domenica 30 marzo 2025

Scienza: il nemico numero uno per Trump - Mariano Rampini

Le sirene di allarme suonano un po’ dappertutto. Siamo forse tornati nel pieno della Seconda Guerra Mondiale quando nelle città europee lo stesso, stridulo suono annunciava l’arrivo di un bombardamento? No, per il momento ₋ solo per il momento, ahimé ₋ questo pericolo l’abbiamo scampato. Ma le sirene continuano a suonare e non occorre un orecchio particolare per capire che quegli allarmi continueranno a farsi sentire. A lungo.

Riguardano la salute di tutti, nessuno escluso, anche di coloro che fanno parte dei tanti movimenti antivax ai quali la diffusione a macchia d’olio delle “democrature” (termine non elegantissimo ma che certamente definisce ciò che accade in molti Paesi) ha concesso sempre più spazi. Quasi a premiarli del forte appoggio offerto all’avvento di movimenti e/o personaggi come quelli attualmente al governo negli Usa.

Fino dalle sue prime uscite il presidente Trump ha infatti mostrato tutto il suo livore vero quella scienza che pure ha portato gli Usa ai primi posti del mondo per quanto riguarda la ricerca.

Da questo orecchio Trump, che vorrebbe un America Ancora Grande (Maga, per intenderci: Make America Great Again), sembra proprio non sentirci e tra i primi ad avvertire il peso delle sue decisioni è stata proprio l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms o, se si preferisce World Health Organization) che si è vista tagliare dall’oggi al domani i fondi proprio dallo Stato suo principale finanziatore.

Lo ha affermato a chiare lettere il direttore generale della stessa Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Ginevra, dove ha rilevato come l’atto esecutivo di Donald Trump potrebbe costare «milioni di vite umane» impedendo di fatto l’accesso ai servizi sanitari essenziali. La decisione di stringere i cordoni della borsa (sarebbe questa la motivazione principale addotta da Trump) si rivelerebbe mortifera per una lunga serie di attività dell’Oms: nella lotta contro l’Aids, ad esempio, «potrebbe annullare 20 anni di progressi, causando più di 10 milioni di casi aggiuntivi e 3 milioni di morti correlate all’Hiv, il triplo rispetto all’anno scorso».

La scelta di Trump, secondo Ghebreyesus, andrebbe riconsiderata anche solo per non far mancare «il sostegno alla salute globale». Il direttore dell’Oms ha portato l’esempio della lotta a malattie come malaria e tubercolosi dove si registrano già «…gravi interruzioni nella fornitura di diagnostici per la malaria, farmaci e zanzariere trattate con insetticidi a causa di scorte, ritardi nella consegna o mancanza di fondi».

Già, perché al ritiro dall’Oms si aggiungono le misure sull’Usaid (l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale e dei programmi sanitari): dallo stop di tre mesi alla sua attività, fino alla chiusura del suo sito web. E la “longa manus” (forse è vero il contrario?) di Trump, Elon Musk ha annunciato l’intenzione di abolirla definitivamente.

La scure di Washington si è abbattuta anche sui Cdc, i rinomati Centers for Disease Control and Prevention (quelli che negli Usa hanno gestito la pandemia di Covid e che tengono sotto controllo la salute complessiva degli americani). Sempre nell’ottica di risparmiare sulle spese federali (da tempo messe sotto accusa da Trump e dal suo sodale Musk come “fonti di sprechi” a danno dei cittadini americani) sono in programma sostanziosi tagli al funzionamento di Medicaid, cioè del servizio sanitario americano destinato a sostenere le famiglie a basso reddito.

Una pausa radicale sulle attività chiave nei National Institutes of Health (il più grande istituto di ricerca biomedica al mondo) deriverà poi dai risparmi che l’amministrazione Trump cerca e che sarebbero diretti a sfoltire i cosiddetti costi “indiretti” quelli cioè che non ineriscono direttamente alla ricerca ma che la rendono possibile (manutenzione dei laboratori, fornitura di attrezzature e stipendi del personale amministrativo e di supporto).

L’elenco delle azioni messe in atto dal Governo Trump e dirette in qualche modo a “contenere” la spesa pubblica con l’uso della motosega, sempre nel campo della ricerca biomedica o nei programmi di assistenza medico-sanitaria, non finisce qui. Ci sono un altro paio di fatti da non dimenticare. L’amministrazione Trump senza particolari clamori ha emanato due direttive. La prima ha ripescato la «Mexico City Policy» in una versione ampliata: il provvedimento blocca qualsiasi finanziamento federale alle organizzazioni non governative per la salute che forniscano informazioni e cure relative all’aborto. Ed è arrivata anche una stretta all’Emendamento Hyde che, salvo rarissime eccezioni, proibisce l’uso di fondi federali per l’aborto. Infine, durante la sua prima settimana da Potus (president of the United States) con un ordine esecutivo – questa volta ampiamente pubblicizzato – ha concesso la grazia a 23 attivisti condannati per aver bloccato l’accesso a cliniche in cui si praticano aborti.

Veniamo adesso a uno dei personaggi più contestati del governo Trump: il segretario alla salute Robert Kennedy Jr. Prima ancora del suo insediamento un nutrito numero di scienziati aveva scritto al Senato Usa per chiedere di non ratificare la sua nomina. Perché? Kennedy Jr. è noto per le sue posizioni antivax, ed è uno dei sostenitori della creazione del virus del Covid in laboratorio destinato a non colpire cinesi ed ebrei (qui scatta una perplessità: ma l’amministrazione Trump non ha apertamente appoggiato il governo Netanyahu?). Lo stesso RKJ – Robert Kennedy Jr, – messo dinanzi alla realtà di quanto stava accadendo in Texas dove è scoppiata un’epidemia di morbillo nella Contea di Gaines (in quel luogo c’è una forte presenza di Mennoniti, il più numeroso credo anabattista che predica un ritorno alle origini della Chiesa cristiana e si tiene lontano da ciò che è “moderno”) ha finito con il minimizzare nonostante ci fossero stati più di duecento casi di morbillo e la morte di una bambina in età scolare non affetta da altre patologie (i suoi genitori, convinti no-vax, nonostante quanto accaduto alla loro figliola, hanno ribadito l’invito a tutti di non farsi vaccinare).

Va ricordato che poco meno di venti anni fa, grazie al sistema vaccinale, il morbillo era stato dichiarato non endemico negli Usa e che le tante campagne novax, spesso condotte da organizzazioni simil-religiose, hanno finito con l’abbassare notevolmente la protezione indotta dai vaccini.

Kennedy Jr. a questo proposito ha sì dichiarato i vaccini “utili” ma si è anche dichiarato favorevole alla «libertà di scelta». Se qualcuno non volesse vaccinarsi, il Governo non lo dovrebbe costringere perché i vaccini provocano decessi ogni anno e arricchiscono le case farmaceutiche (ma del ruolo economico che l’industria farmaceutica ha negli Usa che ne è stato?) anche se il vaccino antimorbillo viene somministrato in tutto il mondo da decenni e con successo.

RKJ non è nuovo a queste uscite: crede infatti alla correlazione tra autismo e vaccinazioni, una posizione oramai screditata tra gli scienziati di tutto il mondo (*). L’associazione antivaccinista Children’s Health Defence che fa capo allo stesso Kennedy Jr in una sua pubblicazione sostiene che le epidemie di morbillo siano state “create” con l’obiettivo di diffondere paure tra la popolazione. Le autorità sanitarie (quelle sulle quali ora si stende la longa manus dello stesso segretario alla Salute) sarebbero asservite alle industrie farmaceutiche e per compiacerne gli interessi userebbero sui bambini vaccini inutili e dannosi.

