giovedì 1 giugno 2023

la sanità sempre meno pubblica

 

La sanità oltre la privatizzazione - Gianluigi Trianni, Aldo Gazzetti 

1.
Lo scopo di queste note non è definire il quadro sistemico, economico e patrimoniale della sanità privata in Italia, ma richiamare l’attenzione, anche tramite semplici ricerche empiriche, sull’attuale e avanzata fase di trasformazione del “privato in sanità” in termini di privatizzazione, concentrazione di capitali e finanziarizzazione, tipologie che al contempo coesistono e tendono a soppiantare quelle preesistenti. Il rischio, infatti, che sia l’economia – cioè “il mercato”, cioè “i mercanti” – a guidare la politica in sanità in Italia è tra il certo e l’immanente.

Quanto segue prende spunto e attualizza il nostro intervento alla presentazione a Modena del libro Privatocrazia di C. Cordelli nel dicembre 2022. Il libro, la cui lettura consigliamo, affronta, in ottica di filosofia politica e del diritto, il tema dell’evoluzione dello Stato da strumento volto alla gestione imparziale degli affari comuni, tramite un sistema di cariche pubbliche, a strumento di co-responsabilità e co-amministrazione pubblico-privato. Di tale approdo evidenzia i problemi di legittimità democratica. Segnala, infatti, l’autrice che la privatizzazione delle funzioni pubbliche, infatti, specialmente quando assume un carattere sistematico e quando coinvolge organizzazioni a scopo di lucro, compromette “l’autogoverno democratico”. La privatizzazione sistematica a favore di organizzazioni che perseguono fini di lucro «non solo trasferisce poteri, responsabilità e discrezionalità significative ai privati, ma allo stesso tempo compromette ciascuna delle tre condizioni di autogoverno, rappresentanza e indipendenza reciproca che servono a legittimare l’esercizio di quei poteri e responsabilità (della pubblica amministrazione, ndr) riproducendo così il problema del dominio privato all’interno dello stato amministrativo».

In Italia, sia nei settori “ospedalieri” che in quelli “territoriali” che in quelli dei servizi di supporto all’assistenza sanitaria, si è assistito alla progressiva sostituzione della piccola e locale imprenditorialità familiare/professionale (strutture private a base familiare fondate e gestite da pneumologi, ginecologi, laboratoristi, radiologi e anche medici di medicina generale) con sempre maggiori entità imprenditoriali. Entità imprenditoriali prima nazionali e successivamente anche multinazionali, sia per la trasformazione di gruppi nazionali italiani in imprese multinazionali (cfr. KOS di De Benedetti) sia per espansione nel mercato della sanità italiano di multinazionali europee. «La ricerca sulla “finanziarizzazione della salute” descrive questo processo come la trasformazione del finanziamento e della prestazione sanitaria in investimenti finanziari e la correlata partecipazione degli attori finanziari nel settore» (Cordilha). Anche in Italia gli attori finanziari, ad esempio i fondi assicurativi, agiscono da tempo nella sanità. La fase attuale, tuttavia, si distingue per il loro ruolo centrale e prevalente nel guidare i cambiamenti strutturali nella sanità pubblica e privata, e beneficiarne.

In Italia il Servizio sanitario Nazionale opera in un contesto di politiche economiche neoliberali, come del resto i sistemi sanitari pubblici della Unione Europea, e in grandissima prevalenza in tutti i continenti dalle Americhe del Nord e del Sud, all’Africa, all’Asia, all’Oceania. È in questo quadro che si inserisce il definanziamento del SSN stabilito dal Governo Meloni e dalla sua maggioranza con la legge n. 197/2022 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025). A fronte delle evidenti carenze di personale per decine di migliaia di addetti e di strutture assistenziali per migliaia di edifici (fattori produttivi entrambi gravemente sottostimati sia dalle previsioni del PNRR che dagli obsoleti decreti ministeriali 70/2015, sugli standard dell’assistenza ospedaliera, e 77/2022, su quelli “territoriali”) nonché dei debiti accumulati dal SSN durante la pandemia Covid 19 e indotti dalla crisi energetica in corso, sono stai stanziati per la sanità, dal 2023 al 2026, fondi inferiori non solo alle necessità di ripiano richieste dalle Regioni, ma anche alla crescita dell’inflazione e del PIL nominale. È appena il caso di ricordare che con il “Documento per incontro 7 marzo 2023”, la cui premessa è “Il sottofinanziamento del SSN: un problema che viene da lontano”le Regioni avevano prospettato un fabbisogno aggiuntivo tra i 20 e i 40 miliardi l’anno (sia pur tramite il confronto con altri paesi europei che gli scriventi ritengono opinabile per i diversi sistemi di sanità pubblica)!

