domenica 31 luglio 2011

Freegan - Karima Isd

Come osa qualcuno mangiare cibi buoni destinati alla spazzatura? E' una pratica intollerabile per i supermercati di San Francisco, molti dei quali stanno adottando soluzioni tecniche, come lucchetti ai bidoni della propria immondizia e perfino vigilantes nelle aree rifiuti dopo le ore di chiusura, per boicottare gli approvvigionamenti dei «palombari della spazzatura». Tanto che adesso il sito dei Freegan (www.freegan.info) lancia un appello: se conoscete luoghi dai quali si può tuttora attingere, segnalateceli! Altra segnalazione sul sito: Food not Bombs distribuisce cibo stasera a... Ma come: barboni, seppur d'oltreoceano, che gestiscono un sito e trattano di cibo-non-bombe? Il fatto è che i freegan in questione non fanno parte della folta schiera di senzatetto obbligati dall'indigenza ad attingere agli altrui scarti. Sono piuttosto contestatori della (in)civiltà dei consumi e dello spreco. Mangiare rovistando nei bidoni dei negozi, ricchi non di immondizia ma di buoni alimenti invenduti prossimi alla scadenza, o approvvigionarsi dopo la chiusura ai mercatini di frutta e verdura è un'alternativa ecologica e decente al fare la spesa, in un paese dove ogni anno si gettano via 17 milioni di tonnellate di cibo ancora buono. Ce n'è così tanto che gruppi di solidarietà chiamati Food Not Bombs (Cibo, non bombe), ormai diffusi in tutto il mondo e anche in Italia, lo cucinano e lo distribuiscono gratis periodicamente ai senzatetto.

Il termine freegan nasce dall'unione non casuale di: free (libero, e anche gratuito), e vegan (vegano, che si nutre solo di vegetali). La scelta non è solo dovuta al fatto che i prodotti animali si deteriorano molto più facilmente, ma in genere anche a ragioni ideali, fra cui l'ecologismo nei consumi e il rispetto dei viventi. Ecco come si autodefiniscono i freegan: «Persone che usano strategie di vita alternative fondate su una partecipazione quanto più possibile limitata all'economia convenzionale e sul consumo minimo di risorse. Un'alternativa al sistema di spreco, a partire dal cibo gettato via mentre intere popolazioni mancano del necessario». Dunque, meglio minimizzare gli acquisti, giusto recuperando quel che il sistema rigetta...

vegetariani nel mondo

Nei paesi più agiati, dove il modello alimentare è una scelta, quanta parte della popolazione si astiene stabilmente dal consumo di animali? La loro aggregazione europea, l'European Vegetarian Union (Evu), il cui IX congresso annuale si sta svolgendo in questi giorni a Riccione, ha dato i numeri (sul sito www.vegetarianet.com). Si va dall'8% della Germania al 6% dell'Irlanda, da un consolidato 9% della popolazione in Gran Bretagna (secondo un'inchiesta commissionata dal Daily Telegraph) al 4% di Stati uniti (sondaggio di Time/Cnn), Spagna, Romania, Canada, Austria, Paesi bassi; per arrivare ai fanalini di coda: 2% per Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Portogallo, Norvegia, 1% o meno in Polonia, Slovacchia, Danimarca... In realtà, è probabile che alcune delle percentuali più elevate si riferiscano a chi nei sondaggi si dichiara «quasi vegetariano»; sicuramente è così per l'Italia, a quota 9% secondo il sondaggio Ac Nielsen di un anno fa. Ma certo l'Occidente vede una lenta transizione da una dieta altamente carnea al piatto vegetale, anche «grazie» a epidemie e scandali. Disparati i vantaggi, e il congresso dell'Evu li sta passando in rassegna in questi giorni, con partecipanti da 20 paesi, relatori internazionali e menù deliziosi. Primo vantaggio, meno animali prigionieri degli allevamenti e avviati ai macelli. Un altro vantaggio è che si riducono il consumo di petrolio, la distruzione delle foreste equatoriali, l'inquinamento delle acque, l'effetto serra (per mutare il modello agricolo, però, è anche necessario che i veg - vegetariani e vegan, che sono lo stadio successivo della scelta senza carne - consumino bio; o non si uscirà dal circuito dell'agricoltura chimica basata su sostanze sintetizzate dal petrolio e biocidi). La dieta senza animali porta poi vantaggi per la distribuzione delle risorse a livello internazionale: gran parte dei terreni coltivabili nel mondo è destinata alla produzione di alimenti per gli animali allevati anziché a nutrire direttamente gli animali, e la resa energetica e proteica è in genere scarsa.

