinate condizioni, nuova potenza rinnovabile. Ci è concesso mettere parola su questi aspetti, o ritenete davvero che in nome dell’emergenza climatica dobbiamo, senza colpo ferire, ingoiarci tutto quanto ci viene propinato?

– Sulla vostra affermazione, secondo la quale, “Qualunque scenario di decarbonizzazione esistente (sia esso studiato sull’Europa, sull’Italia, sulla Sardegna) prevede una crescita vigorosa e immediata della potenza rinnovabile installata.

Tutti i piani di transizione visti finora si basano sul mantenimento dei consumi attuali quando non, addirittura, pensati in una prospettiva di costante aumento dei fabbisogni energetici: modelli puramente capitalisti, quando non addirittura estrattivisti e neoliberisti.

Ebbene, questo lo dico da ingegnere, questa strada non solo non è tecnicamente percorribile ma ci condurrà dritti verso il baratro. Per la semplice ragione che la Terra non solo non ha risorse sufficienti a mantenere o addirittura sostenere un incremento dei consumi attuali, ma i processi di estrazione, lavorazione e trasformazione delle risorse minerali non rigenerabili e la rapidità con cui si stanno consumando quelle rigenerabili sta comportando un impatto sull’ecosistema devastante (vedasi l’overshoot day). Ciò per non parlare dell’immensa occupazione di superficie richiesta dalle installazioni rinnovabili – che hanno una vita relativamente breve, misurabile in qualche decina d’anni, e nell’arco di una generazione devono essere sostituite più volte – se dovessimo rispettare i numeri attuali. In altre parole, questa transizione è la transizione dei paesi ricchi a discapito dei paesi più poveri, una transizione che, fatta così, non avrà effetti utili sul clima e sarà per tutti un disastro totale.

Inoltre, la crescita vigorosa e immediata della potenza rinnovabile installata dovrebbe essere accompagnata dalla realizzazione di impianti di accumulo, da adeguate infrastrutturazione e gestione della rete; dovrebbe essere accompagnata da un’intensa elettrificazione dei consumi. Altrimenti gli impianti saranno destinati a essere sottoutilizzati o a restare inesorabilmente fermi. Come infatti già sta capitando. Vi è infatti un altro aspetto tecnico di rilievo sul quale mai viene soffermata l’attenzione, ed è questo: gli impianti eolici e fotovoltaici, come è oramai risaputo, sono definiti non programmabili perché la produzione dipende dalle condizioni metereologiche. Il problema, oltre a presentarsi quando non ci sono né sole né vento, lo si ha anche quando un grande numero di impianti deve funzionare tutto assieme. Se in Sardegna dovessimo installare questi 56 GW o, se vogliamo, anche la metà, dove metteremmo l’energia prodotta nel momento in cui dovessero produrre tutti contemporaneamente alla massima potenza? Se anche tenessimo conto della capacità massima della rete sarda, delle reti di trasporto verso il continente e di tutti gli impianti di accumulo previsti, avremmo comunque un enorme surplus inutilizzabile. E questo è, infatti, quanto già sta capitando da noi ora ma, in maniera molto più importante, con l’eolico dei mari del nord – con costi esorbitanti per la collettività a causa dei rimborsi dovuti alle società eoliche durante i fermi- ed è l’ovvia conseguenza dell’installazione di elevate potenze in aree concentrate. È come se stessimo montando il motore di una Ferrari su di una cinquecento per farla poi percorrere delle mulattiere. Questi temi, a cui avete dedicato mezza riga, non sono spesso neppure accennati nel dibattito odierno e comunque mai trattati con la dovuta attenzione. In ogni caso, mancano gli investimenti e il settore elettrico sta seguendo con la privatizzazione lo stesso destino delle autostrade in cui la brama di profitto prevale sugli investimenti e sulla sicurezza. Prova ne siano i numerosi collassi della rete questa estate appena trascorsa non appena è stato acceso qualche impianto di aria condizionata in più a causa del caldo intenso. Cosa succederà alla rete elettrica con i consumi maggiormente elettrificati e una più ampia diffusione delle auto elettriche? Dovremo rassegnarci a frequenti blackout? A rimanere per ore o giorni senza elettricità? senza servizi telefonici e internet?

Perciò, la prima e più efficace risposta all’emergenza è l’abbattimento drastico dei consumi e l’eliminazione o la riduzione ai minimi termini degli sprechi. Qualunque persona di buon senso alla richiesta di abbattere immediatamente le emissioni del 50% penserebbe per cominciare ad un abbattimento i consumi per la stessa entità o per una prossima. Una stupidaggine? Mica tanto. Pensiamo alle navi da crociera, agli aerei privati, alle supercar, o anche i veicoli oltre un certo peso, come alcuni SUV, al turismo (il turismo!), ai Bitcoin, al settore ICT; pensiamo alla delocalizzazione delle attività produttive e alle relative infrastrutture necessarie alla lavorazione, trasformazione, conservazione, trasporto e stoccaggio delle merci; pensiamo agli sprechi, all’acquisto di prodotti in eccesso o innecessari, allo spreco alimentare, alla produzione di rifiuti, al loro smaltimento. Una nave da crociera mediamente emette in un giorno di navigazione lo stesso tanto risparmiato da un aerogeneratore di 1 MW in un anno! Ma noi siamo in Sardegna, mi direte. Dobbiamo occuparci del nostro piccolo. Però il riscaldamento è globale e l’inquinamento della nave interessa anche noi. E perciò dovremmo occuparci di agire localmente e, allo stesso tempo, anche globalmente. Siamo davvero in emergenza? Bene. Pretendiamo azioni immediate per vietare la circolazione dei mezzi di cui sopra, per impedire alle navi da crociera e ai super yacht di attraccare in Sardegna, agli aerei privati di atterrare nei nostri aeroporti. Chiediamo con forza che si investa in educazione alimentare. Chiediamo lo stanziamento di fondi per lo studio e la ricerca, per avviare nuovi corsi di studio che si occupino, per ogni singolo settore, di studiare come abbattere i consumi e rendere quelle attività sostenibili. Chiediamo che le aree rurali siano ridotate di servizi, siano elaborati progetti e messi in atto programmi per renderle nuovamente attrattive, per riabitarle e così presidiare anche i numerosi territori ora in stato di abbandono. Alcune di queste azioni avrebbero effetto immediato, altre nel medio e lungo termine, ma per ognuna è indispensabile agire nell’immediato. Questa è la vera emergenza. Altrimenti, a che serviranno le pale in una Sardegna in via di spopolamento?

