sabato 26 novembre 2016

Torino: vittima delle vessazioni dei compagni bulli, diventa disabile a undici anni – Sara Martinenghi


Incredibilmente grandi per fare tanto male, ma troppo piccoli per essere puniti. Perché, pur frequentando la prima media, hanno agito con violenza da adulti e hanno devastato, con botte, umiliazioni e vessazioni, la vita di un compagno di scuola. Tanto che la vittima, a soli 11 anni, ora è stata dichiarata disabile: la sua mente è stravolta da quello che gli è stato fatto. Un trauma così profondo da sconvolgere i medici che l’hanno tenuto ricoverato un mese intero per comprendere che fisicamente era sanissimo, ma psicologicamente era distrutto per il bullismo subito da settembre 2015 fino agli inizi di gennaio. E, mentre lui ora si ritrova invalido, la procura dei minori ha chiesto l’archiviazione per i due compagni di scuola indagati: sono minori di 14 anni, non possono essere processati.
"Era gennaio quando nostro figlio, che già da qualche giorno aveva manifestato un profondo malessere per le continue angherie subite da due compagni di classe, perdeva i sensi e si accasciava al suolo dinanzi ai nostri occhi stupiti". È una scena straziante quella che raccontano i genitori, solo la prima di una lunga serie di crisi che di lì a poco cominciano a manifestarsi nel loro figlio più grande. "Neanche il tempo di destarlo che il piccolo inizia a tremare con scatti improvvisi e violenti, ad agitare le mani verso l’alto, quasi a proteggersi il volto, e poi a dimenarsi sul pavimento, senza urlare, ma biascicando mugugni monotoni e incomprensibili". Convulsione, epilessia, infarto sono gli spettri che in un attimo fanno capolino nei loro primi pensieri. Di corsa, portano il figlio al Regina Margherita. Era gennaio del 2016, e il bambino iniziava a esprimere così il malessere devastante che celava dentro per l’incubo vissuto a scuola: continui svenimenti, dissociazione dalla realtà, scene di violenza rivissute. Paura di subire ancora e disperati tentativi di trovare rifugio e riparo dalle botte…

venerdì 25 novembre 2016

Gaza, la vita impossibile dei disabili

A fine settembre del 2016 in un ospedale nel Sud della Striscia di Gaza è nato Walid Shaath. Un neonato sano e vitale che con il suo arrivo ha portato la popolazione di quel fazzoletto di terra a quota 2 milioni. La Striscia, 360 chilometri quadrati chiusi tra il Mar Mediterraneo e le frontiere sigillate con Israele ed Egitto, è l’area più densamente popolata del pianeta. Secondo le Nazioni unite il territorio potrebbe diventare invivibile per la sovrappopolazione nel 2020. Pochi minuti dopo Walid è nata Lana Ayad, la cittadina numero 2.000.001. Ali Khaled, lo zio della piccola raggiunto via Skype, si chiede: «Che futuro può avere Lana qui a Gaza? Siamo reclusi e non abbiamo nulla, neppure la possibilità di curarci».
BOMBE SULLA CASA. Mentre muove la webcam per mostrare la sua protesi dice ancora: «Io sono fortunato. Ho perso la gamba quando un carro armato israeliano ha bombardato la mia casa. Era il 2012 e allora era più facile trovare una gamba da sostituire alla mia». Khaled è tra le migliaia di abitanti di Gaza che hanno imparato a vivere con la disabilità legata alla perdita di arti dopo tre guerre, combattute dal 2008 a oggi, tra i militanti palestinesi di Hamas e Israele. Secondo il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) a Gaza sono quasi 80 mila i disabili motori, un terzo di loro sono vittime di guerra.
NEL 2014 11 MILA FERITI. Solo durante il conflitto del 2014 i feriti furono più di 11 mila. Più di 10 anni di blocco israeliano e l’apertura a singhiozzo del valico di Rafa dal lato egiziano rendono difficile curarsi o seguire percorsi di riabilitazione nella Striscia. Scarseggiano le medicine, ci sono poche strutture per disabili e mancano i materiali e attrezzature per la costruzione delle protesi.
La protesi? Due barre metalliche e una scarpa da tennis
Khaled racconta che col passare degli anni ha imparato a muoversi meglio con la sua semplice protesi, due barre metalliche collegate da un giunto a livello del ginocchio, con una scarpa da tennis bianca e blu nella parte inferiore. «Nonostante i progressi che ho fatto con la nuova gamba non mancano i problemi. Per quelli come me la vita di tutti i giorni a Gaza è una sfida. Molte strade non sono asfaltate e sono invase di spazzatura, altre sono piene di buche e fossi». Poco o nulla è fatto dalle autorità per migliorare le condizioni di vita dei disabili.
«NON CHIEDIAMO LA LUNA». Khaled, così, ha fondato un’associazione che si batte per i diritti negati ai portatori di handicap. «Non chiediamo la luna, vogliamo solo strade asfaltate e magari un accesso alla spiaggia. Tutti possono andare al mare, ma noi non siamo abbastanza uguali agli altri per avere questo diritto». L’accesso alle cure e ai presidi sanitari è un altro dei grandi problemi che i disabili a Gaza devono affrontare.
«DIFFICILE IMPORTARE PRODOTTI». Nella Striscia esiste una sola fabbrica di protesi. Nabil Farah, il responsabile dell’azienda, spiega: «Non riusciamo a rispondere a tutte le richieste, è difficile far entrare le materie prime a Gaza, in particolare i prodotti chimici necessari per la produzione». Israele controlla rigorosamente le merci che entrano nella Striscia di Gaza, nel tentativo di evitare l’arrivo di elementi che potrebbero essere usati per costruire armi.
Anche il confine con l’Egitto da tre anni è praticamente chiuso. Dall’inizio del 2016 sono entrate nella Striscia, passando dal valico di Kerem Shalom alla frontiera con Israele, 4.562 tonnellate di materiale medico. Il dato è fornito da Cogat, l’ufficio del ministero della Difesa israeliano che sovrintende il traffico di merci e uomini tra i due Paesi.
NUMERI INSUFFICIENTI. Cogat ha dichiarato di aver fatto uno sforzo per migliorare l’assistenza sanitaria per gli abitanti di Gaza, ma le Nazioni unite hanno chiarito che le forniture continuano a essere drammaticamente insufficienti e che è bisogno di una rimozione totale del blocco, almeno per i presidi sanitari. «Più di 2.300 persone a Gaza hanno bisogno di una protesi», dice ancora Farah, «e i rifornimenti che arrivano in fabbrica ci permettono di soddisfare 12-18 persone al mese. E questo solo grazie all’assistenza della Croce rossa».
Non solo per le merci, ma anche per gli esseri umani è difficile superare i valichi di frontiera. Le autorità di Tel Aviv rilasciano un numero limitato di permessi per uscire dal territorio, sempre più sigillato, anche per motivi di salute.
UNO SU TRE NON ESCE. Secondo Cogat nel 2016 è stato concesso a 22.635 palestinesi, compresi gli accompagnatori, il permesso di raggiungere la Cisgiordania o qualche Paese estero per curarsi. I dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), però, dicono che nel luglio 2016 a un palestinese su tre è stato negato il permesso di raggiungere un ospedale fuori dalla Striscia. Su 2.040 richieste 680 sono state rifiutate, comprese quelle di 146 bambini.
L’ortopedia è tra le specialità mediche che più ritorna nelle richieste di visto, insieme all’oncologia, pediatria, ematologia e oftalmologia. Quella che manca quasi completamente è l’assistenza psicologica.
SOSTEGNO FONDAMENTALE. «Questo tipo di aiuto è fondamentale», racconta Mamadou Sow, responsabile della Cicr a Gaza, «è un sostegno decisivo per aiutare le persone a imparare come vivere senza un arto, ma anche per facilitare il loro reinserimento nella società». Khaled è orgoglioso della sua nipotina apparsa su tanti giornali, anche se «non credo che potrò mai portarla a spasso per le strade di Gaza. Chissà, forse un giorno riusciremo a emigrare e vivere in un Paese diverso, dove io potrò passeggiare e Lana avere un futuro. Qui a Gaza non c’è speranza né per lei né per me».