Ormai documentati sono i benefici che una dieta vegetale procura alla salute umana, come spiegano fra gli altri i medici italiani, pediatri e neurologi, nutrizionisti e geriatri, della Società scientifica di nutrizione vegetariana (www.scienzavegetariana.it) e quelli statunitensi del Physicians Committee for Responsible Medicine (www.pcrm.org), il cui consigliere Colin Campbell ha diretto uno studio epidemiologico (definito dal New York Times «il migliore e più esteso sulle correlazioni fra dieta e malattie») sul disastroso impatto sanitario delle mutate abitudini alimentari in Cina: sempre più carnivore.

Già, nel Sud del mondo il consumo di carne e pesce presso le classi medie aumenta e conseguentemente crescono gli allevamenti intensivi di terra e d'acqua. Per un futuro che non sia un macello, l'accento anche educativo e politico dovrà essere messo su quel mondo, diviso ora fra i «vegetariani per forza» (per ragioni di reddito) pronti a cambiare status non appena salgono di un gradino la scala sociale, e i «carnivori per censo»…

continua qui

dice Schopenauer

sabato 30 luglio 2011

Veggie Pride, qua e là






genocidi quotidiani




assassini al lavoro

Un largo tratto di foresta amazzonica, situata in una regione dove si ritiene vivano Indiani incontattati,potrebbe essere stata distrutta illegalmente con un defogliante chimico spruzzato da un aereo.

Durante un recente sorvolo di un’area dell’Amazzionia brasiliana occidentale, l’IBAMA, l’agenzia brasiliana per l’ambiente, ha scoperto una zona di 178 ettari di alberi morti.

L’IBAMA non ha confermato la causa di questa distruzione.

Gli Indiani incontattati, che si pensa vivano in prossimità dell’area, dipendono esclusivamente dal territorio per la loro sopravvivenza. Agli esterni è vietato entrare nella zona, la riserva Jacareuba/Katawixi; intanto le autorità stanno svolgendo studi per proteggere adeguatamente le terre degli indigeni.

Da quando è iniziata la costruzione di un complesso di dighe idroelettriche sul fiume Madeira, gli Indiani sono sempre più minacciati dal massiccio aumento della deforestazione nella zona...

continua qui

land grabbing in Etiopia

Un’indagine condotta da Survival International ha portato alla luce prove allarmanti del fatto che alcune tra le terre agricole più produttive dell’Etiopia sono state sottratte alle tribù locali per essere affittate ad aziende straniere. Le società che si sono accaparrate la terra, l’utilizzeranno sia per la produzione di biocarburanti sia per coltivare ed esportare prodotti alimentari mentre, contemporaneamente, migliaia di Etiopi stanno morendo di fame a causa della terribile siccità in corso.

Ad essersi accaparrate ampi tratti di terra fertile situata nell’area del fiume Omo, nel sud-ovest dell’Etiopia, sono imprese malesi, coreane e anche italiane, tra cui la Fri-El Green Power. Nonostante i 90.000 indigeni che vi abitano dipendano dalla terra per la loro sopravvivenza, i terreni saranno sgombrati per fare spazio alle coltivazioni estensive destinate all’esportazione.