Ma le esternazioni di Kennedy Junior non sono finite qui: a suo dire le vitamine (chi le produce? Le stesse case farmaceutiche?) in particolare quella A potrebbero ridurre «drasticamente» la mortalità del morbillo. Se poi ci si aggiunge l’olio di fegato di merluzzo, ancora meglio. Alla faccia di qualsiasi plausibilità scientifica. Il presidente dell’associazione dei pediatri Usa interrogato in proposito ha ribadito di non conoscere nessun suo collega che avrebbe mai usato la vitamina A come cura per il morbillo.

Qui scatta la strategia che l’intera amministrazione Trump sta perseguendo: diffondere notizie false, senza nessun possibile contatto con la realtà, avvolte però in una confezione accettabile dal grande pubblico. La vitamina A, infatti, certamente non cura il morbillo, né lo previene. È però utile come coadiuvante in soggetti già malati.

Infine RKJ non ha mancato di dire la sua anche in ordine all’influenza aviaria che sta decimando gli allevamenti statunitensi. A suo dire sarebbe opportuno lasciar circolare il virus (si tratta dell’H5N) allo scopo di individuare gli esemplari di bestiame più resistenti. Un’idea strampalata oltre ogni benevola considerazione di chi l’ha espressa. Dinanzi alle dimensioni del fenomeno (più di 23 milioni di uccelli da cortile uccisi perché colpiti dal virus) rimanere ad assistere a braccia incrociate non farebbe altro che consentire al virus di mutare, magari in una forma più virulenta. E già ci sono stati casi di “salti di specie” con il passaggio del virus dai volatili ai mammiferi. Con il rischio non improbabile che si possa arrivare a una mutazione pericolosa anche per l’uomo.

 

Creare confusione

L’effetto delle azioni del governo Trump si sono immediatamente ripercosse sul mondo scientifico americano. La lettera di benvenuto ai quasi 4.000 partecipanti all’edizione 2025 del CROI (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections) sottolineava come la manifestazione stesse per svolgersi «… in un clima di tremenda apprensione e incertezza, a causa delle recenti azioni del governo degli Stati Uniti». E al momento dell’iscrizione sono state distribuite spillette da appuntarsi sui vestiti con su scritto «Io sostengo la scienza» e «Io sostengo i nostri lavoratori federali».

Si è trattato di una più che legittima reazione sia alle decisioni prese da Trump in merito ai licenziamenti in massa di dipendenti federali (per fortuna quei provvedimenti sono rimasti congelati ma pendono come una spada di Damocle sulla loro testa) sia alle numerose restrizioni applicate agli spostamenti degli stessi dipendenti che hanno di fatto impedito a molti ricercatori, medici, funzionari della sanità pubblica Usa, come di enti quali i National Institutes of Health (NIH) o i Centers for Disease Control (CDC) di partecipare al meeting.

Si tratta di organizzazioni ed enti che da decenni sono impegnati sul fronte della lotta all’Aids costretti improvvisamente, praticamente senza alcun preavviso, a fermare la loro attività: niente più comunicazioni, viaggi, meeting, niente.

È la prima volta che accade qualcosa del genere: fin dalla prima edizione del meeting nel 1993, non si era mai assistito a qualcosa di simile. Così non sono stati pochi gli interventi “esterni” proiettati sul grande schermo in cui si è sentito affermare che un taglio ai fondi per la ricerca e lo studio dell’Hiv sarebbe un disastro tale da provocare moltissimi morti

Tra questi interventi anche quello di Anthony Fauci e va sottolineata la sua vicenda: Fauci è stato al vertice dei National Institute of Allergy and Infectious Diseases dal 1984 al 2022 e il suo operato per far sì che la ricerca contro il virus Hiv non segnasse il passo è universalmente noto. Nel 2020, cioè nel pieno dell’epidemia di Covid, Trump – allora in carica per il suo primo mandato come presidente Usa – lo chiamò a far parte della task force che avrebbe dovuto fronteggiare l’emergenza. Fauci in quella veste si trovò in più di un’occasione a smentire le affermazioni strampalate di Trump che se la legò al dito. Durante l’amministrazione Biden, Fauci fu nominato «consigliere medico capo» e anche questo non andò giù a Trump.

Così Biden, prima di lasciare la Casa Bianca ha concesso la “grazia presidenziale” ad alcuni funzionari pubblici e tra questi anche ad Anthony Fauci: un modo per proteggerli da eventuali «procedimenti giudiziari ingiustificati e politicamente motivati».

Torniamo a quello che è successo a San Francisco perché l’edizione CROI del 2025 è stata anche occasione di una manifestazione collaterale tenutasi nello Yerba Buena Park. E anche lì si è respirata un’aria densa di preoccupazione per l’attacco che l’amministrazione Trump ha sferrato alla ricerca biomedica Usa. Sono riapparsi anche cartelli con lo slogan “Silence=Death” già famoso negli anni Novanta del secolo scorso.

I tagli di Trump ostacoleranno la formazione di nuovi medici e ricercatori: solo con la ricerca è stato possibile giungere agli antiretrovirali di ultima generazione che hanno assicurato a milioni di malati di Aids una vita più sicura. Ora il “congelamento” di USAID (United States Agency for International Development) e di programmi come il PEPFAR (President’s Emergency Plan for AIDS Relief) e il PMI (President’s Malaria Initiative) crea una situazione davvero paradossale e pericolosissima non solo per gli Stati Uniti ma per tutti i Paesi che di quelle ricerche e di quei fondi hanno beneficiato per il trattamento e la cura: PEPFAR, ad esempio, nell’arco degli ultimi 21 anni, ha permesso di salvare 26 milioni persone e prevenuto l’infezione di 7,8 milioni di bambini.

 

 

Il trionfo della non-scienza

Preoccupazione, timore ma anche rabbia e sconcerto perché se è vero che la premiata ditta Trump & Musk intende chiudere i cordoni della borsa del bilancio federale realizzando risparmi di 2 trilioni di dollari (qualcosa come 2mila miliardi di dollari), è anche vero che in questo modo rischiano di produrre un danno simile a un’onda lunga che colpirà non solo l’economia Usa ma anche quella mondiale.

Partiamo dalla farmaceutica, la grande colpevole di tanti complotti ai danni dei cittadini secondo i movimenti antivax così cari al “ministro” della salute Robert Kennedy Jr. Tra le maggiori industrie farmaceutiche mondiali, almeno sette sono stabilmente nei primi dieci posti e hanno casa madre in America del Nord (Eli Lilly, Johnson&Johnson, Merck, Bristol-Meyers-Squibb, Pfizer e Amgen). Se guardassimo all’elenco delle prime venti, ne troveremmo di più. Ora i tagli di Trump al funzionamento dei soli National Institutes of Health ma anche le restrizioni imposte alle comunicazioni esterne delle agenzie federali, il tetto ai finanziamenti indiretti e, soprattutto l’interruzione dei finanziamenti alla ricerca per la salute delle persone LGBTQ+ (emanano davvero un cattivo odore queste scelte contro i programmi di diversità e inclusione) mettono a repentaglio l’intero sistema di ricerca bio-medica mondiale.