So che la risposta potrebbe essere: “ma queste cose non le faranno mai, non adesso, perlomeno. Mentre per gli impianti FER la strada è più semplice”. Purtroppo, gli impianti così concepiti non risolveranno il problema, potranno solo peggiorarlo, e noi avremo perso altro prezioso tempo, con l’aggravante di aver fornito ancora una volta il fianco al capitalismo e alla peggiore speculazione.

– “Da più parti si parla – anche nei programmi elettorali della sinistra – di moratoria specifica sulle rinnovabili, e in questo terreno viene posta la questione nei media. Capite bene il paradosso di un simile provvedimento: diverrebbe illegale installare energia pulita, ma legalissimo investire su quella sporca. Un caso più unico che raro a livello mondiale.

Altra affermazione non vera. Dove l’avete letto? Noi stiamo chiedendo di darci il tempo di elaborare e mettere a punto un piano strategico per la Sardegna. Parliamo di mesi, uno stop provvisorio durante il quale gli impianti non industriali possono continuare ad essere realizzati. E comunque, fossili e rinnovabili non sono in contrapposizione. Bloccare l’uno non significa aprire le porte all’altro. Dove c’è scritto? Non è in alternativa certamente il metano, non nei programmi di decarbonizzazione. A nessun livello. Prova ne siano i consistenti investimenti per la ricerca e l’estrazione di combustibili fossili, i recenti accordi dell’Italia con i paesi arabi e africani per lo sfruttamento dei giacimenti e per l’infrastrutturazione per il trasporto, lo stoccaggio e la rigassificazione del gas.

– “Se noi per primi andiamo nei territori a parlare di sventramento e stupro – per usare due termini molto diffusi nel lessico delle proteste – di fronte a delle pale sulla collina, come pensiamo che possano reagire quelle stesse comunità quando noi per primi proporremo nuove pale – anche se pubbliche e non delle multinazionali?

Qui vedo molta confusione. In merito allo stupro, vi rimando a quanto scritto sopra a proposito di modalità, ricadute, dislocazione, tipologia e taglia degli impianti. Sulla questione delle comunità abbindolate da abili oratori, mi preme far presente che non sono i comitati ad andare a parlare alle comunità contro le pale “brutte” ma sono le comunità che stanno finalmente insorgendo e si stanno costituendo in comitati, in reazione ad uno scempio che, come estensione e impatto permanente, non ha precedenti nella storia della Sardegna. Forse vi siete persi qualcosa.

– “Siete disponibili a ragionare su come sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili, e farlo al meglio, anziché su come fermarne il maggior numero possibile?

Ho letto bene: sbloccare? Ma come? parlate di una battaglia contro l’assalto ma senza moratoria per poi addirittura “sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili”! Che tipo di battaglia intendete fare? Fatemi capire. Da quando, con il decreto Bersani è stato liberalizzato il settore energetico, si sono susseguiti numerosi provvedimenti che, man mano, hanno tolto competenze alle regioni e alle autonomie locali, hanno cancellato la voce delle comunità. Quale battaglia si può fare che non sia per la riconquista dei diritti attraverso opportune leggi?

Voi, invece, volete addirittura andare ancora più rapidi! Magari vedreste bene un nuovo decreto del Governo Meloni che velocizzi ancora di più le pratiche, saltando i residui passaggi democratici e così eliminando, finalmente, anche le ultime “conservatrici” voci critiche? E questa sarebbe una posizione radicale di sinistra?

– “Nel 2025 è prevista la chiusura delle rimanenti centrali a carbone, e l’energia che forniscono deve essere sostituita da pale e pannelli – non dal gas. L’obiettivo, ricordiamo, è quello di raggiungere la neutralità carbonica nel 2035. Non solo elettricità pulita, ma la fine dei combustibili fossili in Sardegna – comprese auto, fornelli, industrie.” E ancora. “Noi siamo convinti l’energia debba essere pulita, pubblica, sarda. Pulita significa 100% a basse emissioni da qui al 2035, con un processo di decarbonizzazione che inizi immediatamente. Non solo l’elettricità come da consumi attuali, ma tutta l’energia consumata nell’isola – distinzione questa spesso dimenticata nelle analisi, ma fondamentale. Un obiettivo assieme ambizioso ma indispensabile. Raggiungerlo significa non rinunciare a nessuna fonte rinnovabile – solare, eolico in-shore e off-shore, idroelettrico, geotermico – oltre che adeguare le reti, creare accumuli, elettrificare i consumi. Una sfida a tutto tondo che tocca l’edilizia, i trasporti, il lavoro.

La fine dei combustibili fossili in Sardegna? E La Sarlux dove la mettiamo? Ad oggi da sola soddisfa quasi il 50% del fabbisogno elettrico sardo e, seppure non vada a carbone, è alimentata con gli scarti di lavorazione del petrolio ed è riconosciuta come “assimilata” alle rinnovabili. Non ho notizia di un piano per la sua dismissione o ridimensionamento. Questo di per sé impedisce la transizione totale del settore civile, e in ogni caso resterebbero da risolvere la questione acqua sanitaria e riscaldamento e delle reti del gas cittadino. Di fatto, però, con un mercato fuori controllo come quello elettrico (bruciano ancora gli oltre 800 euro a MWh dell’agosto 2022), chi sarebbe così folle da legarsi mani e piedi all’elettricità? In ogni caso, se anche si arrivasse alla totale transizione rinnovabile del settore civile, ciò non sarebbe ancora possibile per il terziario e l’industria. Ancora meno se consideriamo tutto il comparto energetico e non esclusivamente quello elettrico. Nel qual caso dobbiamo inserire anche i trasporti e l’agricoltura. Un ragionamento a parte merita l’industria: se davvero puntiamo all’indipendenza (energetica? politica?) della Sardegna, non si può prescindere da un’attenta analisi sul futuro industriale in Sardegna. Che tipo di industria vogliamo? Come la alimentiamo? Chiudiamo? Delocalizziamo? Trasformiamo? Tutto questo per significare l’impossibilità di liquidare argomenti così complessi con semplici dichiarazioni di principio. Ciò detto, non esiste produzione di energia pulita. Qualunque processo comporta degli impatti più o meno consistenti e allora bisogna essere onesti e ragionare con i dati reali, non limitandosi a ciò che ci piacerebbe ma valutando attentamente ciò che si può e ciò che si deve fare. Per fare un esempio, si continua a parlare di diffusione del trasporto elettrico, di sostituzione dei veicoli ad alimentazione fossile con equivalenti elettriche. E allora chiedo: è sempre indispensabile sostituire un’utilitaria a combustibile fossile con una elettrica (sempre che uno se la possa permettere) anche quando la percorrenza media dovesse essere di poche migliaia di chilometri all’anno? E ancora: autovetture come la Porsche o l’Hammer elettrici sono da considerarsi comunque ecologici e a impatto zero? Infine, dichiarate che l’energia deve essere pulita, pubblica, sarda, però nel frattempo volete “sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili”. Impianti privati, naturalmente. Una contraddizione non da poco.