martedì 22 novembre 2016

Capsula mundi - Giovanni

Ti spaventa, la morte? Così diretta, è una domanda che, anche se non lo sembra, ti suona un poco strana. Una domanda alla quale non è così semplice dare una risposta unica - anche se tutto farebbe pensare al contrario! Una risposta secca. Una risposta univoca. Una risposta una-volta-per-tutte.
La morte in sé - l'evento-morte, che dura un istante infinitesimale e rabbrividente - si potrebbe dire che, più che spaventarti, ti sconcerta. Il caso di dirlo è: ti lascia senza fiato. Hanno ragione i filosofi: quando c'è la morte, non ci sei tu; e quando ci sei tu, non c'è la morte. Ed è per questo, credi, che la morte sia per ciascuno di noi, qualcosa di impensabile a noi stessi. La morte-singolo-evento-individuale-a-noi, ci è tuttavia esterna, sempre. Rispetto a questo evento, siamo come due poli uguali di una calamita: non riusciamo a toccarci, e possiamo avvicinarci solo quel tanto, non di più - dopo di quel limite, si avvertono le forze di respingimento.
Cosa ti spaventa della morte, non è la morte di per sé. Ma è il cammino che porta ad essa - che di solito è un cammino fatto di dolore fisico, di sofferenza. Che magari ti auguri di vivere insieme a chi vuoi bene, e che ti vuole bene: un percorso. Cosa ti spaventa della morte è la tua probabile totale in-avvertenza, o in-avvertibilità, in questa realtà - dopo che la morte è accaduta. Forse siamo davvero vibrazioni quantiche, e la morte rappresenta un cambiamento di vibrazione, una diversa frequenza che ci desintonizza dalla materia di questa realtà, che ha una sua vibrazione caratteristica. Ad ogni modo, sei quasi sicuro che nessuno - dopo - potrà percepirti in alcun modo attingibile coi sensi conosciuti. Perciò, eccoti al nocciolo della tua paura. Della morte, ti spaventa il non essere più lì - con tutte le conseguenze del caso -  per quelli che ti sono vicini, che ti vogliono bene, che ti cercano, che ti amano, che hanno bisogno di te - finché sei vivo, vibrazione più, vibrazione meno. Ché, se anche fosse come la radio - sulla quale le stazioni deboli o mal sintonizzate si captano lontane, o piene di ronzii o interferenze di altre stazioni -  se sei sintonizzato male, al massimo, nella migliore delle ipotesi,  potresti essere come quel che è comunemente conosciuto come fantasma. Il quale, ha ben poca possibilità di intervento su questo piano reale vibratile. E non iniziamo nemmeno a fare ipotesi su cosa succede su altri piani vibratili - a.k.a. l'Aldilà...
Alla morte, però, ci pensi. O ci hai pensato. Hai pensato a cosa può essere, significare, il lutto. (Un tema che hai in cuore di voler esplorare ancora, hai in mente almeno una sfaccettatura che conti di poter intavolare quanto prima).
Hai pensato a come trattare i fatti inerenti a quel che dicevi prima sul percorso che precede la morte: quello, cioè, legato alla sofferenza, che implica avere coscienza di cosa sia e possa essere l'empatia, la cura, gli aspetti legati al cammino verso la morte; alle eventuali disabilità; a come vivere-la-morte. Discorsi forse a malapena iniziati, in accenno. Ma che sono nel tuo blocco delle bozze e sui quali c'è tanto, ma tanto da poter/voler dire, in futuro. Con la consapevolezza che non si tratta di argomenti leggeri, tuttavia. E tuttavia, che si tratta comunque di argomenti che hanno bisogno di essere spogliati dal tabù di indicibilità imposto nella nostra cultura high tech. Non stai qui a fare un elenco - stucchevole, forse, anziché no - di tutte le sfaccettature. Chi è arrivato a leggere fin qui, è consapevole abbastanza da riuscire a immaginarsele da solo senza troppo sgomento…