Il governo sta pianificando di aumentare la quantità di terra da destinare al progetto ad almeno 245.000 ettari, di cui almeno 150.000 saranno riservati alle piantagioni di canna da zucchero...

venerdì 29 luglio 2011

Laurel pesa 90 chili, ma se ne dimentica

Decrescere dalla crisi - Serge Latouche

Che cosa è il "rigore-rilancio"? Si tratta essenzialmente di ciò che è stato proposto al summit G20 di Toronto, un programma che, contemporaneamente programma rinascita e austerità. Il primo ministro tedesco Angela Merkel ha sostenuto una vigorosa politica di rigore e austerità. Il presidente americano, Barak Obama, temendo di rompere la debole ripresa dell'economia globale e statunitense attraverso una politica deflazionistica, ha sostenuto un rilancio ragionevole. L'accordo finale è stato raggiunto su una traballante sintesi: il recupero controllato nel rigore e austerità temperata dallo stimolo. Il ministro dell'Economia francese, che non era ancora Presidente del Fmi, Christine Lagarde, poi ha arrischiato il neologismo «rilance» (contrazione di rigore e di rilancio). Così facendo seguiva le orme del consigliere del presidente Sarkozy Alain Minc il quale, alla domanda su cosa si dovrebbe fare nella situazione critica causata dalla destabilizzazione degli Stati da parte dei mercati finanziari che questi stessi Stati avevano salvato dal collasso, ha prodotto questa formula ammirevole: si deve premere sia sul freno che sull'acceleratore.

Tuttavia, denunciare il doppio inganno di questo programma è una triplice sfida per me. Primo, parlare nella sede del Parlamento europeo a Bruxelles - il tempio della religione della crescita - da una posizione iconoclasta, la decrescita, e di un argomento del quale oltretutto, di nuovo, non sono un esperto: la Grecia e la crisi del debito sovrano. Poi da una posizione di "studioso", dunque per utilizzare la distinzione e l'analisi di Weber, secondo l'etica della convinzione e non quella della responsabilità. Infine, sostenere un punto di vista paradossale: né rigore né rilancio! Nel rifiuto del rigore o dell'austerità posso almeno trovare alleati (anche se un'esigua minoranza) sia tra gli economisti, come Frederic Lordon, che tra i politici, come Mélanchon con il suo programma attuale. Il rifiuto della ripresa della crescita produttivista e l'uscita dalla religione della crescita è una posizione accettata da alcuni ambientalisti nel lungo termine, ma completamente dimenticata per il breve termine. Ed è comunque a questa triplice sfida che tenterò di rispondere, considerando le due negazioni: quella della ripresa e quella del rigore...

martedì 26 luglio 2011

La civiltà della scarpetta - Marinella Correggia

Immaginiamo «per magia» di poter dimezzare la quantità di alimenti necessaria per nutrire gli umani. Si risparmierebbe un'enormità di acqua, suolo, energia, input chimici (con la collegata contaminazione di suoli e corpi idrici) o naturali, insomma tutto quanto è utilizzato per coltivare e «lavorare» il cibo. E ci sarebbe tutto lo spazio per nutrire più che a sufficienza gli attuali 850 milioni di affamati.
Bene: da tempo sappiamo dello spreco rappresentato dall'ipernutrizione di un miliardo di persone. Sappiamodella competizione cibo-mangime-agrocarburante; secondo un riepilogo della crisi alimentare redatto dal Movimento Sem Terra, «la destinazione della produzione agricola di cereali nel 2007 è stata di 1.009 milioni di tonnellate per il consumo umano, 765 milioni di tonnellate per il consumo animale e 364 milioni di tonnellate per altri fini fra cui 90 milioni di tonnellate per gli agrocarburanti».
Ma non basta. La metà del cibo prodotto sulla Terra è gettato via. Letteralmente. Lo grida il documento «Saving Water: From Field to Fork - Curbing Losses and Wastage in the Food Chain» (Salvare l'acqua dal campo alla forchetta - ridurre perdite e sprechi nella catena alimentare). Redatto dallo Stockholm International Water Institute, dalla Fao e dall'International Water Management Institute, è stato presentato durante la Settimana mondiale sull'acqua di Stoccolma. In realtà il rapporto sottolinea come metà dell'acqua necessaria a produrre cibo sia spesa invano: «Un'accurata strategia di risparmio idrico richiede dunque che si metta al centro delle agende politiche la minimizzazione dello spreco alimentare», si legge. Anche perché sarà l'acqua il principale fattore limitante della produzione di cibo. Campi, silos, agroindustrie, navi, supermercati, mercati, cucine: in quale punto della catena alimentare svanisce tanto ben della terra? Dipende un po' dalle aree geografiche. Nei paesi impoveriti, dal 15 al 35 per cento delle derrate si perdono nei campi, a causa di parassiti o di alee climatiche; un altro 10-15 per cento si rovina durante lo stoccaggio, la trasformazione e il trasporto, per inefficienze tecniche e carenza di infrastrutture.
In Occidente le tecniche di coltivazione, raccolta, conservazione, trasporto delle derrate minimizzano per perdite. Ma lo spreco è inaudito in fase di distribuzione e consumo. Negli Stati Uniti - il top - si getta via il 30 per cento del cibo: valore in soldi 48,3 miliardi di dollari, valore in acqua (molto maggiore) 40 trilioni di litri, abbastanza per soddisfare il fabbisogno domestico di 500 milioni di persone. Così la preziosa acqua serve solo a produrre montagne di rifiuti organici, che inoltre in discarica generano metano, un potente gas serra...