– “Sarda è la logica conseguenza dei primi due punti. Solo le rinnovabili possono rendere la Sardegna sovrana dal punto di vista energetico. Solo sistemi di proprietà condivisi e pubblici possono garantire che i profitti vadano ai cittadini – e siano redistribuiti in bolletta o nel welfare. Solo una regia pubblica può garantire che all’avanzare delle energie pulite corrisponda una diminuzione di quelle sporche – e non si vadano, invece, ad affiancare come nello scenario attuale. Solo una guida democratica e non di mercato, infine, può ragionare su quanta energia serva alle persone, per che scopi, con che livelli di consumo. Senza paura di termini tabù come decrescita.

Come si arriva ad una guida democratica senza un duro scontro con lo Stato e con i grossi gruppi di interesse che stanno dettando le regole? Senza un ribaltamento del modello economico attuale? Come si possono avere dei sistemi di proprietà condivisi quando non avremo più la disponibilità della nostra terra? Come fate a parlare di decrescita quando proponete di sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili senza alcun limite?

È doveroso precisare che in Sardegna non partiamo da zero. Attualmente vi sono installati oltre 1,5 GW di potenza rinnovabile con una capacità produttiva soffocata dalla presenza delle centrali termoelettriche, dalla Sarlux in particolare, e da una rete in pessime condizioni. Ciò nonostante, l’energia prodotta soddisfa quasi l’80% del fabbisogno elettrico domestico. Affinché la transizione elettrica possa effettivamente compiersi, sono necessari consistenti investimenti sulla rete elettrica di cui però, eccetto i comitati e associazioni come Italia Nostra, nessuno fa cenno. In queste condizioni, ogni ulteriore aggiunta di potenza potrà solo peggiorare le cose, impedendo agli impianti Fer di funzionare adeguatamente e richiedendo ancora maggiore supporto da parte delle centrali termoelettriche. Sull’impressionante numero di richieste di connessione, pari al 30 giugno a 718, e la relativa potenza di 56,08 GW, che non desta molto la vostra attenzione, vi è da far presente un aspetto fondamentale: un numero così grande di impianti non ha alcuna possibilità di essere sfruttato, sia per i limiti della rete di cui sopra, sia per il ridotto fabbisogno della Sardegna, sia, infine, per la limitata capacità di trasporto verso il continente delle attuali e future infrastrutture. Perciò, a che pro tutti questi impianti? Per i soldi. Tanti soldi. Un ritorno economico spettacolare a fronte di qualche miliardo di euro di investimenti. C’è chi, diversi anni fa, si spinse ad affermare che le rinnovabili rendono più della droga. Questa è una partita nella quale tutti vincono: tra incentivi per le rinnovabili – sia quando funzionano sia quando stanno ferme per esubero di disponibilità – e incentivi per le fossili con funzione ancillare e per quelle “assimilate”. Diversi di questi progetti sono finanziati con fondi del PNRR e della banca europea per gli investimenti. Poi ci sono quelli finiti sotto la lente della DIA e numerose sono state le inchieste in questi anni sul riciclo di denaro sporco per via dell’ovvio interesse delle organizzazioni criminali. La più famosa fu probabilmente quella sulla P4. Davvero, quindi, siete convinti che una volta investiti tutti quei soldi, quando il nostro territorio sarà oramai disseminato di pale e pannelli, sarà ancora possibile per noi scegliere una nostra strada per l’indipendenza energetica?

Dico la verità, mi fa un po’ sorridere ma molto riflettere che, mentre nei poligoni sardi si addestrano eserciti di tutto il mondo che stanno contribuendo a devastare interi Paesi e negare il futuro a milioni di persone, inclusi, beninteso, il nostro territorio e il nostro futuro, mentre eserciti e industrie di tutto il mondo sperimentano in casa nostra ordigni e dispositivi di qualunque specie con il loro lascito di inquinamento e miseria, mentre una fabbrica di bombe del Sulcis Iglesiente si rende responsabile della morte di migliaia di civili inermi, voi pensate che la salvezza nostre e della Sardegna passi attraverso ulteriori concessioni, con lo “sblocco delle rinnovabili”. Sblocco, beninteso, previa “contrattazione su royalties e condivisione dei profitti”. Peccato che la legge in vigore impedisca, anche per ovvie ragioni, trattative di questo tipo. Mi rammarica non poco vedere che, alla fin fine, tutto il ragionamento si esaurisca attorno ad una mera questione monetaria. Davvero pensate che la vostra terra non abbia altro da offrire e voi nient’altro da pretendere?

Per concludere, e ritorno ai comitati: noi rivendichiamo i nostri diritti e lottiamo per la tutela della terra che ci ospita. Non abbiamo la verità in tasca ma di una cosa siamo certi: di essere sotto assalto, il più pesante per la sua dimensione mai subito dalla nostra isola e dalle cui conseguenze, siamo pienamente coscienti, se non facciamo qualcosa ora, non potremmo più risollevarci. L’emergenza è la scusa con cui da diversi decenni veniamo messi a tacere. Noi vogliamo invece concederci il beneficio del pensiero, del ragionamento, del dubbio, e delle decisioni meditate.

