lunedì 23 ottobre 2023

Lettere dal Sahel X - Mauro Armanino

  

La sofferenza dei poveri e la transizione di Niamey

Niamey, settembre 2023. L’apparenza inganna, lo sappiamo. La vita sembra scorrere come sempre e, almeno in città, c’è l’abitudine di vivere grazie a un antico mestiere imparato fin da bambini. Si tratta dell’arte sottile della quotidiana sopravvivenza nella quale dal niente si tira fuori tutto quanto basta per arrivare al giorno dopo. Dal 26 luglio fino a oggi, la prima decade di settembre, è in vigore una non annunciata e ben definita transizione di regime. Le sanzioni economiche e sociale approvate e applicate in fretta da un parte dei Paesi confinanti il Niger, specie quelli avendo lo sbocco sul mare, aggiungono sofferenze al già temibile quotidiano della povera gente. ‘Siamo nella sofferenza’, diceva un artigiano il cui lavoro si è di colpo interrotto da un mese a causa della situazione creatasi a seguito del golpe militare citato. ‘Mancano i soldi per i condimenti’, aggiunge e allora si sparisce fino a sera per non vedere i figli e i nipoti soffrire la fame.

‘Fino a quando’, chiede lo stesso artigiano che, prima di congedarsi, chiede che anche nelle chiese si preghi perché le cose ‘si rimettano a posto’ quanto prima. C’è infatti qualcosa di straordinario che sta accadendo nel Paese e che, a guardarlo da vicino, desta ammirazione e stupore. Si tratta della quotidiana resistenza dei ‘piccoli’ che, soprattutto in silenzio, realizzano un’autentica rivoluzione sociale. Stanno pagando un prezzo molto alto al cambiamento impresso alla storia del Niger tramite il golpe, in parte inatteso, di fine luglio. Soffrire in silenzio in genere non fa notizia eppure è questo uno dei pilastri su cui si regge l’attuale transizione politica. Un silenzio che dovrebbe interpellare chi ha assunto per scelta o per necessità di instaurare un regime di eccezione nel Paese e attorno a esso. Non è accettabile che, senza alcuna remora, si penalizzi un popolo, anzi ‘il popolo’ e cioè i piccoli e fragili di sempre, i poveri e i giovani in particolare.

Nessuno dovrebbe osare confiscare il loro futuro perché, intessuto com’è di sogni, speranze e ideali è qualcosa di sacro, Non rubare il verbo vivere coniugato al futuro con dignità è ciò che dovrebbe costituire la ragione d’essere di ogni autentica politica. Da questo frutto si riconosce l’albero che ha scelto di piantare la transizione nel Paese. Non accada mai più che la sofferenza dei poveri sia resa vana e le nascoste utopie germogliate in questi anni assenti siano svendute al miglior truffatore di sogni. Ecco perché il silenzio nascosto si trasforma in un grido rivolto a chi ha il coraggio e l’incoscienza di accoglierlo. Nella complicità di coloro che non hanno voce si tratta di dare una risposta accorata alla sofferenza , a livello locale e internazionale. Sarà questo il nome da dare alla transizione che dovrà sfociare nella Conferenza Nazionale aperta a tutti per dare un volto nuovo alla politica. Assumere la sofferenza dei poveri perché trasformi il linguaggio politico del Paese sarà la base della nuova Costituzione della Repubblica, fondata sul silenzio.

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Il golpe migrante di Niamey

Niamey, 17 settembre 2023. C’è stata una migrazione geografica che solo il Sahel, l’altra riva secondo l’etimologia del termine, ha saputo annotare sulla polvere dal 26 luglio scorso, data del golpe di Niamey. Il Mali, il Burkina Faso e, ultimo arrivato per ora, Il Niger che il colpo di stato attraversa a tutt’oggi senza darlo troppo a vedere. Variegate le manifestazioni di appoggio ai golpisti, il presidio permanente alla zona deve sono stazionati i militari francesi, il nuovo governo installato e le bandiere nazionali esibite da tassisti e incauti motociclisti. Ai lontani confini del Paese permangono le frontiere chiuse a persone e mercanzie. Detenuto da allora al suo domicilio il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale. Dal golpe migrante ai migranti del golpe che si realizza nell’invisibile presenza e transito degli ‘esodanti o avventurieri’, come si dice qui.