estate a Dadaab



lunedì 25 luglio 2011

autosufficienza alimentare - la lezione giamaicana - Marinella Correggia

...Una bella lezione viene dalla Giamaica. Importa il 60% degli alimenti che consuma ma il ministero dell'Agricoltura vuole abbattere questa dipendenza di almeno il 45% al più presto, tanto più in tempi di prezzi elevati e restrizioni all'export da parte dei paesi grossi produttori agricoli. Cosa sta facendo quel paese per promuovere l'indipendenza (e dunque sovranità) alimentare? Ce lo spiega un reportage dell'Inter Press Service.
Di fronte all'evidente natura erratica dei mercati mondiali, l'Autorità per lo sviluppo agricolo rurale (Rada) della Giamaica ha cominciato a promuovere orti domestici, rurali e urbani, in 14 aree strategiche. Era il primo punto di un Programma nazionale per la sicurezza alimentare, lanciato due anni fa con la distribuzione di kit contenenti semi, input e guide del piccolo coltivatore. È un programma con molti attori, che va sotto il nome di campagna «Eat Jamaican» (Mangia giamaicano, e dunque produci giamaicano). L'obiettivo finale è l'accesso di tutti a cibo nutriente, a basso costo e locale.
Oggi gli autoprodotturi (per il consumo domestico e la vendita locale) sono aiutati con programmi di formazione, accesso al mercato, piccole tecnologie, e gli agrotrasformatori ottengono prestiti a bassissimo costo purché usino materie prime locali. Il processo sta andando bene: la bolletta delle importazioni alimentari è passata da 800 milioni di dollari nel 2008 a 661 milioni nel 2010. Ma si può andare oltre.
I progetti a favore di 5mila orticoltori urbani e duemila agricoltori «di campagna» sono tanti: dall'introduzione delle colture idroponiche in diverse comunità all'incremento della produzione di radici e tuberi, dal miglioramento dell'irrigazione al potenziamento delle capacità di stoccaggio alla riduzione delle perdite post-raccolto. Sul lato delle politiche commerciali, il governo è orientato a proteggere di più l'agricoltura dalle importazioni a basso costo...

tutti lo sanno


"Le inchieste condotte in molte procure distrettuali antimafia ci consentono di affermare che la criminalità organizzata sta acquisendo quote sostanziose del mercato del gioco, i cui introiti, anche quelli legali, sono in crescita. Questa sta diventato la nuova frontiera delle mafie". Lo afferma il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso...
da qui

«Il sistema è fuori controllo – spiega il senatore Luigi Li Gotti, coordinatore del comitato antiriciclaggio – visto che le macchinette in funzione illegalmente sarebbero almeno 200mila. Senza contare i cosiddetti magazzini virtuali». Ogni apparecchio dotato di nulla osta per la messa in esercizio e non ancora collegato alla rete telematica dovrebbe essere obbligatoriamente collocato in magazzino. La Sogei ha scoperto che un concessionario in provincia di Catania avrebbe immagazzinato in un esercizio pubblico circa 27mila apparecchi. Tutti insieme e nello stesso giorno.