La transizione ecologica è una questione molto complessa, non si può risolvere banalmente con una immensa e incontrollata installazione di pale e pannelli. Affinché si possa realizzare richiede uno sforzo enorme da parte di tutti e soprattutto la disponibilità a metterci in discussione e cambiare radicalmente noi stessi e la nostra società. Ci accusate di essere vittime della propaganda conservatrice. A me pare, invece, che le vittime siate proprio voi rinunciando ad ogni pretesa, accennando al più a qualche debole e timorosa richiesta di natura economica.

E mentre noi lottiamo con la sola arma dei nostri corpi e delle nostre voci, vediamo voi che ci guardate dalla finestra e ci giudicate. E, per giunta, col metro dei colonizzatori. Utilizzate categorie che non hanno senso per noi e certamente non ci appartengono. La nostra presenza, la nostra stessa esistenza, è la più chiara evidenza del fallimento della politica, soprattutto di quella politica chiamata da voi radicale, ecologista e di sinistra. La politica che più di tutte dovrebbe stare dalla parte dei cittadini. Quella che la qualità della società la misura dalle diseguaglianze, dalla deprivazione, dai disagi, dai soggetti più fragili, dai quartieri degradati, dalle periferie. Noi siamo espressione di quelle persone a cui la voce è stata levata e che se la vogliono riprendere. Scendete in piazza con noi e venite a confrontarvi fuori dal mondo virtuale. Non si può pretendere che un grido di disperazione sia simile a un canto. Ma voi potete unire le vostre forze alle nostre affinché lo diventi.

da qui

 

 

Risposta ai giovani che non vogliono vedere bruciare la Sardegna - Cristiano Sabino


Pubblichiamo l’intervento di Cristiano Sabino dal titolo Contro la quarta colonizzazione della Sardegna senza se, ma e però Risposta ai giovani che “non vogliono vedere bruciare la Sardegna”.

Titolo fuorviante. Lo scorso 20 settembre sono stato chiamato in causa sui social in un dibattito lanciato da alcuni giovani attivisti e pubblicato su Il Manifesto sardo sulla questione “rinnovabili”, “transizione energetica” e “moratoria”. Gli autori hanno scritto un appello intitolato “Alla Sardegna. Da parte di giovani che non vogliono vederla bruciare” che merita una profonda riflessione.

Partiamo dal titolo. Non so se sia o meno il frutto degli autori, ma si tratta di una trovata tanto giornalisticamente furba quanto del tutto fuorviante. Infatti la Sardegna brucia da decenni e le cause accertate di questa situazione sono l’abbandono colpevole delle campagne, la scarsissima prevenzione e l’esiguità di mezzi antincendio a nostra disposizione (basta vedere il rapporto con la vicina Corsica). Non dico che il cambiamento climatico non contribuisca, ma le cause principali accertate dei roghi sono altre! Su questo è uscito un bell’articolo su S’Indipendente di Giuseppe mariano Delogu a cui rimando (Su fogu est unu perìculu? No, est a mudare sas sustàntzias chi costìtuint su “perìculu”).

Ora occupiamoci delle argomentazioni contenute nell’appello.

Appello rivolto a chi? Gli autori pongono cinque domande alle  “forze politiche della sinistra e dell’autodeterminazione” e sinceramente partirei proprio dai destinatari perché si tratta di categorie ricche di ambiguità. Cosa vuol dire “ forze di sinistra”? Cosa vuol dire “forze dell’autodeterminazione”. Intendiamoci, non voglio deviare il discorso, ma proprio non capisco il senso di queste parole se si prescinde da una precisazione di metodo, vale a dire chiarire il rapporto che intercorre tra le soggettività politiche e il sistema coloniale o – se si preferisce – il rapporto ineguale e combinato che esiste tra Stato italiano, potere economico e nazione (o popolo, come preferite), sardo. Fuori da questa precisazione, a mio parere, non ha alcun senso parlare di “sinistra” e di “autodeterminazione”.

Lo dico perché ci sono tante forze sedicenti di “sinistra” e perfino “indipendentiste” che non mettono in discussione il rapporto di subalternità tra Sardegna e Stato italiano. Banalmente c’è il Psd’Az che all’articolo 1 del suo statuto pone la questione dell’indipendenza della Sardegna e poi mette in campo tutt’altre dinamiche. Poi ci sono le forze che vanno alla corte del PD. Vi rivolgete anche al cosiddetto “campo largo”? Perché in questo caso vorrei segnalarvi che storicamente proprio questi soggetti hanno sempre osteggiato i movimenti ambientalisti, il referendum contro le scorie (fumi di acciaieria e quant’altro), la lotta per le bonifiche, la denuncia dei crimini ambientali condotta spesso in solitaria da indipendentisti anticoloniali e ambientalisti non organici al sistema. È tutto documentatabile ed esiste ampia letteratura in materia. Sui destinatari del vostro appello è necessario fare chiarezza perché le responsabilità delle forze legate alla “sinistra” non sono meno gravi di quelle della “destra”.

La questione assente: Sardegna «zona di sacrificio» A me sembra che nel vostro documento ci sia un convitato di pietra che è il processo coloniale che oggi, con la scusa e il marketing della “riconversione energetica” passa ad una nuova fase, la quarta, se vogliamo conteggiare i processi di sfruttamento economico e non anche la deculturazione e in particolare lo sradicamento della lingua sarda dalla società sarda. Non ne parlate mai e invece credo che si dovrebbe partire da lì.

La Sardegna, storicamente, è una “zona di sacrificio” che lo Stato centrale utilizza, senza trovare particolari resistenze nella classe politica (e purtroppo anche in quella colta) servile e compiacente, a suo vantaggio. Abbiamo subito nel corso di 160 di dominazione coloniale (prima monarchico-liberale, poi fascista e oggi repubblicana) diversi processi di sfruttamento intensivo, cioè di utilizzo delle nostre risorse attraverso uno scambio del tutto ineguale e basato sull’oppressione che, in diverse fasi, ha assunto i tratti della repressione poliziesca e militare (complotto separatista degli anni Ottanta e operazione Arcadia del 2006) quando non del vero e proprio  «stato d’assedio» (Gramsci definisce così le varie operazioni militari contro il “banditismo”).

