venerdì 7 gennaio 2011

due mulini e una ricetta

ecco qualche patrimonio dell'umanità!

in molti paesi del mondo ci sono di sicuro, i mulini a pietra, in Sicilia, in Basilicata, nei paesi che si affacciano al Mediterraneo, in Africa, basta trovarli e farli funzionare, con lo status di patrimoni dell'umanità, se l'Unesco volesse - francesco


Dal 1943 al 1952 il signor Luigi Mascia fu apprendista presso il molino di Raimondo Gesmino, che proveniva da San Nicolò Gerrei, in via Roma, sa bia de Casteddu, a Settimo.
In seguito, dal 1952, Luigi si mise in proprio e aprì un locale in via Roma 91 in cui vendeva i derivati del grano prodotti dal molino di Gesmino. Casualmente, in quel locale anticamente vi era s’ ammass’‘e su trigu (il granaio) di Settimo. Quattro anni dopo il signor Luigi aprì nello stesso edificio il mulino con il socio di capitale Costantino (chiamato Titino) Bocchiddi, anche lui settimese.

Il molino esistente è quello degli anni ’50: l’edificio è lo stesso, i macchinari sono gli stessi. E sono questi ad attirare l’interesse dei clienti e dei visitatori, fra cui numerose scolaresche: la macina di pietra proveniente dalla Normandia (Francia) e i macchinari in legno per la setacciatura del grano. Per acquistare la macina e i macchinari, costati tre milioni di lire, il signor Luigi dovette ipotecare la casa in cui viveva con la moglie Teresina Montis, macellaia, e gli otto figli, mentre il socio Costantino Bocchiddi pagò la sua quota in contanti.

Macina e macchinari erano stati prodotti dall’ “Officina meccanica Baldeschi e Sandreani” di Cantiano (Pesaro), fondata nel 1904 dall’ingegner Curzio Baldeschi e dal cognato Romolo Sandreani, arrivarono a Settimo smontati e qui assemblati da due operai della stessa ditta in 3 mesi. Gli operai, ricorda in signor Mariano, figlio del fondatore del molino, avevano vitto e alloggio presso la sua famiglia e durante la loro permanenza consumarono a pranzo un centinaio di polli.
La ditta Baldeschi e Sandreani, oggi non più esistente, nello stesso 1956 installò in Sardegna altre quattro macine e setacciatori, fra cui una a Samugheo, ma il molino di Settimo è l’unico attivo in Sardegna a conservare la macina di pietra e i setacciatori in legno.
Il signor Mariano ricorda che quando era bambino il grano arrivava al molino con su jù (carro a buoi) e che nel cortile del molino vi era l’attrezzatura per ferrare i buoi (e i cavalli), lavoro effettuato da ziu Srabadori, l’unico a Settimo che lo sapesse fare.
Allora la coltivazione del grano era diffusa e le persone portavano al molino il grano da loro mietuto, ne veniva valutata la qualità e, se considerata buona, si pagava una certa somma e si ritirava una certa quantità di macinato.
Dal 2005 il molino è gestito dal signor Mariano, che ha dato in gestione la sua macelleria per ricominciare a quasi 50 anni come molitore per entusiasmo e affetto verso la tradizione familiare. La macina è mossa da un motore elettrico, i setacciatori, da un altro.
Il grano lavorato è unicamente sardo, proviene per la maggior parte dalla Trexenta e dalla Marmilla, già granai di Roma, viene acquistato direttamente dai produttori e, quando questo termina, dal Consorzio agrario di Cagliari o dai commercianti di grano duro. La varietà di grano lavorata è la Karalis, derivata dalla varietà Cappelli, quella dalla quale anche si ricava il fieno per i cestini di Sinnai, rispetto alla quale ha una resa di mietitura superiore.
Il signor Mariano lavora al mese tra i 40 e i 50 quintali di grano seguendo come tradizione la seguenti fasi: setacciatura del grana per togliere le impurità, lavaggio in acqua potabile, asciugatura naturale in vasconi di legno, macinazione. Si ottengono in questo modo Semola, Cruschello e Farinetta (con la setacciatura della “semolatrice”), Fiore sardo e Crusca grossa (con la setacciatura del plansister), farina integrale, sa farra direttamente dal Grano duro macinato. Altri prodotti sono il grano duro intero e il grano spezzato. Dalla semola si ottiene su coccoi, dalla miscela semola e fiore sardo su civrasciu, dal fiore sardo su civrasciu nieddu, dalla farina integrale su strippidi.
Recenti studi medici sembrano dimostrare che la macinazione del grano con la macina di pietra renda i prodotti adatti per l’alimentazione dei celiachi.
Crusca, cruschello e farinetta sono usati per alimentare gli animali.
I prodotti sono venduti esclusivamente a privati e non a panifici. Da un quintale di grano l’Antico Molino ricava 40 kg di semola e 18 kg di farina di grano duro, la qualità è quindi eccellente e il prezzo è elevato e non conveniente per i panifici che preferiscono acquistare a basso costo dai paesi dell’Est e dall’Albania.
I clienti dell’Antico molino acquistano la farina per fare il pane in casa, per la propria famiglia o per venderlo. Secondo il signor Mariano oggi a Settimo il pane si fa nel 30% delle famiglie e si sta tornando al pane fatto in casa a causa della crisi economica e della voglia di genuinità.
Per il futuro il signor Mariano ha un sogno e un progetto, quello di dar luogo a una filiera del grano: dalla terra, dalla coltivazione, alla coltura, alla mietitura, alla molitura, alla panificazione con la denominazione d’origine controllata, e quindi a un panificio e un pastificio.