Questa la contestualizzazione, tanto sintetica quanto non esaustiva, necessaria a inquadrare la discussione sulla privatizzazione della sanità in Italia...

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Una riflessione sulla sanità pubblica - Umberto Franchi

 

Nel lontano 1978, a seguito di una lunga stagione conflittuale con  vaste lotte operaie, studentesche e di popolo… fu fatta la legge, la n. 833 basata sulla Universalità, uguaglianza, equità di trattamento dei cittadini, in osservanza di un nuovo concetto di salute che prevedeva   la  globalità dell’intervento sanitario, con la centralità dell’azione preventiva, l’ uniformità territoriale, l’unitarietà del sistema, la controllabilità e la  partecipazione democratica “dal basso” il finanziamento tramite la fiscalità progressiva generale.

Il nuovo Servizio Sanitario Nazionale ( SSN)  con la legge n. 833, permise di superare la frammentazione per Zone e Categorie mutualistica dell’assetto precedente, ed affermare il principio dell’universalità e dell’eguaglianza con la prevenzione nei territori , nell’accesso ai servizi, attuando i principi  presenti nella nostra carta costituzionale, a partire dagli  articoli 2; 3, 2° comma; 32, con l’affermazione della  Repubblica «tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».

Negli anni ‘70 ero un giovane sindacalista della CGIL che dirigeva la categoria dei tessili e dopo dei lavoratori chimici. Con l’entrata in vigore  della legge 833, vennero costituiti i servizi di medicina del lavoro delle USL composti da medici e tecnici, con i quali facevamo assieme le assemblee con i lavoratori delle fabbriche e per ridurre gli infortuni , partivamo sempre  dalla valorizzazione delle soggettività dei lavoratori nei gruppi di lavoro omogeni, ciò  al fine di individuare i rischi, successivamente i tecnici procedevano alla indagine sugli impianti e sui luoghi di lavoro, i medici effettuavano le visite mirate in base ai rischi esistenti ed infine  si apriva un confronto con la direzione aziendale per contrattare (spesso tramite le lotte conflittuali) gli investimenti da destinare alla prevenzione e sicurezza nonché  tutta l’organizzazione del lavoro, degli orari di lavoro,  degli investimenti da effettuare, del come e del per cosa si lavora… con il rifiuto di ogni forma di lavoro a rischio.

Mentre oggi, siamo tornati molto indietro con una media di tre morti al giorno sul lavoro… con  la maggioranza dei datori di lavoro  i quali pensano che la prevenzione e sicurezza sul lavoro sia un costo da ridurre al minimo… quindi fanno  fare la valutazione dei rischi come previsto dalla normativa “Testo Unico Sulla Sicurezza”, sulla carta,  in termini burocratici senza interventi tesi a prevenire gli incidenti; cercano di ridurre tutti i costi del lavoro, senza fare investimenti di prevenzione sugli impianti e  spesso per incrementare la produzione tolgono anche i dispositivi di sicurezza esistenti;  cercano di incrementare carichi e ritmi di lavoro, assumano i lavoratori in modo precario senza formazione, fanno fare ore di straordinario per non assumere nuovo personale con affaticamento e maggiore stress da parte dei dipendenti.
Occorre quindi rilevare che quello che è avvenuto in termini di arretramento con la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro è strettamente legato alle successive trasformazioni ed indebolimento, con i tagli d spesa nella Sanità Pubblica.

Lo scenario attuale     che vede l’Italia maglia nera nella UE con un 15% in meno nella spesa per la  Sanità Pubblica e ben il 50% i meno della Germania, è il frutto di un’inversione di rotta, rispetto ai valori comuni collettivi degli anni 70 che aveva portato alla riforma sanitaria del 1978,  con le nuove politiche di welfare  attuate  partire dalla fine degli anni 80 del secolo scorso.