lunedì 21 novembre 2016

Alluminio: un metallo dannoso che attacca il cervello

“Abbiamo fatto assumere a giovani topi dosi consistenti di alluminio” – dichiara il dottor Roger Deloncle, ricercatore della Facolta’ di Farmacia dell’Universita’ di Tours (Francia)- “e abbiamo constatato una distruzione massiccia di neuroni.
L’alluminio accelera i processi di invecchiamento.
Prima dell’esperimento il cervello dei topi poteva essere paragonato a quello di un ventenne, dopo l’esperimento il cervello dei topi equivaleva a quello di un uomo di settanta anni.”
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) -dichiara Primo Mastrantoni, segretario dell’Aduc- ha fissato un limite per l’assunzione di alluminio che equivale ad un consumo giornaliero di 60 milligrammi (mg) al giorno per una persona di 60 kg.
Gli alimenti che ne contengono di piu’ sono le spezie, in particolare il basilico, 308 mg su 100 grammi, l’origano, 60 mg, e il timo 75 mg.
A meno di fare una scorpacciata di basilico tutti i giorni, il contenuto di alluminio degli alimenti non preoccupa, ma a quello assunto con il cibo va aggiunto quello degli additivi (E 520, 521, 522, 523), quello degli utensili da cucina di alluminio (pentole, caffettiere, fogli di alluminio, ecc.), attaccati da alimenti acidi (un etto di pomodori per il sugo, scioglie 6.5 mg di alluminio), quello dell’acqua potabile, che se trattata con solfato di alluminio, per eliminare le impurita’, puo’ raggiungere i 20 mg/litro, quello dei deodoranti (antitraspiranti) che contengono cloruro di alluminio ed infine quello dei farmaci, in particolare gli antiacidi, che contengono idrossido di alluminio (Maalox, Gaviscon, Digenal, Fosfalugel, ecc.).

Per evitare problemi la soluzione e’ piuttosto semplice: usare utensili di acciaio ed eliminare cibi e cosmetici contenenti alluminio. Quanto ai farmaci sarebbe opportuno evitare di assumerli insieme a prodotti acidi (succo di arancia, vitamina C, marmellate)

dice il dottor Jean Pilette sull'alluminio:
"L’alluminio è un metallo molto diffuso in natura in quanto esso costituisce circa l’8 % della crosta terrestre.
E’ un metallo leggero largamente utilizzato dall’uomo. Sfortunatamente si tratta di un metallo nocivo per il sistema nervoso centrale, capace di avere un ruolo determinante nella comparsa e nell’evoluzione di alcune malattie degenerative del sistema nervoso, come il Morbo di Parkinson, la sclerosi laterale amiotrofica e il morbo di Alzheimer, la più diffusa tra le forme di demenza senile.
L’alluminio può inoltre essere nocivo anche per le ossa, per i polmoni, per la paratiroide.
L’alluminio può penetrare nell’organismo in seguito ad inalazione, contatto, ingestione ed iniezione, sia quest’ultima di tipo intravenoso che di tipo intramuscolare o sottocutaneo. L’alluminio che passa nell’apparato digerente viene in parte eliminato con le feci, mentre quello che passa nel sistema circolatorio viene parzialmente eliminato dai reni.
L’accumulo di alluminio nei vari organi cambia da persona a persona e dipende da numerosi fattori. Questo accumulo può essere facilitato da un apporto più consistente di alluminio attraverso una delle vie di assorbimento, oppure da un maggiore afflusso del sangue a livello intestinale o da una minore eliminazione a livello renale.
I neonati e le persone anziane sono in particolar modo soggetti ad accumulare più alluminio ed a subirne le conseguenze. Sono due gruppi a rischio che bisogna tenere particolarmente sotto controllo a tal proposito.
La modalità di trasporto dell’alluminio nel sangue facilita il suo accumulo nel cervello. Infatti nel plasma il 60% dell’alluminio si lega alla proteina che trasporta il ferro (transferrina), la qual cosa ne agevola il passaggio al cervello dove si trovano molti recettori della transferrina.
L’alluminio forma altresì un legame con un’altra proteina del plasma, l’albumina. Quest’ultima non può penetrare nel cervello se non attraverso un’alterazione della barriera sangue/cervello. Questa barriera può essere alterata da più fattori: ricordiamone due qui di seguito.
Innanzitutto l’alluminio ha di per sé stesso un’azione tossica diretta su questa barriera protettiva del cervello.
Un secondo fattore di alterazione di tale barriera è costituito dalle iperfrequenze, in particolare quelle utilizzate per la telefonia mobile.
Le iperfrequenze permettono all’albumina, sostanza neurotossica, di oltrepassare la barriera ed entrare nei centri nervosi, esercitando effetti deleteri assieme all’alluminio eventualmente legato ad essa.
I vaccini che contengono alluminio possono provocare non solo delle reazioni locali nel punto dove avviene la loro iniezione, ma anche una sintomatologia generale durevole, come stanchezza, febbre, dolori muscolari ed articolari. Questo insieme di sintomi costituisce una nuova patologia, la miofascite macrofagica, che è stata messa in evidenza per la prima volta nel 1993. I sintomi che la accompagnano sono stranamente simili a quelli della sindrome da stanchezza cronica e a quelli della sindrome della Guerra del Golfo.
L’OMS riconosce che, nei vaccini, “l’innocuità degli additivi è un argomento importante ma poco considerato”, ma allo stesso tempo essa non impedisce di continuare nei suoi programmi di vaccinazione, senza voler cambiare alcunché, né riguardo all’informazione sui vaccini che contengono Sali di alluminio, né riguardo ai programmi di somministrazione dei vaccini stessi.
La reattività di una persona ad un agente tossico come l’alluminio resta difficile da valutare.
E’ difficile prevedere quali saranno gli effetti secondari indotti in un adulto dalla somministrazione di un vaccino che contiene alluminio.
Ancora più complicato è prevedere quali saranno le reazioni di un neonato al medesimo vaccino.La conoscenza della reattività di un neonato resta alquanto ipotetica.
In che condizioni sono il suo metabolismo, i reni, il fegato, l’apparato digerente, il cervello? Se non riceve il latte materno quali sono gli alimenti che gli vengono somministrati? Quali medicinali o cosmetici vengono utilizzati dalla madre? Il suo ambiente è elettromagnetico?
Dobbiamo ammettere nostro malgrado la nostra ignoranza sull’impatto che può avere l’iniezione di un vaccino contenente alluminio in un neonato, in un bambino o in un adulto e, logicamente, le conseguenze a lungo termine sul funzionamento del cervello.
Le vaccinazioni di routine e le vaccinazioni di massa generalmente vengono fatte senza effettuare prima alcun esame.
Non viene richiesto nessun esame del sangue prima di una vaccinazione e tantomeno un esame speciale che potrebbe determinare la quantità di alluminio già presente nel sangue del futuro vaccinato.
Sarebbe altresì finanziariamente oneroso proporre ai genitori tutta una serie di test finalizzati a sapere se il bambino da vaccinare ha delle probabilità di sopportare senza danno la vaccinazione prevista, sia essa obbligatoria o meno."