Se allargassimo appena un po’ l’analisi dei “magheggi” (Maga…) trumpiani, scopriremmo che l’intero settore della ricerca sul clima è oggetto di un attacco feroce: la National Science Foundation (NSF) e la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) subiranno tagli sostanziali di bilancio e una riduzione di personale fino al 50%.

Se questo è il mattino, quello che ci attende nei prossimi quattro anni di mandato del presidente Usa, appare decisamente oscuro. Anche perché non passa giorno che attraverso un’esternazione o un’altra, il “dinamico duo” conquisti un passaggio nei quotidiani di tutto il mondo. Questo però a scapito di interi settori economici e, soprattutto del gran numero di dipendenti federali che andranno a ingrossare le fila dei disoccupati negli Usa. Senza trascurare l’impatto che la singolare politica dei dazi adottata da Trump potrebbe finire col danneggiare più gli Usa che i suoi presunti avversari. Tra i quali l’Europa verso la quale l’atteggiamento del presidente-tycoon è da subito stato quasi di dileggio. A questo proposito va ricordato che alcuni farmaci di comune prescrizione vengono prodotti in Europa. Stando ai dati sulle importazioni di fonte Fda (Food and drug administration) ci sono diversi i medicinali che provengono dal Vecchio Continente** e l’introduzione dei possibili dazi tra Usa ed Europa verrebbe a creare ulteriore confusione e a pagarne le conseguenze sarebbero proprio quei cittadini statunitensi che Trump vorrebbe invece proteggere (?).

A questo punto appare evidente che l’atteggiamento di chiusura mostrato dall’amministrazione Trump verso qualsiasi forma di progresso o di avanzamento scientifico potrebbe apire enormi opportunità a quella Europa che, secondo il presidente eletto, avrebbe da sempre “imbrogliato” gli Usa.

 

(*) nasce dalle affermazioni “pro domo sua” di tal Andrew Wakefield che nel 1998 pubblicò uno studio segnalando la possibile correlazione tra il vaccino MPR ₋ guarda caso ₋ e l’autismo. Lo studio conteneva grossolani errori metodologici e puntava a favorire le attività dello stesso Wakefield, successivamente radiato dall’Ordine dei medici inglese)

(**) https://www.reuters.com/business/healthcare-pharmaceuticals/widely-used-drugs-us-imports-list-europe-2025-03-18/?utm_source

 

da qui

sabato 29 marzo 2025

L’ignoranza dei ricchi è la vera emergenza culturale - Gianluca Cicinelli

 

Una volta, i ricchi erano colti. Sapevano parlare almeno due lingue, citavano Seneca in latino e conoscevano la differenza tra Platone e un piatto gourmet. Si vantavano dei libri letti, non dei follower. Certo, erano sfruttatori anche allora, ma si vergognavano abbastanza da finanziare biblioteche, musei, teatri. Oggi, invece, il nuovo status symbol è l’ignoranza. Ma quella di lusso: con jet privato, villa a Dubai e citazioni sbagliate da fonti mai verificate.

Nel 2025, i ricchi sono poveri di tutto ciò che non si può comprare. Pensiero, cultura, empatia, ironia. È l’élite dell’ignoranza a guidare il mondo. E non è un modo di dire: sta scritto nei bilanci, nei social, nei talk show.

Un tempo, per salire al potere bisognava dimostrare di essere almeno più svegli della media. Oggi basta avere una startup e saper twittare. Elon Musk, per esempio, ha costruito un impero tecnologico e poi lo ha distrutto a colpi di post paranoici e meme da gamer frustrato. Mentre l’umanità si interroga su come governare l’intelligenza artificiale, lui posta battute su Joe Biden e la marijuana.

Jeff Bezos ha fondato un impero che ha rivoluzionato il commercio, ma appena ha avuto tempo libero è salito su un razzo a forma di fallo per fare “ciao ciao” all’atmosfera, portandosi dietro cappellini da cowboy e il nulla cosmico in valigia. La sua concezione di cultura è una serie Amazon Prime con rating 4 stelle.

Mark Zuckerberg, dal canto suo, ha fatto crollare il livello medio di attenzione mondiale da 8 a 3 secondi. Poi si è dedicato al metaverso: un mondo finto in cui puoi essere chi vuoi, purché senza gambe. Dice di voler “connettere il mondo”, ma nel frattempo ha disconnesso l’empatia, la realtà e ogni residuo di buon senso.

Un tempo si fingeva cultura per sembrare all’altezza. Ora si finge ignoranza per sembrare “pop”. È il nuovo populismo aristocratico: Briatore che fa lo youtuber tra una bottiglia da 5.000 euro e un commento sul “merito” dei poveri che non lavorano abbastanza. Un uomo che crede che il lavoro nobiliti, ma solo se è quello degli altri.

Daniela Santanchè, ministra del Turismo e imprenditrice con un talento per l’esibizione di sé, ha trasformato ogni apparizione pubblica in una sfilata tra cliché, gaffe e rivendicazioni autoreferenziali. Non si sa cosa pensi, ma lo dice con tono deciso, e basta. Il suo concetto di cultura turistica è un aperitivo con vista e due bandiere italiane ben stirate.

In questo contesto, essere ignoranti è diventato un atto di potere. Non studiare, non approfondire, non sapere: tutto questo è cool. Più si è superficiali, più si è virali. E la cultura? Una perdita di tempo.

I ricchi di un tempo costruivano cattedrali. I ricchi di oggi investono in NFT. I primi si circondavano di poeti e architetti. I secondi di influencer e consulenti per l’ottimizzazione fiscale. Un tempo la cultura era una forma di responsabilità dell’élite. Oggi è una spesa da tagliare.

I musei si trasformano in eventi brandizzati, le mostre d’arte si fanno nei mall. I concerti sono esperienze premium con area vip, e perfino la beneficenza culturale deve avere un ritorno d’immagine. Nessuno legge, ma tutti sponsorizzano festival letterari con la speranza che nessuno faccia domande.

Nel 2023, la spesa delle famiglie italiane per libri era in calo del 10% rispetto a cinque anni prima. Nello stesso anno, la spesa per dispositivi smart home – gli assistenti vocali che leggono al posto tuo – è cresciuta del 22%. Delegare il pensiero è più comodo che farlo.

La nuova povertà culturale non è solo una disgrazia: è una strategia. Un’élite ignorante può parlare senza freni, senza filtri, senza dubbi. Non ha bisogno di convincere: basta ripetere. Il modello di Berlusconi prima e oggi di Trump, ha fatto scuola, e ora i ricchi di ogni paese vogliono essere “uno di noi” mentre firmando decreti che ci faranno a pezzi.

Anche in Italia, l’ignoranza è diventata una forma di rappresentanza. Il successo di figure come Briatore e Santanchè non dipende dalla loro preparazione, ma dalla loro capacità di mostrarsi “liberi”, “autentici”, “fuori dagli schemi”. Peccato che lo schema sia sempre lo stesso: mostrare il nulla e venderlo come verità.

Quando chi comanda non ha cultura, chi subisce non ha difese. Le politiche si fanno a colpi di slogan, le scuole si smantellano pezzo per pezzo, e la cultura viene vista come una “spesa improduttiva”. Il sapere diventa un lusso che i ricchi non vogliono e i poveri non possono permettersi.