Chiedete giustamente un punto di chiarezza sul fatto che coi «negazionisti non si fanno alleanze, nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche». Va bene, certo, i movimenti radicali non li hanno mai fatti. Ma esiste un’altra forma di «negazionismo» (se vogliamo usare questa categoria che per molti versi trovo impropria) ed è quella del negazionismo coloniale, cioè forze sociali e politiche che negano la condizione della Sardegna ridotta a “zona di sacrificio”. Di che si tratta?

In un recente articolo, comparso lo scorso 15 dicembre su Il Fatto quotidiano [Nuova economia ok, ma l’inquinamento?,  Il Fatto quotidiano del 15 dicembre 2022; per approfondire, Cristiano Sabino, Decolonizzare l’ambientalismo, Filosofia de Logu], Linnea Nelli, Andrea Roventini e Maria Enrica Virgillito mettono in luce il fatto che «l’Europa è popolata da “zone di sacrificio”», cioè da aree geografiche destinate a sopportare tutti i costi delle produzioni inquinanti e della transizione energetica: «le asimmetrie non sono solo produttive e tra Paesi, ma anche territoriali all’interno dei Paesi» e ciò avviene anche a causa del fatto che «le comunità locali sono soggette al ricatto occupazione-salute». Precisano gli autori:

«Attuare politiche per la transizione ecologica è una necessità per tutti i Paesi. Ma se il processo avvenisse unicamente sotto il profilo produttivo, senza essere accompagnato da una transizione sociale che richiede interventi di politica economica, potrebbe esacerbare vulnerabilità e disuguaglianze esistenti. Perché la transizione ecologica sia giusta, occorre che un processo verso la neutralità climatica garantisca stabilità occupazionale, sostenibilità ambientale ed eguaglianza economica. (…)»

Segue un elenco di realtà geografiche tristemente note per essere in vetta alle statistiche epidemiologiche per quanto concerne patologie tipiche da inquinamento ambientale. Questi territori – glossano gli autori – «sono aree di deprivazione socio-materiale, che rischiano di restare indietro in assenza di riconversione produttiva, caratterizzati da spopolamento, disoccupazione e disparità di reddito che coesistono con irreparabili danni all’ambiente e alla salute».

La Sardegna rientra ampiamente nella descrizione di queste «aree di deprivazione», non solo per la sua storia di predazione, land grabbing, sfruttamento intensivo e inquinamento, ma anche per il suo presente di vastissime porzioni di territorio destinate, per decreto governativo e compiacenza degli ambientalisti da cortile, alla produzione energetica su vasta scala, a tutto beneficio di terzi.

I dati attuali forniti da Terna ci raccontano una realtà allarmante: circa 700 progetti, con un trend di 30/40 nuovi progetti alla settimana. Se si realizzassero tutti gli impianti da FER attualmente richiesti la Sardegna produrrebbero circa 56mila GWh (cifra ancora lontana da quella che sarà al termine della corsa all’oro “rinnovabili”), a cui bisogna aggiungere ciò che produciamo già (circa 3mila GWh). Ricordando che ne consumiamo circa 9mila la sperequazione appare nella sua più stringente evidenza.

Con l’approvazione del Tyrrenian link la Sardegna, insieme alla Puglia e alla Sicilia, diventerà la batteria energetica dello Stato che garantirà il 90% di produzione elettrica da eolico e oltre il 50% di solare. Energia – si badi bene – totalmente in mani private e senza alcun beneficio per i sardi, come accade nei regimi coloniali classici, dove si utilizzano le risorse locali (in questo caso terre, mare, sole e vento) utilizzandole ad esclusivo beneficio dei colonizzatori. Non piace chiamarla colonizzazione perché pare brutto? Allora chiamiamola scambio ineguale, subalternità, zona di sacrifico, il concetto è lo stesso!

Buoni e cattivi. Tutto così semplice? Nel vostro testo parlare dei comitati, di alcuni sindaci «in cerca di consenso», delle forze della destra pronte a cavalcare la battaglia antieolico, di associazioni «pseudo-ambientaliste» retrograde dedite alla «retorica paesaggistica». Non so bene a chi vi riferiate, ma anche su questo, magari prima di esprimere determinati giudizi, mi fermerei un attimo a valutare il lavoro di associazioni come il GRIG e Italia Nostra (lontanissime da me su tante questioni) che però si battono sul campo, e soprattutto giuridicamente, contro speculazioni ambientali, saccheggi, cementificatori, criminali delle discariche di stato ecc.. Per non parlare di alcuni sindaci come Maurizio Onnis di Biddanoa ‘e Forru (Villanovaforru in lingua di imposizione statale) che ha realizzato una delle due CER in Sardegna e che, contemporaneamente è in prima linea contro l’attuale colonizzazione “green”. Anche lui un sindaco con «pulsioni» narcisiste? Già questo dato dovrebbe mandare in crisi l’impianto sostanzialmente manicheo del vostro appello che vede da una parte le forze del bene (pro rinnovabili) e dall’altra l’impero del male dedito al lato oscuro della forza (nel senso letterale, petrolio + carbone).

Mi spiace dirvelo ma le cose non stanno così e la vostra mi sembra una narrazione capziosa. Faccio solo un altro esempio. Prima della nascita dei comitati e dell’attenzione mediatica sul tema “rinnovabili” è nata ADES, la piattaforma per la democrazia energetica, precisamente il 12 febbraio 2022, con un sit in e una conferenza stampa davanti al Palazzo della Regione.

ADES nasce da una serie di incontri promossi da diverse associazioni, tra cui in prima linea No Metano Sardegna, con l’obiettivo di creare un unico soggetto che ha come obiettivo una Sardegna sostenibile. Gli obiettivi di ADES erano e sono quelli di « promuovere l’uso delle fonti rinnovabili spingendo verso le comunità energetiche e l’autoconsumo,  ponendo molta attenzione all’evoluzione e gestione del processo affinché rimanga nelle mani delle comunità locali.  Obiettivi che tendono in qualche modo a sottrarre la Sardegna a uno sfruttamento incontrollato da parte di multinazionali dell’energia o comunque di grandi società che invece puntano al profitto e non certo alla tutela dell’ambiente e dell’interesse anche economico dei sardi» (https://www.sindipendente.com/blog/la-piattaforma-per-la-democrazia-energetica-in-sardegna-ades-presenta-il-suo-manifesto/ )

Non mi sembrano posizioni di retroguardia, ammiccanti ai poteri forti, negazionisti del cambiamento climatico o subalterni all’egemonia della destra. Voi invece come la collocate? ADES è stata all’avanguardia nel denunciare la complementarietà di due forme di colonialismo energetico. Cito dal manifesto reperibile al link:

«Da una parte, il blocco dei fautori della metanizzazione, che spingono per l’adozione di una tecnologia obsoleta e completamente contraria agli obiettivi di contrasto al riscaldamento climatico. Dall’altra i fautori di una “transizione energetica” verso le fonti rinnovabili completamente gestita dall’alto, delegata a pochi gruppi multinazionali, in un contesto di deregolamentazione che consenta il massimo della speculazione e il minimo del rispetto del territorio».