Più si punta e più renderende. Cifre pazzesche, sempre più alte. Li Gotti prova a quantificarle. «Il mercato parallelo del gioco illegale – dichiara – vale almeno 30 miliardi e anche la Guardia di finanza informalmente parla di questa cifra».

Il business per le mafie è dunque pari alla metà delle entrate da scommesse e giochi legali. Nel 2010 il settore legale – che dà lavoro a 5mila aziende e 120mila addetti – ha raccolto infatti 61,4 miliardi, il 13% in più dell’anno precedente. Una cifra che equivale al 4% del Pil italiano o, se si preferisce, che è pari alla somma del debito finanziario dei Comuni a fine 2010. Il 52% delle entrate proviene dagli apparecchi. Il resto è frazionato tra lotterie, lotto, vari giochi di abilità, bingo e ippica...

da qui


"Io non l'avrei fatta". Il presidente della commissione parlamentare antimafia, Beppe Pisanu, si riferisce all'ultima manovra del governo ed in particolare alle norme che puntano a fare cassa attraverso le scommesse e il gioco d'azzardo. Pisanu, impegnato per un'audizione della commissione a Torino sul fenomeno della criminalità organizzata in Piemonte, lancia un allarme preciso contro macchinette, slot machine e siti on-line: "Per ogni euro che entra nelle casse dello Stato proveniente dal gioco lecito, ce ne sono almeno altri dieci che finiscono nelle casse della criminalità organizzata, da gioco lecito e illecito". E ha aggiunto: "Lo stato biscazziere esiste dall'XI secolo - ha dice Pisanu - bisogna però sottoporre il settore a controlli più severi. Non siamo in grado di sanzionare le società che promuovono giochi che arrivano via internet su piattaforme dall'estero. In Francia non è consentito. Occorre disciplinare in modo molto più severo questo settore senza dimenticare le conseguenze sociali: le ludopatie sono una malattia sociale che colpisce soprattutto i più deboli e i giovani. Noi abbiamo i picchi più alti delle scommesse nei giorni a ridosso del ritiro delle pensioni. E nei casi di crisi questi fenomeni si accentuano".

Quella del gioco d'azzardo è l'ultima frontiera dell'investimento delle mafie, oltre all'usura, al racket, alla droga. È uno dei canali del riciclaggio del denaro sporco, anche in Piemonte, dove la 'ndrangheta "ha un fortissimo insediamento, rappresenta il 90 per cento dell'attività della criminalità organizzata con sinergie con nuclei storici di Cosa nostra"...

sabato 23 luglio 2011

antibiotici e batteri

...Secondo l'Oms ogni anno nell'Unione europea 25mila persone muoiono per infezioni da batteri antibiotico-resistenti. Il motivo è arcinoto: il nostro uso eccessivo di antibiotici. Quelli che consumiamo direttamente, anche quando non è necessario, e soprattutto quelli dati agli animali che poi mangiamo: l'uso massiccio di antibiotici negli allevamenti è riconosciuto dall'Oms come una delle principali cause della comparsa di batteri resistenti.
Per questo è allarmante la notizia pubblicata ieri dal quotidiano britannico The Independent: negli allevamenti del Regno unito l'uso di antibiotici è aumentato negli ultimi dieci anni. In particolare, è aumentato di otto volte l'uso sugli animali di tre classi di antibiotici considerate dall'Oms «di importanza critica nella medicina», le cefalosporine, i fluorochinoloni e i macrolidi (l'aumento è ancora più impressionante perché si tratta di quantità assolute, mentre nel frattempo la popolazione animale negli allevamenti è calata: del 27% i suini, 10% i bovini e 11% il pollame). Solo un mese fa scienziati britannici hanno individuato nel latte bovino un nuovo batterio Mrsa, ovvero Staffilococco aureo meticillino-resistente: per il momento questo viene ucciso nella pastorizzazione del latte, ma si teme che prima o poi passi agli umani, come già molti altri . In generale, è attribuito all'uso di antibiotici la comparsa negli allevamenti di ceppi di e-coli e di salmonelle resistenti.
I dati dell'Independent si riferiscono al Regno Unito, ma danno da pensare. Gli antibiotici sono conseguenza dell'allevamento sempre più intensivo (più le bestie sono sovraffollate, più si ammalano, più tonnellate di farmaci sono aggiunte ai loro mangimi), ma è ben questo che permette agli allevatori di mantenere basso il prezzo della carne (o pesce) e restare «competitivi»: le «forze del mercato» spingono per gli antibiotici. La Gran Bretagna è l'unico caso in Europa dove le case farmaceutiche possono reclamizzare e vendere direttamente agli allevatori. Anche altrove però non si va oltre le «raccomandazioni». Solo l'uso di antibiotici come «promotori della crescita» degli animali è vietata, dal 2006, in tutta l'Unione europea. Ma solo Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia hanno limitato l'uso di antibiotico negli animali ai casi di effettiva malattia, con l'obbligo di prescrizione medica. Dobbiamo concluderne che le «forze del mercato» minacciano la salute della specie umana?
da qui