Nel 2024, l’Italia ha speso lo 0,9% del PIL per la cultura, contro il 2,5% della Francia. Ma il vero problema non è il bilancio: è l’idea che la cultura serva solo per il tempo libero, mentre la realtà si governa con Excel, algoritmi e cocktail nei rooftop.

La povertà vera, oggi, non è nei quartieri dimenticati, ma nei piani alti dei grattacieli. Non è quella dei corpi, ma quella delle menti. Non sapere nulla è diventato un segno di potere, un privilegio per chi può permettersi di non capire.
Ma alla lunga, l’ignoranza di chi comanda ricade su chi obbedisce.

E forse, a questo punto, l’unica vera rivoluzione possibile non è quella dei poveri, ma quella dei curiosi. Perché l’unico capitale che non si tassa, non si ruba e non si brucia è la voglia di capire. E da questo, i ricchi di oggi, sembrano davvero i più poveri di tutti.

https://diogenenotizie.com/lignoranza-dei-ricchi-e-la-vera-emergenza-culturale/

venerdì 28 marzo 2025

TEMPI MODERNI. La digitalizzazione del lavoro docente e ATA

 

 Il lavoro nel XXI secolo

L’attuale mondo del lavoro nelle società capitalistiche occidentali presenta una serie di tendenze allarmanti (Honnet 2020): 

  • l’erosione della sicurezza garantita dal contratto di lavoro [deregulation];
  • l’aumento dei processi di digitalizzazione [sostituzione del lavoro umano con l’automazione e ora con l’AI o meglio «invisibilizzazione» del lavoro umano (Casilli 2020)]; 
  • la riduzione del potere d’acquisto del reddito da lavoro che spesso non riesce a garantire un’esistenza dignitosa del lavoratore [lavoro povero].

Accanto a queste tendenze, e probabilmente come loro conseguenza, si manifesta anche e sempre più l’esclusione dei lavoratori dai processi decisionali relativi al proprio lavoro con la conseguenza di un aumento non solo dell’insoddisfazione e della disistima, ma anche del disinteresse più generale verso i processi politici che si svolgono all’interno della società. Come da tempo evidenziato, «meno potere si ha sul luogo di lavoro, meno impegnative risultano le attività che definiscono un’occupazione e più debole è la fiducia nel proprio potere politico» (Pateman 1970).
Anche nella Scuola assistiamo da alcuni decenni al realizzarsi di queste tendenze, a partire dalla cosiddetta “privatizzazione” del rapporto di lavoro [d.lgs. n. 29/1993], che ha introdotto anche nella Pubblica Amministrazione i princìpi base della cultura imprenditoriale: “efficacia, efficienza e economicità” e che nella Scuola si è concretizzata con l’Autonomia scolastica [d.P.R. n. 275/1999] di Luigi Berlinguer e l’introduzione in chiave aziendalistica della dirigenza scolastica e delle RSU nelle singole Istituzioni scolastiche.
Un progetto – poi proseguito senza soluzioni di continuità da Moratti [2003], Gelmini [2008 – 2010] e Giannini [“Buona Scuola”, l. n. 107/2015] – che però si è in parte arenato per l’impossibilità di disarticolare del tutto l’impianto collegiale e democratico della Scuola, per la mancanza di risorse e per le lotte e la resistenza di docenti, ATA e studenti in difesa della Scuola pubblica.
Ma la spinta verso il modello imprenditoriale è ripresa con forza in questi ultimi anni con l’uso politico dell’emergenza Covid, e l’uso “corruttivo” delle ingenti risorse del PNRR, che hanno introdotto “tutor” e “orientatori”, “mentori”, “docenti temporaneamente e stabilmente incentivati” insieme allo sproloquiare sulla retorica del “merito”, della ”rivoluzione digitale” e delle varie “transizioni”.

PNRR, digitalizzazione e Artificial Intelligence
Come è noto, l’Italia sta ricevendo per il periodo 2021-2026 dal Recovery and resilience facility-RFF 191,5mld di euro, di questi solo 68,9 sono “sovvenzioni” mentre ben 122,6 sono “prestiti” da restituire «a tasso agevolato» [sic!], magari tagliando nel prossimo futuro servizi e pensioni.
Nel settore dell’Istruzione e della Ricerca, alla Missione4. del PNRR, un Piano che «comprende un ambizioso progetto di riforme», sono destinati 30,88mld, grazie ai quali anche nella Scuola e nell’Università sta riuscendo ad affermarsi quel tecno-ottimismo secondo il quale – salvificamente – «La rivoluzione digitale rappresenta un’enorme occasione per aumentare la produttività, l’innovazione e l’occupazione, garantire un accesso più ampio all’istruzione e alla cultura e colmare i divari territoriali» (Draghi 2021).
La Missione4, con le sue Riforme e Investimenti prevede:

  • un traballante sistema di orientamento [dd.mm. n. 328/2022, n. 63/2023, n. 19/2024 e n. 231/2024; d.l. “Milleproroghe” 2025] basato su tutor, mentor e orientatori;
  • l’istituzione di un’inutile Scuola di Alta Formazione, affidata a INValSI e INDIRE, che sta decidendo sulla formazione obbligatoria di dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico-amministrativo [leggi n. 79 e n. 142/2022, CCNL 2024; d.m. n. 113/2024], per «accelerare la trasformazione digitale dell’organizzazione scolastica e dei processi di apprendimento e insegnamento, in coerenza con il quadro di riferimento europeo delle competenze digitali DigComp 2.2 (per studenti) e DigCompEdu (per docenti)», su cui costruire nuove gerarchie;
  • lo sperpero di ingentissime risorse per mirabolanti scuole innovative, nuove aule didattiche e laboratori previsti dal Piano Scuola 4.0 [d.m. n. 161/2022].

D’altronde gli imprenditori del B7 “raccomandano” ai politici del G7 di «riformare i sistemi scolastici», ovviamente in partnership pubblico/privato, e prevedere «programmi specifici per gli insegnanti, volti a colmare il divario esistente nell’insegnamento e a dotarli delle competenze e delle conoscenze necessarie per guidare gli studenti attraverso le molteplici transizioni», nonché «Migliorare l’istruzione nel campo dell’IA» (Confindustria 2024).

La digitalizzazione [rectius «computerizzazione»] 1
Fin dalla metà del secolo scorso non sfuggiva ai più attenti osservatori (Bright 1958, Braverman 1974) che ai livelli più elevati di produzione automatizzata, tutti gli indici di qualificazione del lavoro, dalla conoscenza e dall’esperienza alle funzioni decisionali, presentassero una caduta verticale [la cosiddetta «gobba della qualificazione necessaria»]. E soprattutto che la perdita del controllo sulle macchine non fosse «una rovinosa inevitabilità», ma dipendesse dalla specifica forma di organizzazione del lavoro capitalista che esclude i lavoratori dalla proprietà dei mezzi di produzione [oggi ad esempio incarnato nel software proprietario e nello strapotere di GAFAM & soci], dalla dislocazione della manodopera rispetto alla macchina [Casilli 2020; Crawford 2021; Cabitza 2021] e da un’«evoluzione sociale» conforme a questa organizzazione, «nella quale la conoscenza della macchina diventa un tratto specialistico e separato, mentre nella massa dei lavoratori fioriscono solo l’ignoranza, l’incompetenza e quindi la propensione alla dipendenza servile dalla macchina»[nel nostro caso le cosiddette “competenze digitali” del DigCompEdu e del DigComp2.2].
Così, mentre i cantori della “rivoluzione digitale” favoleggiano della scomparsa dei mestieri più faticosi e dello spostamento di masse di lavoratori verso occupazioni più qualificate, quello che ci troviamo sotto gli occhi è invece tutt’altro (Friedman 1946; Casilli 2020): 

  • la frammentazione, parcellizzazione e semplificazione della prestazione lavorativa, spossessando i lavoratori – formalmente però sempre più qualificati – di parte delle loro attività, per affidarle all’imperscrutabile funzionalità della macchina, da cui deriva una debole identità lavorativa, una sempre più scarsa solidarietà e – soprattutto – retribuzioni più basse;
  • la riduzione dei tempi necessari a realizzare i compiti affidati, che è un altro modo per diminuirne i costi; 
  • la flessibilizzazione e estensione del tempo di lavoro al di fuori dei limiti stabiliti dai contratti, in modo da aumentare il tempo di lavoro a parità di retribuzione.