In effetti ogni migrazione infligge, a suo modo, un colpo di stato fatale al sistema. Le frontiere, le culture e le identità si spostano grazie a persone, storie e progetti di vita che sfidano in permanenza l’ordine (o il disordine) stabilito. C’è da prender atto che, nell’apparente banalità del viaggio, il più efficace golpe dell’umana avventura, è costituito dalle migrazioni. Folli imprese dove si rischia l’esistente per l’incertezza di un futuro immaginato differente. Per raggiungerlo si soffre e si rimpiange quanto si ha lasciato. C’è chi si accampa in strada, alle porte dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni o non lontano dalle stazioni dei bus in città. Il golpe dei migranti dura da millenni e continuerà malgrado i sistemi di sorveglianza, le frontiere armate, gli accordi di cooperazione coi fondi fiduciari di sostegno ai progetti di sviluppo. Il tutto giustificato per arrivare alle ‘cause profonde delle migrazioni’.

Ogni golpe è, di fatto, il tentativo del progetto migratorio da un regime all’altro, da una repubblica all’altra e da una democrazia all’altra. Migrano i militari e transumano i partiti politici. Migrano con loro anche gli opportunisti che, come sempre, non perdono l’occasione per salvarsi. Migra soprattutto il lavoro perduto, i soldi che non bastano, il cibo fattosi raro, i salari occasionali e i prezzi in aumento dei generi alimentari. Migrano le ong limitate nell’azione umanitaria, gli imprenditori di violenza armata che operano dove si offrono prospettive di occupazione e migrano i sogni che passano la frontiera con la piroga. Migrano i sogni di un’altra società possibile e gli ideali di un mondo in procinto di nascere da quello antico. Migrano, infine, le parole di verità prese in prestito dalla speranza che, forse domani, ci sarà una giustizia per i poveri.

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Il ‘Nunca mas’ nel deserto del Sahara

Niamey, settembre 2023. Niamey, settembre 2023. Mai più. Recitava il titolo del rapporto sui ‘desaparecidos’ della guerra ‘sporca’ in Argentina negli anni ’70. Il documento in questione metteva in evidenza i nomi delle vittime, il sistema organizzato di prigionia, il tipo di tortura inflitto ai ‘dissidenti’ del regime militare che aveva preso il potere nel Paese. Migliaia di persone ‘scomparse’ da casa, dal lavoro, in strada, nelle scuole o università avevano trovato un ultimo e definitivo eco nel rapporto citato. Mai più (Nunca mas) era intitolato come per affermare solennemente che quanto accaduto non avrebbe più dovuto riprodursi nel futuro. Purtroppo gli scomparsi continuano a perpetuare le liste nelle frontiere dove la mobilità umana sembra incompatibile con la marcia della globalizzazione. Soldi, mercanzie, giocatori di calcio, diplomatici, turisti e commercianti possono viaggiare e spostarsi liberamente e felicemente. Per chi è nato ‘dalla parte sbagliata’, come ricordava una vecchia canzone di Jean Jacques Goldman, è destinato, d’ufficio, a scomparire e, se possibile, senza lasciare tracce alcuna.

Da anni, ormai, siamo stati testimoni di queste quotidiane sparizioni di migranti nel deserto di sabbia e nel deserto di mare. Tra i due non c’è soluzione di continuità perché il primo e ‘fontale’ deserto si trova nel cuore del sistema stesso, nato per escludere chi non è nato ‘dalla parte giusta’ del mondo. Si è creata una sorta di complicità tra i processi di esternalizzazione delle frontiere europee e le politiche dei Paesi del Maghreb. I controlli delle frontiere, le espulsioni e deportazioni più in là, in pieno deserto verso il Paese confinante, hanno, in questi anni, prosperato anche grazie alle comuni politiche di ‘collaborazione’ nella gestione delle migrazioni. Gli scomparsi a volte tornano e raccontano l’accaduto nella fossa che separa l’Algeria dal Marocco a Oujda e le reti metalliche installate a Ceuta e Melilla, ‘enclaves’ spagnole in Marocco e soprattutto le quotidiane forme di morte sociale cui sono destinati i migranti sub sahariani. I loro nomi e le loro storie ci arrivano di prima mano, solo quando esse trovano uno sguardo e un orecchio libero all’ascolto che ‘umanizza’ quanto è stato sistematicamente tradito durante il viaggio intrapreso.