da qui


Orroli si trova nel Sarcidano, una regione della Sardegna centro-meridionale, in mezzo

a una piana coltivata a grano e circondata da pascoli selvatici. Abbiamo anche il lago.

Nel nostro piccolo siamo famosi, per il Nuraghe Arrubiu (Nuraghe Rosso), il più grande

dell’intera isola.

Ma da qualche tempo si parla di noi anche per un’altra ragione: la nostra longevità. In

effetti in paese c’è una delle maggiori percentuali di centenari di tutta l’Italia. D’Europa,

secondo alcuni studiosi. Una parte del segreto, dicono, sta nel nostro DNA. Così ci

esaminano, curiosi e anche un po’ invidiosi. Chiedono ai nostri vecchi che vita abbiano

fatto, cosa bevano e cosa mangino.

Certo è stata una vita semplice, all’aria aperta, rispondono. Certo è stata la serenità dei

campi e la genuinità dei loro frutti.

Qui il grano lo maciniamo da sempre. In ogni capanna prenuragica c’era una piccola

mola di pietra. E così abbiamo continuato a fare. Piccaperdas, ci chiamano in Sardegna.

Vuol dire “martella pietre”. Cioè scalpellini, perché eravamo maestri proprio nel costruire

le mole. E anche oggi in paese continuiamo a macinare il grano con una mola di pietra,

dal mugnaio. Sembra una favola, ma invece è proprio così.

E poi coltiviamo il grano migliore, la qualità “Senatore Cappelli”, quello con la punta

delle ariste nera. Senza nessun tipo di aiuto chimico, di “medicina” come si dice qui.

“Biologico”, come dicono oggi: il nostro era già così senza saperlo.

Poi facciamo il pane in un modo diverso. Anzi sempre uguale. Noi per esempio usiamo

un lievito che ha diverse centinaia d’anni. Sempre lo stesso: ogni giorno se ne conserva

un pezzetto per fecondare il pane del giorno seguente. Da secoli. Madrighe (matrice),

si chiama. Che vuol dire madre. Come facciamo a sapere che è così antico? Semplice:

di lievito di birra qui se ne è sentito parlare dopo l’ultima guerra, ma mia madre già

faceva il pane, e lo faceva ancora col vecchio sistema, col “madre lievito”. Il lievito chimico

non lo ha usato mai. Figuriamoci mia nonna e mia bisnonna, che neanche lo conoscevano…

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Tagliatelle del Senatore Cappelli (la ricetta)

Il grano del Senatore Cappelli, è un prodotto molto pregiato, dalle infinite proprietà nutrizionali, e in un paesino della provincia di Cagliari, ho scovato un mulino che lo vende. Il grano è bio, e si ottengono due prodotti che sono entrambi macinati a pietra, la farina e la semola di grano duro…

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