Per altro verso, e più in generale, se deleghiamo i compiti ripetitivi, gravosi, rischiosi o semplicemente impegnativi alle macchine ciò non accade sempre per svolgerli in modo più efficiente ed efficace, ma «per il maggior agio delle persone interessate (e sottolineo: non necessariamente beneficio, ma agio)».
Una “spinta gentile”, un risparmio di fatica e di tempo che, nel caso dell’insegnamento, possiamo riscontrare ad esempio nei test [auto-corretti] proposti da Google Classroom e simili. Ma così facendo «Il lavoro di insegnamento, apprendimento e ricerca si curva impercettibilmente ma significativamente verso traiettorie mai decise in maniera consapevole» (Fant, Milani 2024).

Automazione e Artificial Intelligence
Naturalmente dobbiamo tenere presente che l’AI però è una automazione particolare fondata su modelli probabilistici, che “scelgono” statisticamente relativamente a classificazioni e valutazioni limitate con l’ambizione di «pianificare, e perfino stimare, predire e prevedere». Per il suo uso in ambito scolastico, come già accade nella sperimentazione del MIM come Tutor virtuale o come si appresta a fare INValSI per la correzione delle risposte “aperte” dei suoi quiz, si dovrebbe quindi fare molta attenzione sulle conseguenze di «attività che sono, a loro volta, parti integranti di processi volti a raggiungere obiettivi complessi in contesti reali, caratterizzati da un alto contenuto di conoscenza, autonomia, giudizio e incertezza», come il futuro di studenti e studentesse cristallizzato nel loro e-portfolio.
Questo mentre 55 scuole della regione Friuli Venezia Giulia hanno già lavorato nell’a.s. 2023/2024 alla stesura di Linee guida sull’utilizzo dell’IA in ambito scolastico, con lo scopo – tra l’altro – di «Migliorare l’efficacia dell’insegnamento: l’IAg può essere utilizzata per sviluppare strumenti didattici avanzati, come tutor virtuali o sistemi di valutazione automatica» (Rete di Scuole FVG 2024), sulla scorta di quanto già prodotto dall’UNESCO (UNESCO 2021, 2023, 2024) sotto la vigile sorveglianza della nostra ex ministra Stefania Giannini, già nota per la renziana “Buona Scuola”.

Le conseguenze della digitalizzazione nel lavoro di docenti e ATA
Oltre le problematicità legate all’uso che i proprietari dei sistemi informatici stanno facendo dei “dati” che sottraggono a docenti, studenti/esse e famiglie nelle nostre scuole (Pievatolo 2025), sono già evidenti altre conseguenze che la digitalizzazione ha già prodotto nel lavoro di docenti e ATA. Mentre tra gli esperti di istruzione e tecnologia sull’uso dell’AI nelle scuole sembrano insinuarsi dubbi significativi tra gli entusiasmi iniziali (Monis-Weston 2024). In sintesi, e seguendo cronologicamente la loro introduzione:

  • Rilevazione automatica delle presenze: obblighi ed esclusioni 
  • Registro elettronico: non obbligatorietà, problematicità come “atto pubblico” e sulla privacy, sfilacciamento del rapporto scuola-famiglia, irrigidimento aritmetico delle valutazioni, intrusioni commerciali
  • Personale AA e l’intrusione lavorativa dell’INPS con l’app “Nuova Passweb”
  • INValSI. Standardizzazione e digitale: prove, correzioni, valutazioni, “fragilità”
  • Google Classroom et similia: struttura prove, valutazione quantitativa, correzioni
  • Comunicazioni tramite canali social: tracciabilità e non obbligatorietà
  • Contrattazione nazionale e d’istituto: “disconnessione” e tecnostress (Brod 1984)
  • Selezione e carriera del personale: competenze “digitali” e gerarchie
  • Linee guida sull’utilizzo dell’IA in ambito scolastico: soluzione tecno-ottimista

Che fare? Come resistere e quali tutele
Come ci ricorda Daniela Tafani, a questa deriva è possibile resistere: «Serve, per ciò, quella sottovalutata virtù che Weizenbaum chiamava il “coraggio civile”: “È una credenza diffusa, ma tristemente erronea, quella per cui il coraggio civile trova modo di esercitarsi soltanto nel contesto di avvenimenti che scuotono il mondo. Al contrario, il suo esercizio più arduo ha spesso luogo in quei piccoli contesti in cui la sfida è quella di superare i timori indotti da futili preoccupazioni di carriera, delle nostre relazioni con coloro che sembrano aver potere su di noi, o di qualsiasi cosa che possa turbare la tranquillità della nostra esistenza quotidiana».
TUTELE COLLETTIVE: competenze organi collegiali, ruolo RSU e RLS
TUTELE INDIVIDUALI: uso della rimostranza scritta e dell’opzione di gruppo minoritario

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1«digitalizzazione» come rivoluzione mediatica: abbiamo solo un problema di alfabetizzazione; «computerizzazione» come cambiamento infrastrutturale: abbiamo un problema politico (Pievatolo 2025)

Bibliografia
AgID, Linee Guida per l’adozione dell’Intelligenza Artificiale nella Pubblica Amministrazione – 2025
Braverman Harry, Lavoro e capitale monopolistico. La degradazione del lavoro nel XX secolo – 1974
Bright James R., Automation and Management – 1958
Brod Craig, Technostress. The Human Cost of the Computer Revolution – 1984
Cabitza Federico, Deus in Machina? L’uso umano delle nuove macchine, tra dipendenza e responsabilità – 2021
Casilli Antonio A., Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? – 2020
Confindustria, Leading the transitions together. Final Communiqué – 2024
Coriat Benjamin, La fabbrica e il cronometro – 1979
Crawford Kate, Né intelligente né artificiale – 2021
Curcio Renato, Il capitalismo cibernetico – 2022
Draghi Mario, premessa al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – 2021
Draghi Mario, rapporto Il futuro della competitività europea – settembre 2024
Fant Davide, Milani Carlo, Pedagogia hacker – 2024
Friedman Georges, Les problèmes humains du machinisme industriel – 1946
Honnet Axel, Democrazia e divisione sociale del lavoro – 2020
Monis-Weston David, Will AI have a big impact on teaching, education and schools? – 2024
Pateman Carol, Partecipation and Democratic Theory – 1970
Pievatolo Maria Chiara, Di dati e despoti. La scuola al tempo della transizione tecnofeudale – 2025
Rete di Scuole FVG, Costruire il futuro. Linee guida sull’utilizzo dell’IA in ambito scolastico – 2024
Sennett Richard, L’uomo flessibile – 1999
Tafani Daniela, Omini di burro. Scuole e università al Paese dei Balocchi dell’IA generativa – 2024
UNESCO, AI and education. Guidance for policy-makers – 2021
UNESCO, Guidance for generative AI in education and research – 2023
UNESCO, AI competency framework for teachers – 2024

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Questo testo è stato inizialmente redatto per il Convegno su La Scuola nella transizione digitale svoltosi a Palermo il 18 novembre 2024 per poi essere successivamente presentato, con modifiche e aggiornamenti ai Convegni di Terni 4.2.2025, Roma 25.2.2025Ancona 17.3.2025 e il prossimo 31 marzo a Torino.