Si tratta di contrapposizioni apparenti e la cronaca degli ultimi due anni lo ha ampiamente dimostrato! Prosegue ADES:

«Questi due presunti blocchi contrapposti sono in realtà profondamente solidali, nello stabilire il principio che il futuro energetico debba essere deciso da pochi, per l’interesse economico di pochi, nella totale indifferenza verso i bisogni delle comunità e verso l’imprescindibile rispetto del territorio».

Scrivo il 24 settembre 2023, quando da poco Stato e Regione si sono dati la mano e hanno approvato il Tyrrhenian link, nel silenzio generale di molte – se non di tutte – quelle realtà che voi definite “di sinistra” e “per l’autodeterminazione”. In che modo questo fatto, di cui non trovo traccia nella vostra narrazione, rientra nell’immaginario di una «politica di palazzo» arroccata sulle posizioni dei petrolieri e dei fautori della carbonizzazione e del tutto ostile alle rinnovabili? Il cavo sottomarino servirà infatti a pompare dalla Sardegna un enorme surplus energetico, frutto di centinaia di impianti rinnovabili, imposti grazie al decreto Draghi (con l’attuale complicità del governo Meloni) alle comunità sarde, molti dei quali sono già in costruzione.

Metano contro rinnovabile? A smascherare la favoletta green sulla Sardegna isola all’avanguardia nella lotta al climate change propugnata da Legambiente WWF e FAI (su questo punto rimando alla lettura del mio articolo scritto per Filosofia de Logu “Decolonizzare l’ambientalismo. Come la ragion coloniale si tinge di verde”) sta la più cruda realtà di una schiera di progetti (tra approvati, presentati e in funzione) di depositi / rigassificatori di gnl assolutamente complementari e sinergici all’invasione di rinnovabili.

Del legame tra il metano da una parte e il far west delle rinnovabili dall’altra, vale a dire delle sempre più numerose richieste di autorizzazione per impianti eolici e fotovoltaici, si è occupato (con maggiori competenze rispetto alle mie) Piero Loi sul periodico di approfondimento e inchiesta Indip nell’articolo “Sardegna, la giungla dell’energia, e l’oligarca russo va a tutto gas”, a cui rimando per approfondimenti specifici. Il punto politico, in ogni caso, è chiaro: più la Sardegna verrà dotata di infrastrutture per il trasporto di energia verso il Continente, più aumenterà la produzione da fonti rinnovabili e più si avrà bisogno di metano per stabilizzare le rinnovabili, la cui produzione è intermittente. Di questo nel vostro appello non si parla!

Si tratta di un processo già in atto, che è possibile mappare. Nel Porto industriale di Oristano sono previsti almeno quattro depositi costieri (Higas, in funzione), Edison (approvato – si pensa ad un ampliamento – ma non ancora realizzato), Ivi petrolifera (due autorizzati). Poi ci sono le famose FSRU della Snam, vale a dire le navi gasiere dotate di rigassificatori: oltre a Porto Torres, una seconda FSRU è prevista a Portovesme. Un secondo deposito costiero a Porto Torres è stato previsto dal Consorzio industriale, ma il progetto appare dormiente. Infine sono previsti un deposito costiero con rigassificatore e centrale a metano ad Olbia e un deposito/rigassificatore di Giorgino a Cagliari. Da nord a sud, da est ad ovest la Sardegna sta diventando un enorme ormeggio per navi gasiere. Tutti progetti ad altissimo impatto ambientale e a rischio incidente rilevante, che vanno a stratificarsi su territori già fortemente segnati da attività inquinanti pregresse (come per esempio Porto Torres che è un S.i.n in cui tutte le matrici ambientali risultano irrimediabilmente compromesse secondo la stessa ARPAS).

Dove li mettiamo questi impianti nella favoletta green che ci raccontano Governo e Legambiente?

Basterebbe chiedersi se tutta quest’infrastrutturazione serva al territorio e ai sardi per inquadrare il problema: basti pensare che la sola nave deposito-rigassificatore prevista a Portovesme è in grado di rigassificare 5 mld di mc di gas/anno, mentre il fabbisogno della Sardegna (sovrastimato dal Piano energetico ambientale della regione Sardegna, Pears) è pari a circa 900 milioni di mc/anno. Si capisce che il trend politico di Stato italiano (della sua alleanza atlantica) e multinazionali è quella di trasformare la Sardegna in un hub energetico, indipendentemente dal carattere pulito o meno che implica la produzione e questo dipende da tanti fattori, non ultimo il precipitare della nuova guerra fredda con Russia e Cina e il bisogno di mettere a regime zone considerate sacrificabili perché poco propense alla ribellione e alla resistenza, esattamente come è stato fatto in passato con la militarizzazione selvaggia dell’isola da parte di EI e NATO.

Questa programmazione energetica, volta a trasformare la Sardegna in un hub coloniale del gas, è foriera di pesanti conseguenze. Ad esempio, un rischio concreto è lo sfruttamento futuro di giacimenti locali di idrocarburi (sul modello del famoso progetto Eleonora della Saras, a cui la Sardegna si era opposta con successo), on e off shore. Inoltre, uno degli effetti più che probabili di questo disegno è lo sviluppo di colture energetiche (land grabbing e conflitto con le colture alimentari) per la produzione di biometano (metano a tutti gli effetti).

Per ora lasciamo da parte la questione nucleare (deposito unico di scorie e possibilità di diventare una piattaforma per il nucleare civile). Su questo sono intervenuto recentemente su S’Indipendente (Al 20,9% la Sardegna diventerà una discarica nucleare, 26 luglio 2023), ma è necessario rimanere all’erta!