patata, cibo del futuro

Si è fatto molto sarcasmo sul 2008 proclamato dall'Onu «anno internazionale della patata». L'inflazione cervellotica delle dediche si presta a facili ironie e a maliziosi interrogativi su chi ha avuto la brillante idea (in questo caso, il Perù che produce un centinaio di specie diverse di patate). E invece con i prezzi dei cereali alle stelle, «l'umile tubero» - come lo definisce la Fao - si sta prendendo la rivincita.
Solo una frazione della produzione di patate finisce sui mercati internazionali. Per questo il loro prezzo risente poco o niente delle tensioni dell'offerta e della domanda globali o delle puntate finanziarie sui futures. A determinare il prezzo sono i costi locali di produzione. Basterebbe questo per capire perché la Fao raccomanda la patata come scudo protettivo dei piccoli agricoltori a basso reddito e dei consumatori dei paesi poveri. In più, è un concentrato di carboidrati, con l'aggiunta di proteine, vitamina C e potassio, che sfama. Cresce più velocemente dei cereali, ha bisogno di meno terra e di meno acqua, l'85% della pianta è buono per l'alimentazione umana (contro il 50% dei cereali). Ecco perché la patata si merita il titolo di «cibo del futuro»...

In Perù, ormai da due anni, il 30 maggio si festeggia la patata, alimento tipicamente andino il cui centro di origine è stato individuato negli anni trenta dal botanico russo Nicolaj Vavilov. Ma l'umile tubero è molto più antico, risale a 8000 anni fa, e lo conferma anche una recente ricerca di David Spooner, del Dipartimento di agricoltura statunitense: l'anno scorso - dopo uno studio su 261 varietà silvestri e 98 varietà coltivate - ha confermato che l'area di origine del Solanum tuberosum si trova tra le regioni di Cuzco e Puno, e che le prime coltivazioni di patate erano situate nei dintorni del lago Titicaca, all'attuale frontiera tra Perù e Bolivia. Al tempo delle culture pre-ispaniche, il tubero giocò un ruolo importante nell'alimentazione indigena e popolare. I primi a addomesticare varietà di patate selvatiche furono le comunità andine di Puno, che riuscirono a disidratare i tuberi per trasformarli in polvere di chuño e poter così conservare il prezioso alimento anche per lunghi periodi.
Ma il significato della patata, nel mondo pre-ispanico, trascende da quello economico o nutrizionale per trasformarsi in un elemento che spiega la cosmovisione andina e lo sviluppo di quella società. All'epoca il tubero era così presente nella vita quotidiana degli indios che, tra le unità di tempo impiegate, una addirittura equivaleva alla durata di cottura di una pentola di patate. Ciononostante l'abitudine alimentare di mangiare patate in Perù, col passare dei secoli, è molto diminuita, fino ad arrivare ad un consumo annuale procapite di 87 chili. Così ora festeggiare il tubero con tanto di decreto istituzionale è un modo per promuoverne un consumo maggiore e prepararsi alla celebrazione dell'anno internazionale della patata, indetto per il 2008 dalla Fao, l'Organizzazione dell'Onu per l'agricoltura e l'alimentazione. «Ospite speciale» sarà non a caso il Perù, perché è il paese andino che ospita l'Arca dei tuberi, il Cip (Centro internacional de la papa), dove se ne conservano 3.900 distinte varietà, delle 7.500 esistenti in tutto il mondo, di cui 1.950 sono silvestri. Una riserva strategica per l'agricoltura e l'alimentazione mondiale. Che si presti a mille fantasie dell'arte culinaria infatti non v'è dubbio, ed è anche ricca di carboidrati, amido e fibre. Ma non è solo per questo che la patata sta diventando la protagonista di tanti spot pubblicitari, anche da noi...