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giovedì 27 marzo 2025

Ripensare l’attivismo antimilitarista e anti NATO - Patrick Boylan

  

“Manifestazioni, marce, dichiarazioni sono alcune delle armi – ormai spuntate – nel repertorio degli attivisti politici tradizionali; bisogna rinnovarle” sostiene Patrick Boylan, co-fondatore delle associazioni Rete NoWar, Free Assange Italia e U.S. Citizens for Peace & Justice.

 

Parlando all’assemblea costitutiva del Coordinamento Nazionale NoNATO tenutasi a Bologna lo scorso 8 dicembre ed ora visibile sulla piattaforma Odysee, Boylan ha spiegato che "rinnovare" significa far tesoro del concetto gramsciano di egemonia e puntare, oltre alla mobilitazione di massa, sulla conquista degli spazi occupati dagli “intellettuali organici al sistema”.

Ciò vuol dire portare il pensiero antimilitarista e anti NATO nei mass media, nelle riunioni delle amministrazioni locali, nelle aule scolastiche e universitarie, nelle assemblee degli ordini professionali, nella produzione artistica e letteraria a tutti i livelli e via discorrendo. “In altre parole, bisogna fare meno comizi per i già convertiti e più interventi negli spazi che formano davvero l’opinione pubblica,” dice Boylan.

Rinnovare significa anche elaborare meno prese di posizione in documenti poderosi letti soltanto da un ristretto cerchio di attivisti e ricorrere di più a prese di posizione formulate in brevi messaggi veicolati dai social media e dal video giornalismo. “In altre parole,” conclude Boylan, “meno Word e PowerPoint e più TikToc, Instagram e canali YouTube.”

Segue il breve intervento di Boylan a Bologna, “La lotta No NATO contro la propaganda di guerra e per l’egemonia culturale.”

***

 

Antonio Gramsci si era chiesto perché non ci siano state, nei paesi capitalistici evoluti, le rivoluzioni comuniste che Karl Marx aveva invece previsto. La sua risposta è che Marx aveva sottovalutato il potere antirivoluzionario degli strati intermedi di queste società – i cosiddetti “intellettuali organici al Sistema”, ad esempio i funzionari statali e municipali, i giornalisti, i sacerdoti, gli insegnanti, i ricercatori, gli iscritti ai partiti politici, ecc.

Il loro peso complessivo, scriveva Gramsci, frenava ogni tentativo di rivolta. Questi intellettuali organici convincevano anche buona parte delle masse operaie che bisognava far funzionare meglio il sistema attuale, non rovesciarlo. Invece in Russia e in altri paesi del cosiddetto Terzo Mondo, questi strati intermediari non erano altamente sviluppati, né ben radicati. Ecco perché lì, le rivoluzioni comuniste hanno potuto prendere piede.

Credo che questo concetto gramsciano dell’egemonia culturale vada posto al centro della nostra lotta contro le guerre della NATO e contro la propaganda usata per venderle.

Se abbiamo difficoltà a far giungere il nostro messaggio alla gente comune, è proprio perché costoro vengono condizionati dagli intellettuali organici al Sistema. Possiamo denunciare quanto vogliamo la mano della NATO dietro la guerra in Ucraina, dietro il conflitto in Siria e persino dietro il genocidio a Gaza – le persone comuni stentano a crederci; continuano a percepire la NATO come alleanza di cui hanno bisogno, un’alleanza che le protegge, oltre a proteggere, nel mondo, la democrazia.

Come togliere, strato dopo strato, l’indottrinamento a cui la gente comune è stata sottoposta, sin dall’infanzia – sì, proprio a partire dalle visite scolastiche alle caserme NATO e dai videogiochi per ragazzi, la cui creazione viene sovvenzionata dal Pentagono per glorificare la guerra? Cosa possiamo fare noi contro tutto ciò?

Se seguiamo Gramsci, ciò che NON dobbiamo fare in primo luogo è cercare di convincere le masse stesse. Dobbiamo invece cercare di convincere (o sostituire) soprattutto gli intellettuali organici al Sistema, coloro che contribuiscono ad elaborare il senso comune che le masse poi fanno proprio. Ciò significa rivolgerci direttamente ai funzionari statali e municipali, ai giornalisti, ai sacerdoti, agli insegnanti, ai ricercatori, agli iscritti ai partiti e via discorrendo.

Ecco perché ritengo che non bastino le nostre manifestazioni No NATO, anche se grandiose. Certo, ci rincuorano e questo è sempre una buona cosa. Ma servono solo marginalmente ad aprire gli occhi a chi non è già convinto. A gran parte dei passanti per strada, le nostre grida “No NATO” sembrano folklore di altri tempi e basta.

Meglio allora ricorrere a messaggi mirati agli interessi di specifiche categorie di intellettuali organici, con iniziative, anche pubbliche, rivolte a loro. In altre parole, mentre cerchiamo, sì, di informare le masse, cerchiamo soprattutto di persuadere gli intellettuali organici.

Ecco tre esempi.
– Primo, la categoria dei funzionari statali e municipali: cerchiamo di far votare mozioni antiguerra o NoNato dai nostri consigli comunali. Impatto nazionale, zero. Ma impatto sulle coscienze dei cittadini di quelle municipalità, tantissimo.

– Secondo, la categoria dei giornalisti: cerchiamo di pubblicare fact checking che smentiscono quelli dei redattori mainstream per chiamare in causa la loro professionalità; così informiamo il pubblico dei fatti mentre persuadiamo i redattori a rivedere le loro narrazioni, pena la gogna;

– Terzo, la Scuola: sostenere le iniziative per smilitarizzare le scuole e, in piccole riunioni che teniamo plesso per plesso, persuadere gli insegnanti a smettere di osannare la pace genericamente (il che lascia il tempo che trova) e di svelare invece l’imperialismo e il patriarcato insiti in ogni guerra. Se ci riusciamo, le lezioni di storia di quegli insegnanti non saranno più le stesse.

Per lo stesso motivo, ritengo che non basti far circolare grossi documenti sapientemente articolati, come, ad esempio, la dichiarazione programmatica per il Coordinamento No NATO. Nella sua forma attuale, questo bel documento rischia però di venir letto solo dagli addetti ai lavori, cioè noi. Cerchiamo invece di suddividerlo, indirizzando ogni pezzo ad un pubblico specifico di intellettuali organici al Sistema.

Prendiamo, come esempio, le associazioni di giuristi e i gruppi di studenti che riusciamo a creare nelle Facoltà di Diritto. Potremmo fare un breve documento per loro riunendo i paragrafi della Dichiarazione Programmatica che riguardano l’illegalità della presenza NATO in Italia e farlo dibattere dagli stessi giuristi o studenti di legge.