Passiamo ora a quei punti del vostro appello che mi sembrano davvero centrali.

1.      Siamo disposti a non fare alcun patto con i «negazionisti, nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche»?

No, le lotte si fanno con chi c’è. Ho fatto tante lotte con chi non riconosceva nemmeno l’esistenza del popolo sardo (anche con alcuni firmatari del vostro manifesto) su specifici punti, se li si ritiene strategici, non si fanno le analisi del sangue, specialmente se stiamo parlando di comitati che per loro natura sono assolutamente trasversali. Solo un esempio: sapete nelle lotte dei pastori per un giusto prezzo del latte quante volte mi è toccato discutere con gente che iniziava il discorso con “quando c’era lui!”?. Nelle lotte bisogna sporcarsi le mani e – come ricordava Lenin – non si può fare una frittata senza rompere le uova. Da una parte bisogna avere un atteggiamento pragmatico, dall’altra svolgere un lento lavoro egemonico, perché le idee non cascano dal cielo, ma sono il frutto di una prassi lenta e costante. Questo lavoro non lo si fa dando patenti, soprattutto se stiamo parlando di comitati popolari che difendono il proprio territorio da una vera e propria aggressione barbarica e non di personaggi prezzolati ed etero diretti come lo sono gli agenti che cercano di adescare coltivatori e pastori per comprargli le terre a basso costo, approfittandosi della crisi agricola e seminarla di gigantesche torri eoliche. Allora il discorso è diverso e non si fanno prigionieri!

·         Chiedere una transizione che non impatti sul paesaggio significa, di fatto, non chiedere la transizione

A mio avviso impostate il discorso in maniera fuorviante. Magari ci sono anche gli ambientalisti da cartolina, anche se io non ne ho visti nelle lotte contro le speculazioni energetiche. La vera questione è una transizione non coloniale e autodeterminata e questa si può fare solo se si blocca quella che il sistema Stato-multinazionali chiamano “transizione” ma che in realtà è a tutti gli effetti una nuova fase della colonizzazione della Sardegna, precisamente la quarta, dopo estrazione taglio selvaggio dei boschi, estrazione mineraria, industria pesante – occupazione militare (che vanno insieme perché sono coeve).

·         «Siete disposti a formulare una proposta di transizione energetica basata su dati, evidenze e scelte praticabili nell’immediato, che sia, in una parola, una proposta di governo»

La prima transizione che deve essere perseguita in Sardegna è quella dalla condizione coloniale a quella autodeterminata, ovviamente meglio se fondata su un modello a zero emissioni. Ciò che non siamo disposti a fare è fiancheggiare la “transizione” (che come abbiamo visto transizione non è visto che implica metano e rigassificatori) a qualunque costo, perché ad oggi la fantomatica “transizione energetica” (a parte i pochi esempi virtuosi di CER) in Sardegna implica l’aggravarsi della dipendenza coloniale dell’isola e l’utilizzo delle nostre risorse per arricchire regioni e circuiti economici esogeni. Non esistono progetti di governo alternativi se prima non si ferma la colonizzazione in atto per volontà di Stato, multinazionali dell’energia e Regione Autonoma.

·         Moratoria. Voi siete contro «questo strumento» perché lo ritenete «inefficace agli scopi di un progetto ecologista e democratico, ma addirittura dannoso».

Questo di fatto è il filo scoperto di tutto il vostro ragionamento e la cartina di tornasole dell’approccio (credo inconsapevolmente) coloniale del vostro manifesto. Quando parlate di «agenzia sarda dell’energia» per un sistema energetico «pulito, pubblico, sardo» dobbiamo per forza di cose premettere una moratoria energetica su tutti i progetti in corso di realizzazione che non sono «pubblici» (né tanto meno democratici), non sono «sardi» e sono coloniali perché servono a realizzare un rapporto subalterno tra la Sardegna e il sistema Repubblica italiana-UE-multinazionali.

Di grazia, come volete raggiungere il meraviglioso “regno dei fini” (per citare Kant) rappresentato da un sistema energetico siffatto, senza bloccare lo stupro in atto verso le nostre terre, le nostre comunità e i nostri diritti di popolo? Davanti ad una lotta oggettivamente anticoloniale come quella condotta dalle comunità che stanno difendendo con i denti e con le unghie la propria terra, non si può vestire i panni dell’imparzialità o rimandare ad una palingenesi futura dove verranno piantate solo pale belle, pulite e sarde. Questa è pura retorica! La colonizzazione in atto adesso è una pura macchina di violenza e va fermata ad ogni costo e subito, esattamente come un saccheggio o uno stupro in corso. Assumere una posizione neutrale di fronte a questo significa solo schierarsi dalla parte del più forte e cioè in questo caso dello Stato e delle multinazionali. Spero ve ne rendiate conto..

·         Non utilizzare il lessico “sventramento e stupro di fronte a delle pale sulla collina”

Si, ho scritto “stupro”, perché di questo si tratta, anche se non vi piace. E parliamo di «stupro» non perché – come voi scrivete – ci si indigna «di fronte a delle pale sulla collina», ma perché la pantagruelica quantità di campi eolici e fotovoltaici che sta invadendo le nostre terre, i nostri monti, le nostre valli, perfino le aree archeologiche rappresenta un preciso disegno di dominio brutale e non consensuale tra alto e basso, tra dominatori e subalterni, esattamente come lo è lo stupro. Quando uso questa categoria, oltre che ai classici riferimenti a Fanon, Sankara e Aime Césaire sulla brutalità e i dispositivi dei processi coloniali, mi riferisco alle più recenti ricerche della studiosa femminista e antimilitarista Cynthia Cockburn. La ricercatrice e attivista britannica ha studiato i movimenti femministi e antimilitaristi individuando un nesso tra «violenza di genere» e «violenza sistemica» e questo si realizza nella normalizzazione e nella banalizzazione delle pratiche violente da parte del sistema politico, economico dominante. Nella prospettiva femminista antimilitarista si stabilisce una connessione inestricabile tra neoliberismo, militarismo, patriarcato e depredazione delle risorse naturali che vanno intese come facce di un unico modello dominante.