Ndr.: il dott. Pilette ha verificato che le dosi di alluminio che un neonato di 2 mesi riceve nel siero, tramite il suo primo vaccino esavalente risulterebber0:
1.      827 volte la dose di alluminio considerata normale;
2.      330 volte la dose di alluminio considerata come limite superiore;
3.      220 volte la dose di alluminio considerata come limite massimo;
4.      55 volte la dose di alluminio capace di provocare dei danni al sistema nervoso e
5.      33 volte la dose di alluminio capace di generare una encefalopatia.




domenica 20 novembre 2016

Ago incandescente sciogli tumore: il primo intervento in soli 10 minuti

Un ago incandescente contro il tumore. La tecnica innovativa, che si chiama “termoablazione mediante microonde”, permette di sciogliere il tumore (e anche le forme metastatiche) al fegato, ai reni, ai polmoni, alla tiroide e alle ossa in un’unica seduta, anche ambulatorialmente, in cui il paziente viene sedato e curato in pochi minuti (VIDEO) senza sentire dolore e, in molti casi, senza avere la necessità poi di altri trattamenti come quelli chemioterapici.
La nuova metodica, rivoluzionaria nel trattamento di alcune neoplasie, è approdata nella Chirurgia e Medicina dell’Ospedale di Chioggia: proprio oggi, martedì 15 novembre, i professionisti della Ulss 14 hanno curato con questo innovativo trattamento, in soli dieci minuti, un signore chioggiotto di 75 anni che era affetto da una grave lesione metastatica epatica. L’intervento di alta specialità si è tenuto nelle nuove sale operatorie di day surgery, recentemente restaurate.
«La termoablazione mediante microonde – hanno spiegato il primario di Chirurgia Salvatore Ramuscello insieme al responsabile del servizio di ecografia interventistica Mario Della Loggia – è un nuovissimo trattamento che necessita di un generatore di microonde e di un terminale chiamato antenna che, mediante guida ecografica, viene inserita direttamente nella lesione. L’antenna, attraverso un aumento di temperatura rapido, controllato e localizzato, provoca la distruzione del tessuto malato con la massima precisione. Rispetto a ieri possiamo intervenire in maniera mininvasiva, con una piccola incisione di 2-3 millimetri, su tumori importanti e calibrare il tipo di cura a seconda della neoplasia: si agisce localmente, delimitando e colpendo solo l’area interessata dalla malattia. Persino l’intensità di calore e la durata dell’intervento viene misurata in base alla grandezza del tumore da distruggere. In questo modo evitiamo l’asportazione chirurgica, rendendo possibile il trattamento anche su pazienti pluripatologici, quindi inoperabili e fragili, con tempi di ricovero più brevi e una migliore ripresa funzionale dei pazienti stessi».
L’intervento di oggi è durato 10 minuti e nel giro di alcune ore il paziente potrà già andare a casa con una ferita di 2 millimetri senza neppure sutura.
La notizia è diventata virale al punto che il centralino dell’Uls 14 è stato subissato di chiamate da tutta Italia da parte persone interessate a questo tipo di intervento. La Uls precisa che non è una prestazione limitata localmente, ma che comunque tutte le richieste saranno vagliate dal Comitato oncologico.
Fonte: Il Gazzettino

sabato 19 novembre 2016

il diritto al cibo in Scozia

Il governo scozzese potrebbe presto introdurre il "diritto al cibo" tra le sue leggi. L'obiettivo è quello di garantire a tutti un accesso sicuro al cibo: quest'ultimo, inoltre, dovrà essere adeguato in quantità e abbordabile a livello di costi. La proposta è stata avanzata dall'Independent Working Group on Food Poverty, un gruppo di lavoro incentrato proprio sulla risoluzione di problemi legati alla fame.
Il team ha pubblicato un report all'inizio di quest'anno e, basandosi sui dati in esso pubblicati, ha proposto al governo l'introduzione di alcune norme per implementare le politiche tuttora in vigore e per utilizzare al meglio le risorse disponibili. Sebbene il problema della fame non sia di facile risoluzione, le loro "raccomandazioni" rappresentano il desiderio di un passo in avanti.
Tra quelle suggerite e accettate dal governo, oltre al diritto al cibo esteso a tutti, c'è anche l'introduzione di un sistema di controllo della sicurezza di ciò che viene venduto visto che, come mette in evidenza uno studio dell'associazione Trussell Trust, negli ultimi tempi il fenomeno dei banchi alimentari è sempre più diffuso...