Potremmo poi estrarre altri brani riguardanti i poligoni NATO e l’inquinamento ambientale, per fare un breve documento da far discutere dai gruppi ecologisti in Italia.

Infine, possiamo fare un maggior uso degli strumenti informatici e dei social media. Potremmo, ad esempio, estrarre le parti della Dichiarazione Programmatica che riguardano la “militarizzazione della società” per fare brevi video Tik Tok per i giovani, che ironizzano sui percorsi di alternanza scuola-lavoro in aziende del comparto militare-industriale, oppure grafiche Instagram dissacranti postate sui canali di influencer che esaltano “la NATO che ci difende”.

In conclusione, la lotta No NATO è anche e soprattutto una lotta per l’egemonia culturale. E’ una lotta che prende di mira soprattutto gli intellettuali organici al Sistema e che cerca di sostituirli con intellettuali organici alle classi lavoratrici. E’ una lotta che mira a creare, nell’intera popolazione, un senso comune nuovo, davvero anti guerra e davvero antimperialista.

Note: Per il video di questo intervento, cliccare qui: https://odysee.com/@Abrotini:d/Coord-Naz-No-NATO--Patrick-Boylan:7

da qui

mercoledì 26 marzo 2025

Presa “elettrica” diretta - Grig

La petizione Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! si firma qui.

Ci risiamo.  

Dopo Far West ecco Presa Diretta.  

Dopo Salvo Sottile, ecco Riccardo Jacona.

Trasmissioni del servizio pubblico televisivo (RAI 3), supportate quindi con il canone pagato dai contribuenti, che fanno da megafono per la realizzazione di centrali di produzione energetica da fonti rinnovabili senza se e senza ma, cioè pura speculazione energetica.

A ‘sto punto sembra proprio una scelta di campo piuttosto netta da parte di un giornalismo d’inchiesta che appare più una velina d’interessi politico-industriali.

Che pena.

Mai che a ‘sto giornalismo d’inchiesta venga in mente, per esempio, di far vedere l’altra faccia della transizione energetica in corso in Cina, tanto decantata quanto poco indagata.

Vediamo un po’.

Alla recente  COP 29 di Baku, la 29^ Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Baku, Azerbaijan, 11 – 22 novembre 2024), come sempre, l’Italia ha fatto la sua parte e ha sottoscritto l’appello volontario per la messa al bando del carbone per la produzione energetica insieme numerosi Paesi, fra cui la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, il Canada, l’Australia, l’Angola, l’Uganda, l’Etiopia: “i firmatari promettono chei loro prossimi piani climatici non includeranno alcuna nuova centrale elettrica alimentata a carbone senza cattura di CO2”.

L’Italia abbandonerà l’utilizzo del carbone a fini di produzione energetica nel 2025, con l’eccezione della Sardegna, dove l’utilizzo cesserà fra il 2026 e il 2028.

Cina (30,00%), U.S.A. (11,25%) e India (7,80%) – cioè i primi tre grandi “produttori” di CO2 al mondo (complessivamente il 49,5% delle emissioni nel 2023) – non aderiscono alla dismissione del carbone.

E abbiamo detto tutto.

Cina, Stati Uniti, India, Unione Europea (27 Stati), Russia e Brasile sono i Paesi che emettono più CO2 al mondo. Insieme, rappresentano il 49,8% della popolazione mondiale, il 63,2% del P.I.L. globale, il 64,2% del consumo di combustibili fossili e il 62,7% delle emissioni globali di CO2 fossile (Commissione europea, CO2 emissions of all world countries, 2024 Report).

Nel 2023 la Cina ha emesso 15.943,99 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (in sistematica crescita dal 1990, + 411%), il 30% delle emissioni globali mondiali, l’Italia ha emesso 374,12 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (in drastica diminuzione dal 1990, – 27%), lo 0,71% delle emissioni globali mondiali.

L’International Energy Agency (IEA), nel World Energy Outlook del 2023, sottolinea come il governo cinese preveda di arrivare al picco delle emissioni nel 2030, per cui non possiamo che prevedere ulteriori aumenti delle emissioni cinesi di CO2.

E’ ben chiara la follìa di chi vorrebbe in Italia una transizione energetica votata al proliferare senza se e senza ma di centrali eoliche, centrali fotovoltaiche, centrali a biomassa in spregio a qualsiasi salvaguardia del territorio: anche se l’Italia scendesse allo 0,5% delle emissioni globali mondiali di CO2 per la nostra Terra non cambierebbe un bel niente.

Il Consiglio di Stato l’ha ricordato in questi giorni con la  sentenza Sez. IV, 5 marzo 2025, n. 1872.

E ha ragione da vendere il magistrato amministrativo Paolo Carpentieri con il suo forte richiamo al buon senso che dovrebbe guidarci tutti nella transizione ecologica ed energetica: “...è del tutto inutile auto-distruggere qui e ora, subito, i nostri paesaggi, coprendoli di pale eoliche e di campi fotovoltaici, mentre il resto del mondo non fa nulla (anzi, continua a crescere con un’esplosione demografica fuori controllo). È come voler svuotare il mare con un cucchiaino.”.

Per questi motivi, a puro titolo d’esempio, è semplicemente criminale voler assediare la reggia nuragica di Barumini con cinque centrali eoliche e svariate centrali fotovoltaiche, per non parlare (sempre a puro titolo di esempio) della Sardegna inquinatrice d’Italia, una fesseria buona solo per chi si rifiuta di ragionare.

Il fenomeno della speculazione energetica, oltre che in Sardegna, è pesantemente presente in modo particolare nella Tuscia, in Puglia, nella Maremma, in Sicilia, sui crinali appennnici

continua qui

 

lunedì 24 marzo 2025

Pizza alle verdure – Tersite Rossi

Una storia che sa di lampadine lasciate accese, crisi climatica e madri testarde

 

La madre faceva la pizza e la figlia l’aiutava. Da quando la seconda era andata a vivere in città, le due si vedevano sempre più raramente.

- Mamma, la luce...

La madre aveva preso la farina dal ripostiglio e aveva lasciato la luce accesa.

- Ho le mani impegnate - rispose, già intenta a impastare.

La figlia smise di affettare le verdure e sbuffando andò a spegnere lei.

- Sei sempre la solita... - disse stizzita.

La madre, senza alzare gli occhi dall’impasto, provò a difendersi.

- Non essere così pesante... A te non capita mai di dimenticarti le cose?

- Quelle importanti no!

- Capirai! Spegnere una lampadina...

- Certo! È per colpa delle lampadine lasciate accese da quelli come voi se il mondo sta andando a puttane...

- Noi chi?

- Tu, papà... Quasi tutti quelli della vostra età.

- Cioè quelli che vi han cresciuto senza che vi mancasse nulla...

- Quelli che han vissuto al di sopra delle loro possibilità, come le cicale.

La madre non rispose. Dopo essersi pulita le mani con uno strofinaccio, prese il telecomando e accese la tivù su un programma a caso, comunicando in quel modo la sua intenzione di non voler proseguire la conversazione.

Sullo schermo apparve il conduttore di un telegiornale.

- Ecco, solo questo sapete fare... - disse la figlia spegnendo. - Rincoglionirvi fino a credere che il mondo sia davvero quello lì dentro.

- Riaccendila.

- Scordatelo. O la tivù o me, lo sai.

- Beh, se devi rompermi le palle, preferisco la tivù.

La figlia scoppiò a ridere.