Mai più, scrivono sulla sabbia quanti hanno patito e sofferto a causa di ciò che sono e cercano. Il sistema sembra incapace di leggere ciò che l’umana mobilità porta e comporta come radicale novità di vita e di pensiero. I migranti arrivano dal deserto con le mani nude il cuore gonfio di attese e speranze di un mondo differente. Fanno di tutto per non scomparire tra i fondi fiduciari affidati alle grandi ONG che finanziano progetti di sviluppo che dovrebbero toccare le radici profonde delle cause delle migrazioni. Oppure, in cambio, la formazione offerta da Eucap Niger (espressione dell’Unione Europea) per imparare a controllare meglio le frontiere, i documenti e i traffici frontalieri. Poi ci sono le politiche delle autorità del Marocco, l’Algeria, la Tunisia senza dimenticare l’inferno libico (finanziato per esistere e riprodursi) che prendono i migranti come ostaggio per negoziare contratti, geopolitiche e soprattutto manna finanziaria. Mai più scrivono sulla sabbia gli ‘esodanti’ e gli avventurieri di questo mondo altro che fatica a partorire il nuovo.

Lei, Sadamata, arriva con la sua piccola Fatima di un anno. Nata in Sierra Leone e portata con loro in Algeria. Hanno vissuto per sei mesi lavorando finche il papà della bimba è stato ucciso e la mamma espulsa e deportata al confine. Per qualche giorno rimane ospite della locale compagnia di trasporto Rimbo di Niamey e poi, con una valigia e una borsa dove ha custodito la memoria del suo viaggio di fuga dal Paese natale, dorme fuori, sulla strada. Con lo sguardo mite attende che si apra una porta per entrare, finalmente, nel futuro dove sua figlia, bella come lei, possa disegnare il profilo di un’umanità degna di questo nome. Mai più, scrisse il rapporto sulle sparizioni in Argentina. Mai più ha appena sussurrato la piccola Fatima, nella braccia di sua madre.

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Due mesi dopo il colpo di stato e il sapore della libertà

Niamey, 26 settembre 2023. Era il mercoledì 26 luglio quando l’inattesa chiamata sul cellulare di un giornalista italiano sconosciuto chiedeva com’era la situazione in città dopo il colpo di stato. Sorpreso dalla notizia all’ora di pranzo non è stato difficile appurare la veridicità della notizia tramite le agenzie informative nazionali e internazionali. Era tutto vero perché Il presidente riconosciuto era fatto prigioniero dalla guardia presidenziale a casa sua, assieme alla moglie e al figlio. La giunta militare che ha preso il potere annunciava la sua destituzione come condizione per la salvaguardia della patria messa in pericolo, secondo gli autori del golpe, dal regime deposto. Concitate le reazioni nazionali e soprattutto internazionali che accusavano i putschisti di un colpo di stato di ‘troppo’ nel Niger, abituato a questo sistema di riavvii atipici delle vita democratica e politica del Paese. Da allora passano i giorni tra sanzioni economiche, frontiere chiuse alle mercanzie e alle persone che comunque e di frodo le attraversano con mezzi di fortuna e onerosi sistemi di arrangiamento con militari e doganieri. In città è lo stadio nazionale che raccoglie migliaia di simpatizzanti della giunta e soprattutto la marea umana che ha invaso, pacificamente finora, i dintorni della base dove sono stazionati i militari francesi e di altre nazionalità. Quanto ai militari degli Stati Uniti si trovano attualmente presso l’aeroporto di droni di Agadez, a un migliaio di chilometri della capitale, verso il deserto.

Pochi giorni dopo il colpo di stato una parte dei cittadini europei, sospettando il rischio di un attacco armato dall’esterno, è stata invitata dai propri Paesi a evacuare Niamey. Diverse centinaia di stranieri occidentali, per misura precauzionale, sono tornati nei Paesi rispettivi di origine e nel frattempo, dopo la scelta di un nuovo primo ministro, è stata la volta dell’installazione di un nuovo governo. Da allora passano i giorni e succede che, presi come si è dalla sopravvivenza, ci si dimentica di trovarsi in un regime di eccezione militare. Ci si abitua all’incertezza e alla precarietà perché entrambe, degne figlie della polvere e della sabbia, erano già presenti nel quotidiano dei cittadini. Che per alcune ore ogni giorno manchi la luce, salgano i prezzi del necessario per nutrirsi, si complichi la vita per i genitori che devono provvedere per la scuola dei figli, non si sappia cosa riservi il domani, tutto ciò era parte del bagaglio del cittadino comune. Col tempo ci si adatta al colpo di stato e, segno evidente di apparente normalizzazione, il Paese bruscamente scompare dalle prime pagine delle notizie di agenzia e si passa ad altre cronache e notizie più avvincenti. La caparbia capacità di resistere del popolo non merita menzione alcuna da parte dei media più influenti che, con poche eccezioni, sono pagati per essere al servizio dei potenti e dei loro interessi. Com’è noto, il verbo resistere solo si può coniugare al tempo presente ed è ciò che la gente ha imparato da allora.