domenica 13 novembre 2016

La grande abbuffata dei veleni - Silvia Ribeiro


Il sistema alimentare industriale, dalle sementi ai supermercati, è una macchina che fa ammalare le persone e il pianeta. È strettamente collegato alle principali malattie delle persone e degli animali da allevamento; è il singolo più importante fattore del cambiamento climatico e una delle principali cause del collasso ambientale globale, con la contaminazione chimica e l’erosione del suolo, dell’acqua e della biodiversità, l’interruzione dei cicli dell’azoto e del fosforo, vitali per la sopravvivenza di tutti gli essere viventi.
Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 68 per cento delle cause di morte nel mondo, sono dovute a malattie non trasmissibili. Le principali malattie di questo tipo, come quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete, l’obesità e il cancro dell’apparato digestivo e degli organi correlati, sono legate al consumo di cibo industriale. La produzione agricola industriale e l’uso di agrotossici che comporta (erbicidi, pesticidi e altri biocidi) è inoltre la causa delle malattie più frequenti tra i lavoratori rurali, le loro famiglie e gli abitanti dei villaggi vicini alle zone di coltura industriale: tra esse, insufficienza renale cronica, intossicazione a avvelenamento per sostanze chimiche e residui chimici nell’acqua, malattie della pelle, dell’apparato respiratorio e diversi tipi di cancro.
Secondo un rapporto del 2016 del Gruppo Internazionale di Esperti sui Sistemi Alimentari Sostenibili (International Panel of Experts on Sustainable Food Systems IPES Food), dei 7 miliardi di abitanti del mondo, 795 milioni soffrono la fame, 1 miliardo e 900 milioni sono obesi e 2 miliardi soffrono di deficienze nutrizionali (mancanza di vitamine, minerali e altri nutrienti). Anche se il rapporto chiarisce che in alcuni casi le cifre si sovrappongono, in ogni caso significa che circa il 60 per cento degli abitanti pianeta soffre la fame o sono malnutriti.
Una cifra assurda e inaccettabile, che rimanda all’ingiustizia globale, ancor più per il fatto che l’obesità, che un tempo era simbolo di ricchezza, è ormai un’epidemia tra i poveri. Siamo invasi da “cibo” che ha perso significative percentuali di contenuto alimentare a seguito della raffinazione e della lavorazione; di verdure che a causa della coltivazione industriale hanno diminuito il loro contenuto nutrizionale per l’ “effetto diluizione” poiché un maggior volume di raccolto sulla medesima superficie comporta una diluizione dei nutrienti; di alimenti con sempre più residui di agrotossici e che contengono molte altre sostanze chimiche, come conservanti, aromatizzanti, esiti di testurizzazione, coloranti e altri additivi. Sostanze che, così come è successo con i cosiddetti “ acidi grassi trans” che alcuni decenni fa erano presentati come salutari e che adesso si sa che sono altamente nocivi, a poco a poco si sta rivelando che queste sostanze hanno impatti negativi sulla salute.
Al contrario del mito generato dall’industria e dai suoi alleati -al quale molte persone credono per mancanza di informazione- non abbiamo motivi per tollerare questa situazione: il sistema industriale non è necessario per alimentarci, né ora né in futuro. Attualmente raggiunge solo l’equivalente del 30 per cento della popolazione mondiale, ma utilizza più del 70 per cento della terra, dell’acqua e dei combustibili che si usano in agricoltura (Vedi Gruppo ETC ).
Il mito si basa sui grandi volumi di produzione per ettaro di grano prodotto industrialmente. Tuttavia, sebbene ne risultino grandi quantità, la catena dell’industria alimentare spreca dal 33 al 40 per cento di ciò che produce.Secondo la FAO, si sprecano ogni anno 223 chilogrammi di cibo a persona, equivalenti a mille e 400 milioni di ettari di terra, il 28 per cento della terra agricola del pianeta. Allo spreco che avviene nel campo, si aggiunge quello della lavorazione, del confezionamento, dei trasporti, della vendita nei supermercati e, infine, il cibo che si butta a casa, soprattutto nei luoghi urbani e del nord globale.
Questo processo di industrializzazione, di standardizzazione e di chimicalizzazione dell’agricoltura ha pochi decenni. Il suo principale impulso è stata la cosiddetta “Rivoluzione Verde” -l’uso di sementi ibride, fertilizzanti sintetici, agrotossici e macchinari- , promossa dalla statunitense Fondazione Rockefeller, iniziando con l’ibridazione del mais in Messico e del riso nelle Filippine, attraverso i centri che sarebbero poi diventati il Centro Internazionale di Miglioramento del Mais e del Grano ( CIMMYT International Maize and Wheat Improvement Center) e l’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso (IRRI International Rice Research Institute ). Questo paradigma trova la sua massima espressione nei transgenici.
Non si è trattato solo di un cambiamento tecnologico; è stato lo strumento chiave per passare dai campi decentralizzati e diversificati, basati fondamentalmente sul lavoro contadino e familiare, sulla ricerca agronoma pubblica e senza brevetti, su imprese piccole, medie e nazionali, a un immenso mercato industriale mondiale -dal 2009 il più grande mercato mondiale- dominato da multinazionali che devastano i terreni e i fiumi, contaminano le sementi e trasportano cibo, fuori stagione, attraverso tutto il pianeta e che, per tutto questo, non possono prescindere dai prodotti chimici e dai combustibili fossili.

L’aggressione non è solamente per il controllo dei mercati e per l’imposizione delle tecnologie, contro la salute delle persone e dell’ambiente. All’industrializzazione dà fastidio ogni diversità e peculiarità locali e c’è quindi un attacco continuo verso l’essere e il fare collettivo e comunitario, verso le identità che comprendono in sé le sementi e i cibi locali e diversi, verso l’atto profondamente radicato nella storia dell’umanità che consiste nel decidere cosa e come mangiare.
Malgrado ciò, continuano ad essere le e i contadini, pastori e pescatori artigianali, gli orti urbani, quelli che nutrono la maggioranza della popolazione mondiale. Difenderli e affermare la diversità, la produzione e l’alimentazione locale contadina e biologica vuol dire anche difendere la salute e la vita di tutti e di tutto.

Pubblicato su La Jornada con il titolo ¿Comida o basura? La máquina de generar enfermedad
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo

venerdì 11 novembre 2016

Depenalizzazione uso droga, meno morti e malati di Hiv: il 'modello portoghese' funziona – Alessandro Oppes

Il 'modello portoghese' funziona. Quindici anni fa, la decisione del Parlamento di Lisbona (governavano i socialisti con maggioranza assoluta, premier Antonio Guterres, oggi segretario generale dell'Onu) di depenalizzare l'uso delle droghe provocò sconcerto nel mondo. Il consumo andrà alle stelle, profetizzavano gli scettici, la tossicodipendenza diventerà un fenomeno fuori controllo. E invece, niente di tutto questo.