- Ah, beh, certo: la tivù le palle mica te le rompe, è fatta per piacerti... Nessuno ti dirà che devi smetterla di consumare per quattro, in tivù. Tutto il contrario!

La madre impastava la pizza con foga crescente, quasi volesse prendere a schiaffi l’impasto, immaginando fosse il volto della figlia.

- Guarda che non sei l’unica ad avere studiato! - sbottò. - Mica mi bevo tutto quello che dicono, cosa credi?

- Aver studiato non c’entra. La tivù è democratica: rincoglionisce tutti.

- Io le cazzate non le guardo.

- Ah, no? E i telegiornali cosa sono? Pensi che dicano le cose come stanno? Pensi di capire il disastro climatico che sta arrivando, guardandoli?

- Perché no? Ne parlano quasi tutti i giorni, ormai...

- Ah, sì? E come mai fino a qualche anno fa non dicevano una parola? Eppure è da trent’anni che gli scienziati danno l’allarme...

- Beh, meglio tardi che mai...

- E invece no! Sarebbe stato meglio che continuassero a star zitti! Perché ogni volta che trattano un argomento lo banalizzano, lo trasformano in uno spettacolo e la gente non ci capisce più un cazzo! Ma a loro non interessa, basta fare audience, e la crisi climatica oggi lo fa... Per questo ne parlano!

- Beh, a me è servito. Ora ne so di più...

La figlia scoppiò a ridere di nuovo.

- Ah, sì? E cosa sai?

- M’interroghi, adesso?

- Sì! Cosa sai?

- So che è sempre più caldo...

- E perché?

- Senti, sono stufa...

- Perché è sempre più caldo?

- Per l’inquinamento... L’anidride carbonica...

- Decisamente vaga come spiegazione, ma lasciamo stare. E quindi, cosa si dovrebbe fare?

- Beh, inquinare di meno.

- E come?

- Con le auto elettriche... I pannelli fotovoltaici... Cose così...

- Cose così?

- Ma cosa pretendi? Non sono mica un’esperta, io!

- E dovresti, invece! Le auto elettriche e i pannelli fotovoltaici sono solo altri prodotti da vendere, ecco perché ne parlano in tivù! Invece le cose davvero importanti non te le dicono. Che i consumi dovrebbero calare drasticamente, per esempio.

- Io consumo già pochissimo.

- Ah, sì? - disse la figlia andando ad aprire il frigo: era strapieno. - E questo sarebbe il frigo di una che consuma pochissimo?

Mentre stendeva con impeto la pizza dentro alle teglie, continuando a fare come se al posto dell’impasto ci fosse la figlia, la madre sbuffò esasperata.

- E cosa dovrei fare? Patire la fame?

- Poverina... Hai almeno dieci chili di troppo, dimagrire ti farebbe giusto bene!

- Per diventare come te? Pelle e ossa?

- Il mio peso è nella norma, e le mie analisi anche. Sei tu che tra colesterolo e glucosio non sai qual è più alto...

La madre, senza rispondere, si avventò sul frigo ancora aperto e tirò fuori gli ingredienti da mettere sulla pizza: mozzarella e prosciutto.

- Avevamo detto niente prosciutto! - protestò la figlia.

- Ho cambiato idea.

- La carne va ridotta, lo sai!

- Basta con questa storia, hai rotto!

- Ma quale storia? Questa non è una storia, è la verità!

- È mangiando carne tutti i giorni che sei cresciuta sana!

- Cazzate, mamma. Tutte cazzate!

- Se avessi dei figli non la penseresti così!

Ecco la questione cui, gira e rigira, la madre tornava sempre.

- Possibile che sia l’unica cosa che t’interessi?

- Cosa c’è di strano? Avere figli è naturale!

- E pensi che i tuoi nipoti sarebbero felici di abitare in un mondo come quello che ci avete lasciato? Pensi che io lo sia? Pensi che ti sia grata per avermi fatto nascere?

La figlia si pentì quasi subito di aver detto quelle ultime parole, ma ormai era fatta.

La madre non rispose.

Calò un silenzio pesante.

Poco dopo, la figlia sentì la madre tirare su col naso. Si voltò verso di lei e vide che stava piangendo. Non seppe cosa dirle e andò avanti a tagliare le verdure. S’era fatta di nuovo prendere dall’astio, pensò con rammarico. Non era così che la gente come sua madre si sarebbe convinta a cambiare. Lo sapeva, ma non riusciva mai a essere più conciliante, meno aggressiva. E in quel modo spingeva le persone a fare l’opposto di quel che voleva. Le verdure da affettare erano finite, ormai, ma a lei venne voglia di tirar fuori la lingua e continuare a tagliare.


Quella sera, a tavola, mentre mangiavano la pizza, la figlia tentò un riavvicinamento.

- Davvero buona - disse.

- Mi fa piacere - rispose la madre dopo un istante di esitazione.

Il padre le fissava perplesso. Aveva capito che tra le due c’era stata maretta, ma aveva preferito non indagare per evitare di peggiorare la situazione.

- Col prosciutto non ce n’è? - domandò.

Madre e figlia, istintivamente, si guardarono.

- No - rispose la moglie. - Stavolta niente prosciutto...

- E perché?

- Perché bisogna mangiare meno carne. Se vuoi ce n’è altra con le verdure.

Il marito bofonchiò un assenso poco convinto, mentre madre e figlia si guardarono di nuovo e stavolta a entrambe parve che l’altra avesse accennato a un sorriso. Ma non ne erano sicure.

La madre si alzò, tirò fuori dal forno la pizza avanzata e la mise a tavola. Poi si risedette.

- Mamma? - disse la figlia.

- Sì?

- Io sono contenta di essere vostra figlia.

La madre sorrise davvero stavolta, e la figlia pure.

L’uomo le guardò attonito, rinunciando a capirle.

- Anche se sbaglio? - domandò la madre.

- Soprattutto. Altrimenti con chi potrei prendermela?

- Beh, con tuo padre, per esempio. Lui è peggio di me...

L’uomo, capita la malaparata, pensò di chiudere il discorso allungando la mano sul telecomando e accendendo la tivù.

- Spegnila subito! - dissero in coro madre e figlia.

L’uomo, rassegnato, obbedì.

- Stasera niente tivù - disse la moglie.

- Stasera parliamo - disse la figlia.

L’uomo sospirò.

- E di cosa parliamo? - domandò.

Madre e figlia si scambiarono uno sguardo d’intesa.

- Della crisi climatica, per esempio - disse la moglie.

- Della crisi climatica?

- Esatto - disse la figlia. - Sapresti spiegarla a tuo nipote?

L’uomo iniziò a sentire caldo.

- L’aumento delle temperature... - abbozzò.

- E perché aumentano? - incalzò la moglie.

- Beh, per l’inquinamento...

- Vago, molto vago - disse la figlia.

- Ma lasciamo stare - disse la moglie. - E quindi, cosa si dovrebbe fare?

L’uomo le guardò terrorizzato.

- Cos’è questo, un interrogatorio? - domandò.

Divertite, le due donne risposero di sì, lasciandosi andare a una risata liberatoria.


Fuori, il pianeta continuava a girare sul suo asse, le temperature ad aumentare impercettibili ma inesorabili, e l’umanità a marciare rapida verso il baratro. La possibilità di fermarsi e tornare indietro, tuttavia, restava ed era ancora buona. Come una pizza alle verdure fatta da madre e figlia.

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