Siamo a due mesi dal colpo di stato che si organizza per durare nel tempo. Nel frattempo si registrano arresti di ex ministri del regime precedente e dall’esecuzione di campagna di smascheramento dei crimini economici perpetrati negli anni passati. Erano gli anni del ‘rinascimento’ e degli slogan dove i ‘nigerini che nutrono i nigerini’ andava di moda, così come gli hotel di lusso e l’Africa del mercato unico. Libera volpe in libero pollaio e libere bandiere del Niger che sventolano sui tricicli al suono delle trombe di plastica che accarezzano il sapore, amaro, della libertà.

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La pedagogia degli oppressi nel colpo di stato del Niger

…‘Ecco il grande compito umanista e storico degli oppressi: liberare se stessi e i loro oppressori'…

Niamey, 1 ottobre 2023. Così scriveva il grande pedagogista brasiliano Paulo Freire nell’altro millennio col suo noto ‘ La pedagogia degli oppressi’. Sono parole, concetti, idee, utopie e provocazioni che neppure ci passano più per la mente, tanto sembrano lontane dall’odierno e appiattito pensiero. Tra i punti positivi di un colpo di stato atipico come quello di Niamey a fine luglio scorso, c’è proprio questo. Il tentativo e l’ambizione di uno smascheramento del sistema che sembrava essersi identificato con la realtà naturale delle cose. Nulla di nuovo sotto il sole perché sembra proprio di ogni regime politico, religioso e sociale, apparire come ‘naturale’ e dunque divinamente installato. L’ideologia che ‘naturalizza’ la politica, l’economia e la religione che offre loro da supporto si presenta come immutabile e ‘garantita’ dalla consuetudine, l’andazzo o semplicemente dalla ‘colonizzazione’ dello sguardo. Appare come del tutto naturale che ci siano persone nella miseria e altre nella prosperità od opulenza. Così come apparirà del tutto naturale che i figli dei potenti si formino nelle migliori scuole e che siano poi loro a governare i poveri, notoriamente ‘incapaci’ di autogoverno e di democrazia. Il colpo di stato è là anche per ricordare che in politica non c’è nulla di naturale.

Oppressi e oppressori sembrano una coppia ormai tramontata perché non solo le grandi narrazioni della storia sembrano sfumate ma anche perché, apparentemente, chi tira le fila del sistema scompare dalla scena. Sembra proprio che il sistema, come un … ‘carrozzone (che) va avanti da sé con le regine, i suoi fanti, i suoi re’ … come recitava il testo di una canzone dl’altra epoca. Il mondo umanitario, presente capillarmente nel Niger e in genere nel Sahel non fa in fondo che confermare la versione naturalizzata delle dinamiche sociali. Si parlerà al massimo di sviluppo sostenibile e si pregheranno i potenti perché siano più generosi coi miseri. Il grande imbroglio del ‘fatto compiuto’ può durare anni e generazioni, molto dipende da chi ammaestra i mezzi di comunicazione e riesce a comprare le coscienze degli intellettuali, di per sé attenti scrutatori dei segni dei tempi. La mistificazione della realtà a volte dura molto ma non per sempre. Lo sappiamo per esperienza e Abramo Lincoln lo ricorda … ’si può ingannare tutti per un tempo, una parte del popolo per tutto il tempo ma non si riesce a ingannare tutto il popolo per tutto il tempo’. Le maschere cadono, un giorno e questo accade quando l’imprevisto raggiunge l’ordine costituito.