"A batalha foi ganha", la battaglia è stata vinta, esulta ora il quotidiano Público, facendo il bilancio di un'esperienza che in molti altri Paesi viene studiata con attenzione. Non solo non c'è stato un incremento dei consumatori, non solo è stato fugato il timore che Lisbona potesse trasformarsi nella capitale mondiale dei tossicodipendenti provenienti dai cinque continenti, ma i benefici sono stati nettamente superiori al temuto effetto negativo della nuova legge.

Ad esempio il numero di morti per overdose: 22 nel 2013 (un migliaio in Germania, duemila nel Regno Unito), contro i 94 del 2008, mentre per il periodo precedente non esistono statistiche certe, ma la cifra era sicuramente superiore. E poi i dati sulle infezioni da Hiv associate alla tossicodipendenza: dalle 18.500 del 1983 alle 40 del 2014.

Se inoltre, in linea con quanto avviene nel resto d'Europa, è aumentato il numero di consumatori di ecstasy e di altre droghe sintetiche, si è invece ridotta notevolmente - di circa il 70 per cento - la cifra dei dipendenti da eroina, che all'epoca dell'entrata in vigore della nuova norma era il peggiore flagello che colpisse il Portogallo. È il successo della politica di "riduzione dei danni e di reinserimento sociale", come la definisce João Goulão, direttore del Sicad, l'istituzione pubblica che lotta contro le tossicodipendenze.

Al di là dei numeri, comunque confortanti, quello che conta è che i consumatori passano a essere considerati, da potenziali delinquenti, a persone che necessitano di essere trattate come malati. Il fatto che la legge depenalizzi l'uso e il possesso di dosi per consumo personale fino a un massimo di dieci giorni (15 grammi nel caso di cocaina o eroina, 20 grammi di cannabis), ha indotto molti tossicodipendenti - soprattutto gli eroinomani - a richiedere l'assistenza dei centri di riabilitazione. Per loro, una maggiore serenità nel presentarsi alle istituzioni specializzate senza il timore di subire misure repressive della polizia, per la società un passo avanti verso migliori condizioni per garantire la salute pubblica.

Ovviamente, è caduta in picchiata anche la percentuale di popolazione carceraria condannata per reati legati alle droghe: dal 41 per cento del 2001 al 19 per cento del 2014. La maggior parte degli attuali detenuti deve rispondere di accuse di narcotraffico.

giovedì 10 novembre 2016

Mohammad Alaa Jaleel nutre qualche gatto ad Aleppo



Malgrado la guerra, Mohammad Alaa Jaleel è rimasto ad Aleppo per prendersi cura dei gatti rimasti senza padrone a causa della guerra.
Dopo l’esodo causato dalla guerra sono migliaia i gatti e gli altri animali domestici abbandonati che si aggirano per le strade deserte di Aleppo. Soli, disidratati, affamati, si avvicinano all’unico uomo che è rimasto per prendersi cura di loro. Il suo nome è Mohammad Alaa Aljaleel, di professione elettricista, un uomo forte, che ha fatto una scelta coraggiosa: ha deciso di non partire, di restare nel suo paese a guidare ambulanze, a portare soccorso ai feriti e ad accudire i suoi gatti e gli altri animali abbandonati al loro destino in questo triste scenario di guerra.
Avrebbe potuto trasferirsi in Turchia e sottrarsi alla violenza e agli orrori che ogni giorno incombono sulla Siria, ma ha scelto di restare, perché, per lui, come ha dichiarato in un’intervista: umanità e compassione sono le cose più importanti della vita. Quando sono partiti tutti, i gatti hanno iniziato a venire da me – ha raccontato Alaa, soprannominato “l’uomo gatto”  Alcune persone mi hanno lasciato il loro gatto perché sanno che li amo. Inizialmente si è preso cura di una ventina di gatti, ma poi il numero è cresciuto in modo esponenziale fino a diventare centinaia e per loro Alaa ha creato una sorta di santuario tra le macerie.

Dotato di un altruismo estremo, non solo Alaa si è fatto carico dei gatti della città, ma ha dimostrato anche grande sensibilità per lo stato d’animo degli umani che sono stati costretti a separarsi dai loro animali domestici, come una bambina che, prima di partire, gli ha consegnato il suo gattino e gli ha chiesto in lacrime di inviarle regolarmente delle foto. Alaa le ha promesso: Lui resterà con me e io ne avrò cura fino a quando torni e quel giorno sarà ancora tuo. Aleppo è una città distrutta dalla guerra, ove si sta compiendo quello che dal segretario delle Nazioni Unite ha definito “uno dei più grandi genocidi nella storia dell’umanità”. La scelta di Alaa è un esempio che dimostra che l’amore può ancora vincere, anche sulla guerra.

mercoledì 9 novembre 2016

ricordo di Umberto Veronesi (con le sue parole)

Ci sono parole che ho portato con me lungo tutti i giorni della mia vita. Alcune di queste mi hanno guidato e sono state l'insegnamento al quale ho attinto. "Nella letteratura universale troviamo molti predicatori, molti dispensatori di lezioni, molti censori che dispensano morale agli altri con sufficienza, con ironia, con cinismo, con durezza, ma è estremamente raro vedere un uomo mentre si sta esercitando a vivere e pensare". Questa frase del filosofo francese Pierre Hadot mi ha illuminato sul mio testamento intellettuale.

Non ho lezioni di vita o di morale né verità da tramandare, ma solo l'esperienza di un uomo che ha molto vissuto e molto pensato. Ho scritto in uno dei miei ultimi libri che sono giunto alla conclusione che il mestiere dell'uomo è pensare. Pensare autonomamente, coscientemente per costruire un sistema libero di interpretazione del mondo. Certo la nostra libertà di pensiero è limitata da scelte che non abbiamo potuto fare in prima persona: i genitori e il paese in cui nasciamo prima di tutto. Tuttavia dobbiamo ampliare la nostra autonomia adottando il dubbio come metodo.