In particolare  la sanità è stata un ambito privilegiato di applicazione di nuovi modelli liberisti ancora in vigore.
C’è stato un gran martellamento ideologico  tramite i mass/media sponsorizzati dalla Confindustria e con  nuovi interlocutori del capitalismo mondiale, (come la Banca Mondiale, grandi imprese farmaceutiche multinazionali, a cominciare da Big Pharma, e le  società finanziarie legate alle assicurazioni private), nelle scelte dei vari governi  nelle politiche sanitarie ed economiche in funzione del privato.

In questo contesto, hanno convenuto sulla necessità di ridimensionare le attività pubblica a favore degli interessi privati,  tutti i governi di centrodestra e centrosinistra che si sono succeduti negli anni. Sono state così attuate   strategie orientate a una generale riconfigurazione dell’intervento dello Stato rispetto al mercato, con minor tutela dei diritti sociali, a un ridimensionamento dei servizi collettivi di welfare pubblico, all’introduzione di un maggior peso di attività e soggetti privati nell’ambito delle attività di cura.

Il  capitalismo in chiave neoliberista si è sviluppato (ed ha vinto) nella sanità pubblica  soprattutto a partire  degli anni Novanta, con le attività la prevenzione nei luoghi di lavoro,  come le cure sanitarie e l’assistenza ai più fragili, che sono state ridotte con ingenti tagli alla sanità pubblica, (ben 15 miliardi negli ultimi 17 anni)   e  sempre più fornite nella forma di merci comprati sul mercato del “privato è bello”, da quanti hanno capacità di spesa, anziché di diritti garantiti dallo Stato sociale.

Mercato e concorrenza sono diventati  «il pensiero dominante delle politiche sanitarie» anche e soprattutto del governo di Meloni che ha stanziato una cifra irrisoria  di 1,9 miliardi, che sono  utili solo per fronteggiare  gli incrementi di luce e gas che si sono verificati negli ultimi sei mesi.

Quello che scontiamo oggi in Italia è anche il processo dell’affermazione dell’ingresso del capitale privato nel campo della sanità,  che ha coinvolto supinamente,  anche le OO.SS., andando a contrattare nei rinnovi dei CCNL,  il welfare aziendale al posto degli incrementi salariali sulla busta paga.
Si sono così  affermati processi  inediti regressivi,  nell’ambito della salute e della sanità, come in altre attività di cura, istruzione e assistenza, pensioni.

Occorre dire che anche le gravi difficoltà che si sono mostrati nella sanità pubblica, a fronte dell’impatto di Covid-19 , sono derivati soprattutto dal  depotenziamento della SSN, dallo spazio lasciato alla sanità privata e dall’indebolimento della medicina territoriale che ne aveva informato la fisionomia originaria.

Ecco il perché di liste di d’attesa infinite, i pronto soccorso al collasso, mancano migliaia di medici e di infermieri, le strutture e gli strumenti dei   plessi ospedalieri sono inadeguati. Il Ssn è sostanzialmente de-finanziato, i privati e le assicurazioni lo vampirizzano !

Per comprendere quindi il cosa sia possibile fare oggi,  occorre  allora partire dalle suddette considerazioni  ed invertire la rotta rispetto  alle problematiche che negli anni passati  hanno contrassegnato l’assetto sanitario.
Serve un impegno  volto a riformulare un progetto politico che rimetta la salute al centro del cambiamento sociale.
La sfida odierna è quella di ripristinare un nuovo modello di welfare socio-sanitario espansivo, espressione di una gestione partecipata, democratica, comune, capace di riprendere quel percorso che fu stabilito dalle lotte degli anni 70.
Credo che oggi  la tenuta, il potenziamento e la riqualificazione di un servizio sanitario pubblico dipendano soprattutto dalle scelte politiche che a livello nazionale, europeo e internazionale si compiranno, ma soprattutto dalla rimessa in campo di una programmazione nazionale dei servizi e dalla loro capillarizzazione territoriale, dal rifinanziamento della spesa sanitaria e sociale, da una nuova spinta culturale e politica, che può essere affermata solo se dal basso, nei territori, nei luoghi di lavoro, nella scuola… riparte una rivendicazione di massa  che faccia ridiventare la riforma del 1978 la base essenziale del potenziamento del SSN, viceversa, la rinuncia all’uso di un servizio pubblico avrebbe conseguenze ancor più gravi ed irreversibili sul piano dell’aggravamento delle odierne diseguaglianze.

da qui      

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