….Solo il potere che nascerà dalla debolezza degli oppressi sarà sufficientemente forte per liberare gli uni e gli altri 

Ed è esattamente questo il paradosso che accompagna la storia umana. Il potere di dominazione è incapace di creare novità che umanizzi perché è reso cieco dalla propria arroganza e potenza (hybris). L’esperienza insegna che, se di cambiamento si tratta, esso non potrà che scaturire da chi si accorge di non aver più nulla da perdere se non la propria vita. L’oppresso di oggi, come quello di ieri e di sempre, potrà trasformare la realtà quando farà della sua debolezza la sola forza di cambiamento possibile. Da decenni il Niger è classificato tra i Paesi più poveri del pianeta e saranno vani tutti i tentativi di ‘rinascimento’, tentato a parole da molti. Così continuerà finché la coscienza degli oppressi, i poveri, emarginati, assenti, invisibili, venduti o tenuti in ostaggio aprirà orizzonti nuovi tramite il potere dei deboli che sarà sufficientemente forte per liberare gli uni e gli altri. Come ricorda ancora Freire nel libro citato. … ‘Chi, più di loro, può capire la necessità della liberazione? Liberazione a cui non arriveranno per caso, ma … conoscendo e riconoscendo la necessità di lottare per ottenerla. Lotta che, in forza dell'obiettivo che gli oppressi le daranno, sarà un atto di amore’.

Solo a questa condizione il colpo di stato nel Niger non sarà accaduto invano.

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Dare il nome giusto alle cose. Istruzioni per l’uso nel Sahel

Niamey, 8 ottobre 2023. Ci siamo conosciuti dopo il suo soggiorno nella sezione femminile della prigione di Niamey mentre era incinta. Samira Sabou è giornalista e presidente dell’associazione di coloro che si esprimono pubblicamente tramite i ‘blog’. Dopo aver avuto problemi col figlio dell’allora presidente del Niger e tenuta sott’occhio dal regime precedente, sembra che pure con le attuali autorità militari del Paese le cose non vadano molto meglio. Scrive infatti un sito informativo della la capitale...

‘Il 30 settembre 2023 è stata arrestata nel domicilio di sua madre a Niamey da diversi uomini col volto coperto che si sono presentati come membri delle forze di sicurezza. Essi, dopo aver esibito i loro documenti, hanno insistito perché Samira li segua nell’auto. Dopo essere stata a sua volta incappucciata è stata condotta in un luogo sconosciuto. Da allora non ci sono tracce di lei e del luogo eventuale di detenzione. Il servizio delle inchieste criminali della polizia di Niamey afferma di non possedere nessuna informazione a proposito’. (Actuniger)

Samira riportava spesso sul suo blog articoli di varia origine e natura. D’abitudine cercava di pubblicare notizie da fonti certe. Secondo il detto di alcuni, in questi giorni era stata verbalmente minacciata e attaccata sui mezzi di comunicazione informale più utilizzati in città. Difficile parlare di un tragico errore, di semplice noncuranza giuridica o di squallida messa in scena per intimidire le parole. Ci troveremmo, anche in questo caso, in ciò che ricordava Karl Marx: quando la storia si ripete è dapprima tragica e poi diventa una farsa. Sarebbe dunque un caso di attitudini speculari al regime precedente, riconosciutosi nella parola ‘Rinascimento’ di qualcosa o qualcuno che in realtà non è mai nato. In questi ultimi anni le parole si sono gradualmente mutate in sabbia, polvere e vento che tutto ha cancellato al suo passaggio. Quanto scritto, promesso, affermato, assicurato e garantito è stato sistematicamente tradito nella menzogna delle parole. Questo è il peggior delitto che una persona possa commettere: manomettere le parole e dunque la realtà che di esse è l’esatta misura. Per questo motivo ogni regime al potere, peggio se totalitario, nulla teme quanto le parole.

Non accada che Samira, ossia la parola che ha tentato di dare un nome giusto alle cose è rivoluzionaria, come ricorda opportunamente Rosa Luxemburg. Portata via col viso coperto per impaurirla, la parola, sottratta dalla propria casa materna, deportata in un luogo tenuto segreto, la parola che è quanto di più serio e sacro ci sia perché le parole creano, fanno e disfanno il mondo. ‘Morte e vita sono in potere della lingua: chi l’ama ne mangerà i frutti’, scrisse il saggio nel libro dei Proverbi. Dire la verità significa chiamare le cose con il loro nome.

… ‘Dal profondo di te stesso nascono i tuoi pensieri con quattro risultati diversi: il bene e il male, la vita e la morte, eppure su tutte queste cose domina la lingua’…, scrissi il saggio nel libro del Siracide. Liberare Samira è come tornare a liberare la parola che poi è l’unica rivoluzione che meriti davvero questo nome.

da qui

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