Ai miei giovani medici ho sempre fatto una raccomandazione. Siate dubbiosi e siate trasgressivi, se trasgredire significa andare oltre limite del dogma o la rigidità della regola. Guardate all'esperienza della mia lunga vita: senza dubbio e senza trasgressione non avrei visto (e contribuito a provocare) i progressi nella lotta al cancro, l'evoluzione del ruolo delle donne, l'affermazione della libertà di amare, avere figli e vivere la propria sessualità, il tramonto del razzismo, la nascita del senso di sostenibilità ambientale e il rispetto per l'armonia del pianeta e per tutti gli esseri viventi. È vero anche che non ho visto, come da giovane ho sperato, la sconfitta del cancro e neppure la fine della violenza delle guerre e della fame nel mondo. E questo mi rammarica profondamente.

In tanti vorranno sapere se in questo mio riflettere, e studiare, e impegnarmi incessantemente per tante cause ho trovato il senso della vita. Sì, ho una risposta: la vita forse non ha alcun senso. Ma proprio per questo passiamo la vita a cercarne uno. L'importante non è sapere, ma cercare. Sconfiggere l'ignoranza sia il vostro impegno primario, perché l'ignoranza non ci dà alcun diritto. Continuate a cercare fino alla fine, con la consapevolezza che non potete fare a meno del bene e della vita.
da qui



qui qualche citazione 

In volo col drone sulle foreste di mangrovie a Java. Che rischiano di sparire – Jacopo Pasotti



 Il volo del drone attraverso le pianure costiere dell'isola di Java mostra senza alcuna clemenza il risultato di trent'anni di espansione della aquacoltura a scapito dell'ecosistema delle mangrovie. In meno di un secolo sull'isola indonesiana è scomparso almeno il 70% delle foreste di mangrovie. Secondo le recenti stime riportate dall'ecologo Muhammad Ilman della Università del Queensland (Australia) in uno studio pubblicato su Landuse Policy quest'anno, l'Indonesia possedeva almeno fino al 1800 circa 4.2 milioni di ettari di foreste di mangrovie, oggi ne rimangono tra 2.8 e 3.2 milioni di ettari. In tutto l'Indonesia avrebbe dunque perso il 22% delle mangrovie, con una impennata negli ultimi 30 anni (sul dato incide Papua, dove per il momento il disboscamento è stato solo del 6% delle foreste)…
continua qui

giovedì 3 novembre 2016

Benin, il villaggio sotterraneo che rimette in moto la Storia - Antonella Sinopoli



Africa da scoprire. Il continente africano – nonostante si pensi forse il contrario –  è rimasto praticamente inesplorato (e, sotto questo aspetto, trascurato), soprattutto a Sud del Sahara.
A parte le razzie di opere del passato, oggi “custodite” nei più grandi musei al mondo e quelle delle risorse naturali, rimane nell’ombra e nascosta buona parte della storia dell’epoca pre-coloniale ma anche quella molto, molto più addietro.
L’archeologia in Africa ha privilegiato il periodo preistorico, anzi si è concentrata a lungo solo su quegli aspetti che riguardano l’evoluzione degli esseri umani. Questo ha reso difficile doversi ricredere su quel pregiudizio che vuole che il continente non abbia sviluppato opere, manufatti e culture senza bisogno di attendere gli arabi o gli europei. E che vuole che gli africani siano rimasti in uno stadio infantile, di sottosviluppo e privi di storia (parole del razzista ante litteram, il filosofo tedesco Hegel) fino all’arrivo dei colonizzatori.
Sul sito di History List che presenta “10 incredibili siti archeologici in Africa” c’è una frase che ingenuamente manifesta un razzismo radicato e strutturale. La frase è: “I siti archeologici in Africa hanno aiutato a spiegare alcuni dei più grandi misteri nella storia dell’umanità ma ce ne sono anche molti che stupiscono gli scienziati moderni. Questo perché non si presupponeva che tali antiche società fossero così avanzate“. Inutile dire che i 10 siti che hanno lasciato con la bocca aperta gli scienziati sono una infinitesima parte di altri che stanno venendo alla luce e di chissà quanti ancora ancora celati.
Oggi, per fortuna, c’è del movimento e anche sul web è possibile trovare aggiornamenti su studi e … lavori in corso. Uno dei pochi modi per rimanere aggiornati visto che certe informazioni vengono spesso custodite e trasmesse solo tra gli addetti ai lavori. Uno dei siti/archivio è The World Wide Web Library of African Archaeology.
Molte delle scoperte fatte finora nell’Africa Sub-Sahariana, sono state quasi sempre frutto del caso. Come quello che ha portato recentemente alla luce in Benin una città sotterranea, risalente a un periodo in cui il Paese si chiamava ancora Dahomey e vi regnavano re potenti e orgogliosi.
La scoperta – di quello che è stato poi chiamato Villaggio sotterraneo di Agongointo – si deve a operai di una ditta danese che stavano lavorando alla costruzione di una strada nell’area di Bohicon. Un mezzo finì in una sorta di botola che in realtà altro non era che una delle migliaia di cunicoli che formano la città sotterranea. I primi scavi parlavano di un periodo compreso tra il 1600 e il 1700 ma successivamente si è capito che le costruzioni erano anche antecedenti, al XV-XIV secolo.
Ingresso di uno dei rifugi sotterranei portati alla luce. Foto tratta dal web
Costruite a circa dieci metri dalla superficie le “case” servivano da nascondiglio e strategia di guerra per i soldati dei re ma erano strutturate come vere e proprie abitazioni, con delle salette e due aree circostanti per raccogliere l’acqua con un sistema di filtraggio naturale, il che consentiva di rimanere nascosti per periodi anche lunghi.
Il luogo dove è avvenuta la prima scoperta. Foto tratta dal web
Gli scavi del sito – ora sotto nella lista dell’UNESCO – hanno contribuito a portare alla luce anche un’altra scoperta – ancora più stupefacente del villaggio sotterraneo. Si tratta di scorie di materiale ferroso che – secondo rilevazioni al carbonio 14 – risale a prima del 1000 a.C. Una scoperta che potrebbe cambiare – e forse lo ha già fatto – la storia del continente, e non solo.
A Bohicon abbiamo incontrato la guida – e studioso – che fin dal primo momento ha seguito gli sviluppi degli scavi e dei successivi ritrovamenti. Lasciamo raccontare a lui – nell’intervista/video che abbiamo realizzato sul posto – il valore e il significato di questa scoperta. Che ancora non è conclusa.
Si tratta – dice Théodore Atrokpo – della più antica città al di là di quelle che esistevano in Egitto“. La più antica dell’Africa Sub-Sahariana.