mercoledì 20 luglio 2011

lo chiamano gioco


ma è una malattia, una droga, e conosciamo gli spacciatori - francesco


In una nota Libera. Associazione, nomi e numeri contro le mafie commenta l'entrata in vigore del via libera da parte dello Stato al gioco d'azzardo online.
" Da oggi per legge si può diventare malati d'azzardo. Siamo davanti ad una palese contraddizione del Governo, da un lato pochi giorni fa la commissione Antimafia denuncia il legame sempre più stretto tra gioco d'azzardo e criminalità organizzata, e dall'altro per legge si da via libera allo stesso gioco d'azzardo online. Nel nostro paese il gioco d'azzardo colpisce una fascia di popolazione che va dai 15 agli 80 anni, ma preoccupa soprattutto perché incide sulle fasce di età giovanile che sono più' esposte al mezzo telematico ed hanno molto più facilità d'accesso che non siano i classici tavoli verdi. Il gioco d' azzardo comporta risvolti patologici, perché crea dipendenza in una fascia non esigua di giocatori, presentando aspetti sociali perché' di fatto costituisce una vera e propria tassa sui poveri che si illudono di far quadrare i propri bilanci tramite scorciatoie. E non da ultimo comporta anche aspetti criminali perché non solo ad ogni espansione del gioco legale si avverte anche un espansione del gioco illegale , ma soprattutto perché crea indebitamento e quindi ricorso a fonti di denaro illecito e alla pratica sempre più' diffusa dell'usura.."
"Ricordiamo- prosegue Libera- che ogni volta che vengono immessi nuovi giochi aumentano il numero dei giocatori e delle giocate quello di coloro che cadono nella dipendenza. Escluse le sostanze, la dipendenza dal gioco d'azzardo è infatti la prima dipendenza in assoluto. Il compito della società- ha concluso Libera-, è dare una risposta chiara, ferma e coraggiosa sul piano culturale, etico ed educativo, ma anche sul piano legislativo e politico. E la decisione del Governo sembra andare in direzione opposta".

da qui




S.Mu.G.A.P.
Servizio Multidisciplinare
Gioco d'Azzardo Patologico

direttore: Dr. Michele G. Sforza
coordinatore:
Dr. Stefano Oliva
SOMMARIO
1Che cos'è il gioco d'azzardo
2Breve storia del gioco d'azzardo
3Gioco d'azzardo: vizio o malattia?
3.1
Il vizio e la malattia
3.2
Quando il vizio diventa malattia?
3.3
Perché questo accade?
4Che cos'è il Gioco d'Azzardo Patologico
5Chi sono i giocatori patologici
6Che cosa prova il giocatore d'azzardo
7Perché si continua a giocare
8I sintomi del Gioco d'Azzardo Patologico
8.1
I sintomi
8.2
L'astinenza
8.3
Le conseguenze del Gioco d'Azzardo Patologico
9Evoluzione del Gioco d'Azzardo Patologico
10Come riconoscere il giocatore patologico
11Si può curare?
12Come curarlo
13Il nostro programma di trattamento.

da qui

martedì 19 luglio 2011

L'imbroglio dei biocarburanti

…Se l'intenzione era quella di ottenere combustibili più puliti, allora stiamo commettendo errori in qualche punto della catena di produzione, visto che in questo processo si smaltiscono e si bruciano boschi per fare spazio a una varietà di monocolture che possano poi essere sfruttate dall'industria dei biocombustibili. Smaltimento e incendio aumentano le emissioni di CO2, in quantità maggiore rispetto a quelle prodotte dalle automobili.