Cito da un testo facilmente reperibile on line che mette in relazione gli studi femministi intersezionali con le lotte femministe antimilitariste in Sardegna:

«La lettura femminista di tale processo di organizzazione socio-spaziale ha privilegiato nel tempo l’uso esemplificativo dell’immagine dello stupro. Si è analizzato l’utilizzo della violenza sessuale come effettiva arma bellica, comune a conflitti in ogni angolo del pianeta, ma, già negli anni novanta con Cyntia Enloe (1993), evidenziando come la peculiare risonanza tra razionalità e discorsi nazionalisti e militaristi, in un ambiente sociale patriarcale, crei le condizioni per l’uso “scientifico” della violenza come atto di guerra sui corpi delle donne, territorio nemico materiale e simbolico sul quale si articolano peculiari geografie transcalari dell’aggressione (Mayer, 2004). È un punto essenziale, dunque, della critica operata dagli studi di genere verso il modello sociale egemone, nel quale la violenza sessuale è effetto di relazioni autoritarie, gerarchiche, di possesso e controllo in funzione dell’ordinamento dominante» (Carlo Perelli, Fuori posto, fuori norma. pratiche femministe antimilitariste in Sardegna).

Di fatto, quella che stiamo vivendo, è una colonizzazione in processo, assolutamente complementare con quelle in atto (occupazione militare, modelli industriali esogeni, sradicamento culturale) e il discorso di Cynthia Cockburn sui modelli militaristi e bellici è applicabile ai più recenti processi di accumulazione capitalistica e sfruttamento coloniale rappresentanti dalla cosiddetta “transizione energetica”, così come la stiamo imparando a conoscere in Sardegna, basata su «relazioni autoritarie, gerarchiche, di possesso e controllo in funzione dell’ordinamento dominante» (cit.).

L’aut aut da porre con forza e urgenza non è dunque “rinnovabili” o “fossili” ma “colonialismo” o “decolonizzazione”?

Conclusioni. Gli ultimi due quesiti che ponete sul piatto sono fondamentali per comprendere la scelta di campo che ogni sarda e sardo deve fare:

·         Essere «pronti a dichiarare con nettezza la contrarietà ad ogni infrastruttura climalterante, in primis quelle relative al gas metano, e a creare mobilitazione su questo tema»

·         La questione relativa all’egemonia e cioè il pericolo da voi segnalato che le forze alternative subiscano l’egemonia altrui, invece di creare la propria.

Anche a questo proposito la prospettiva va a mio parere ribaltata. È condivisibile porre la questione dell’egemonia, ma l’egemonia – che è un concetto che per sua natura richiama le analisi gramsciane fra potere e consenso – non riguarda la scelta tra uno strumento di produzione e un altro, ma il rapporto tra dominatori e dominanti, cioè tra chi detiene il potere (in questo caso Stato e multinazionali) e chi lo subisce (gruppi subalterni, comunità, popolo sardo). In questo senso, visto che tirate in ballo una categorie non neutra come “egemonia”, più che essere «pronti a dichiarare con nettezza la contrarietà ad ogni infrastruttura climalterante, in primis quelle relative al gas metano, e a creare mobilitazione su questo tema», bisognerebbe allargare di parecchio il discorso che fate e dichiararsi pronti a contrastare ogni infrastruttura energetica, militare, economica che rafforzi il dominio coloniale e che riduca gli spazi di autodeterminazione, autogoverno, autodecisione delle comunità e delle persone sarde, contrastando il saccheggio, lo stupro, il prelievo energetico forzoso, lo sfruttamento becero della Sardegna e dei sardi, da parte di un potere sempre più convinto di avere carta bianca in questa terra.

La cosa più grave è che proprio la vostra proposta di “agenzia sarda dell’energia” risulta uno spettro senza alcuna possibilità di determinazione, proprio grazie al processo di “transizione energetica” in corso. Mi spiego meglio. La destinazione dell’isola ad hub energetico sta portando i sardi a non sviluppare un sistema energetico sotto il nostro controllo e basato sulle necessità della nostra isola, realmente rispettoso dell’ambiente e della salute, e capace di far risparmiare gli utenti o addirittura di far guadagnare loro qualcosa. Vale a dire un modello essenzialmente basato sull’elettrificazione dei consumi, l’autoproduzione-autoconsumo di energia (generazione distribuita e smart grid), utilizzo dell’idroelettrico per stabilizzazione le rete elettrica, comunità energetiche e – in generale – un ripensamento generale dei modelli di produzione e consumo. Inoltre, come ho accennato sopra, il gas non è alternativo alle rinnovabili, ma risulta funzionale al più ampio disegno della trasformazione della Sardegna in un gigantesco hub coloniale nella piena disponibilità delle regioni ricche, dei privati, dello Stato italiano e – in buona sostanza – della parte europea del blocco NATO in funzione anti Russa e anti Cinese. Fondamentalmente si vuole sacrificare il nostro territorio destinandolo a corridoio di transizione di enormi flussi di energia, variamente assortita. Se questo progetto va in porto e non trova una forte opposizione popolare, diventeremo una monocultura energetica intensiva diffusa in tutti i territori e a beneficio di aree della Repubblica ed europee industrializzate e ricche, senza alcuno scambio paritario. Tutto questo si tradurrà in ancora più significativi impatti sulla salute, sugli ecosistemi, sulle matrici ambientali e sul paesaggio e, soprattutto, si  arriverà ad una profonda trasformazione della proprietà fondiaria che avrà impatti devastanti su tanti versanti. La presenza di grossi impianti, infatti, attiverà operazioni di vendita o di cessione trentennale dei diritti di superficie. Il rischio, dunque, è che il già incrinato rapporto tra i sardi e la terra s’indebolisca ulteriormente. In altre parole, le campagne – sempre più abbandonate – potrebbero non essere più concepite come un’opportunità di reddito (per quanto riguarda le colture alimentari o la pastorizia) e, in definitiva, di radicamento sociale. E allora sì che la Sardegna brucerà come non ha mai bruciato finora e la vostra profezia rischierà di avverarsi, nonostante la presenza di enormi porzioni di territorio sacrificate alla produzione energetica per conto terzi e anzi proprio in virtù di quella presenza.

Dopo aver risposto a tante vostre domande ve ne faccio una io. Davanti a questo destino di schiavi della colonizzazione in tanti abbiamo già scelto da che parte stare. E voi?

da qui

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