da qui

mercoledì 2 novembre 2016

quanto costa una maglietta



La Giunta Pigliaru persevera per il nuovo Editto delle Chiudende, il Consiglio regionale la segue. Non solo per “salvare” i tabacchini, per passare alla storia

Altro che un qualsiasi vicere sabaudo ottocentesco, nella Sardegna del XXI secolo si fa sul serio.
La Giunta Pigliaru, con la deliberazione n. 57/13 del 25 ottobre 2016 ha approvato il disegno di legge regionale (testo + relazione illustrativa) concernente “Disposizioni urgenti in materia di usi civici. Modifiche all’articolo 18-bis della legge regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda)”, ovviamente con la massima trasparenza, il più profondo buon senso, la più ampia condivisione con la cosiddetta società civile, la più strenua attenzione alla tutela ambientale e degli interessi pubblici delle collettività locali.
D’altra parte, non potrebbe attendersi di meno da una Giunta regionale di centro-sinistra, autonomista, nonché sovranista.
Tutto questo è molto bello, ma la realtà è diversa. Molto meno oleografica. E stavolta non l’han creata i soliti berlusconiani.
In pratica, la Giunta Pigliaru ha proposto che i terreni appartenenti ai demani civici siano sclassificati – cioè sdemanializzati – ma la perdita della tutela paesaggistica di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. sarebbe sospesa in attesa delle verifiche svolte dal Ministero per i beni e attività culturali e del turismo e della Regione nell’ambito degli accordi di copianificazione propri della pianificazione paesaggistica.
Un pastrocchio sul piano giuridico (non si comprende a qual titolo quelle aree rimarrebbero tutelate con il vincolo paesaggistico pur avendo perso la qualifica demaniale civica), un vero e proprio furto ai danni delle collettività locali, che sarebbero depauperate di terreni del proprio demanio civico senza nulla ìn cambio.
Ricordiamo, infatti, che i titolari dei diritti di uso civico sono i cittadini residenti in un dato Comune, non il Comune.
La Giunta Pigliaru – stranamente su impulso dell’Assessore degli Enti locali, Finanze, Urbanistica Cristiano Erriu anzichè della “collega” Elisabetta Falchi, Assessore dell’Agricoltura competente in materia di usi civici –  ha proposto e lo stesso 25 ottobre, in seduta notturna resa possibile dall’accordo di tutti i capigruppo delle formazioni politiche consiliari (art. 102 del Regolamento interno), il Consiglio regionale – ha approvato.[1]
Di notte, di soppiatto, in silenzio.
Perché il portato … degli usi civici … blocca in Sardegna molte iniziative degli enti locali”, come ha affermato l’on. Attilio Dedoni (Roformatori Sardi) e “ci sono tabacchini, ristoranti, bar che stanno sugli usi civici e su terreni gravati da uso civico”, come ha sottolineato l’on. Marco Tedde (Forza Italia).
Gli attuali Giunta e Consiglio regionali non vogliono soltanto salvare i tabacchini dagli usi civici, vogliono a tutti i costi passare alla storia, vogliono un nuovo ignobile Editto delle Chiudende, nonostante il precedentesia sotto giudizio della Corte costituzionale e nonostante la recente decisione categorica già attuata dalla stessa Corte costituzionale.
Ricordiamo, infatti, che il Governo Renzi ha deciso (10 giugno 2016) di impugnare (art. 127 cost.) davanti alla Corte costituzionalela legge regionale 11 aprile 2016, n. 5  (finanziaria 2016), fra cui le norme (art. 4, commi 24°, 25°, 26° e 27°) che dispongono nuove ampie ipotesi di sdemanializzazione di terreni a uso civico dai demani civici (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i., legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.).
Questo il precedente Editto delle Chiudende, contro il quale l’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus aveva inoltrato una puntuale e documentata istanza (18 aprile 2016) proprio per la proposizione dell’impugnativa davanti alla Corte costituzionale.
Queste norme regionali, proposte e votate da una maggioranza trasversale sovranista e di centro-sinistra, violano infatti le competenze statali esclusive in materia di tutela dell’ambiente (artt. 9, 117, comma 2°, lettera s, cost.), come già riconosciuto con la sentenza della Corte costituzionale n. 210/2014, che dichiarò illegittima la legge regionale Sardegna n. 19/2013 di analogo contenuto.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlusha espresso forte soddisfazione per la decisione governativa, in quanto da sempre difende e continuerà a difendere con una campagna permanente i demani civicie i diritti di uso civico delle collettività locali, che costituiscono circa un quinto della Sardegna, dalle vergognose operazioni speculative fin troppo spesso sostenute da iniziative politiche di ben basso profilo.
D’altro canto, davanti a simile nuova iniziativa legislativa, le cui modalità e motivazioniespresse dall’Assessore Erriu non convincono proprio, non può che proporre ulteriore istanza al Governo nazionale perché mantenga ferma l’impugnativa davanti alla Corte costituzionale in difesa degli interessi ambientali e per la tutela dei diritti di uso civico.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus avanza anche una proposta per i casi dove ci si ritrovi davanti a radicali e irreversibili trasformazioni di terreni appartenenti a demani civici, per salvaguardare valore ambientale e diritti delle collettività locali.
Eccola di seguito, utilizzabile liberamente e gratuitamente da Giunta e Consiglieri regionali. E speriamo che prima o poi giunga un sussulto di buon senso e prudenza.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus