martedì 11 settembre 2012

Patagonia senza dighe




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Non è a rischio solo la sopravvivenza dell’armadillo peloso (al quale pure uno potrebbe affezionarsi). Il progetto presenta un risvolto metodologico di estrema importanza: in un Paese dove vigono i sistemi di privatizzazione introdotti da Pinochet con l’interessato supporto dei Paesi occidentali, l’acqua di fatto non è contemplata come “bene comune”: il Código de Aguas del 1981 (marginalmente rivisto nel 2005) sancisce apertamente la deregulation nello sfruttamento delle acque, per il quale non si richiedono dettagliati progetti preventivi, si prevedono poche carte e pochi, quasi automatici passaggi di approvazione; non è un caso che sin dagli anni ’80 Endesa Chile (allora pubblica, oggi ormai privata) abbia acquisito per cifre irrisorie i diritti di sfruttamento che ora accampa. La stessa valutazione di impatto ambientale, già due volte rimandata al mittente dagli organismi pubblici (dietro la pressione delle proteste), non è mai stata sottoposta a un voto popolare, a un pubblico esame condiviso, e cozza perfino contro le direttive della Commissione Mondiale sulle dighe: se oggi si tende a ragionare in termini di piccole centrali idroelettriche, di scarso impatto e di portata minore ma più localmente gestibile, non si capisce come si possa approvare un progetto per un sistema gigantesco che produrrà energia a 2300 km di distanza dal luogo in cui tale energia dovrebbe servire (essenzialmente: i giacimenti minerari a nord della capitale, quelli dove si consumò il dramma a lieto fine di quest’inverno), e che comporterà pertanto la costruzione di una lunghissima linea di trasmissione destinata ad attraversare 6 parchi nazionali, e a sconciare ed espropriare migliaia di ettari. Tutte le informazioni essenziali sul tema sono esemplarmente raccolte qui.

Nell'autunno scorso la campagna "Patagonia sin represas", Patagonia senza dighe, scontava un momento di sconforto, di crisi d'identità si direbbe, perchè sembrava confrontarsi con un sistema di potere e di informazione troppo più forte di qualsiasi sentimento e di qualsiasi possibile iniziativa ambientalista. 
Una sorta di lotta contro i mulini a vento, perchè il potere dell'impresa era capace di oscurare in un attimo il lavoro capillare portato avanti sul campo dalle associazioni.
In Patagonia è pratica normale che la HydroAysen, l'azienda cilena che opera in Cile in nome e per conto dell'Enel -che acquisendo la spagnola Endesa, ha acquisito ogni diritto di sfruttamento delle acque in Cile- finanzi i progetti dei contadini, che in un baleno si ritrovavano in mano il denaro per realizzare un proprio sogno.
Politica di incoraggiamento, di sostegno alle iniziative, di sviluppo, dice Marisol Martinez, il sindaco di Puerto Aysen, un paesino alle porte di Coyaique, la capitale della Patagonia cilena, dove un'altra azienda intende costruire altre dighe: un sistematico acquisto delle coscienze, dicono invece gli ambientalisti, affranti nel constatare l'avanzata irresistibile di questo sistema di "sostegno".
Persino le comunità cittadine godono di questa iniezione di denaro chiamata "sostegno", comuni che si ritrovano in un batter d'occhio con i fondi per le scuole, per le attività sportive e quant'altro, con i contadini soddisfatti per aver magari costruito una casetta, riempito la pancia per qualche tempo senza porsi tanti problemi, essendo le questioni ambientali- è noto- una fisima degli abbienti….
da qui

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