Un altro problema della produzione di biocombustibili è che questa può mettere in pericolo la qualità dell'acqua [video sottotitolato in inglese] e indebolire la riforma agraria che ancora deve essere completata nel paese…

da qui

“Metti una tigre, in estinzione, nel motore”. Lo slogan, contenuto nell’ultimo rapporto di Greenpeace, fotografa un paradosso ambientale. Una buona azione ecologica – la normativa europea che obbliga ad usare almeno il 10 per cento di biocarburanti – rischia di trasformarsi in un boomerang che incentiva la deforestazione, accelerando la perdita di biodiversità e il caos climatico. Come? Grazie a un trucco naturalmente.


La prima trappola possibile è stata evitata dall’Unione europea. Temendo che per ottenere le piante da cui estrarre i biocarburanti si aggravasse la pressione che restringe il manto verde del pianeta, Bruxelles ha vietato di utilizzare biocarburanti che provengano dal cambio diretto di destinazione dell’uso dei suoli: togliere foresta pluviale per far spazio a soia, colza e palma da olio da trasformare in carburanti è un danno ambientale che evidentemente non può essere incentivato.

Ma, fatta la legge, è stato trovato il raggiro: si chiama cambio indiretto di destinazione. E’ il gioco delle tre carte. Si prende un terreno coltivato a fini alimentari e lo si destina a colture energetiche. A questo punto, ovviamente, manca il suolo in cui seminare le piante necessarie a fornire il cibo. Dove trovarlo? Erodendo la quota di foresta ancora intatta. Si ritorna così al paradosso del danno ecologico incentivato.

Per bloccare questo sistema, il rapporto di Greenpeace (“La benzina verde minaccia clima e foreste”) ha fatto un’analisi della situazione attuale proponendo un’alternativa: “Gli italiani che vanno in vacanza usando la macchina fanno il pieno di cambiamenti climatici, deforestazione ed estinzione di specie", ricorda Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace. “Abbiamo analizzato i combustibili utilizzati nei paesi europei e abbiamo scoperto che in Italia c’è il record di consumo di olio di palma, una delle colture a più alto impatto ambientale: nel nostro paese il biodiesel viene prodotto prevalentemente con materia prima d’importazione”…

continua qui




lunedì 18 luglio 2011

farfalle

Scomparse quasi del tutto le lucciole, in crisi di sopravvivenza le api, le delicatissime farfalle non vanno dunque incontro a una sorte migliore, tanto che il WWF le ha inserite nella lista rossa degli animali da salvaguardare. La monarca infatti è solo la più famosa e studiata, ma la lista dei lepidotteri in via d'estinzione o già scomparsi è lunga. Le specie diurne, che gli anglosassoni chiamano "butterflies", sono circa 28mila, "ma quante siano davvero a rischio - precisa Sbordoni - nessuno lo sa. Su un totale di 52 specie inglesi, due si sono localmente estinte negli ultimi decenni, la Maculinea arion e la Lycaena dispar, e altre due sono state dichiarate estinte in Francia, due nel Sudafrica e una negli Stati Uniti. In Italia c'è un forte declino in molte aree, dalla Pianura Padana alle aree costiere".

La prima farfalla dichiarata estinta è stata la Xerces Blue, che un tempo volteggiava tra i cieli della baia di San Francisco. L'ultimo esemplare è stato segnalato nel 1941 e ora ne restano alcuni spillati in qualche museo. Da allora sono state tante le specie che hanno seguito il destino dell'insetto californiano. "In Europa - spiega Gianumberto Accinelli, entomologo di Eugea (Ecologia Urbana Giardini E Ambiente) - sono almeno quattro quelle sparite di recente: la Aricia hyacinthus, la Tomares nobeli, la Pieris wollastoni e la Lycaena helle, chiamata anche "violet copper". Da noi, il bellissimo Parnassio apollo, uno dei simboli della Alpi, è sempre più raro, come è raro il licenide Lycaena dispar, una volta comune nelle zone umide. Anche la più bella farfalla italiana, il macaone, è sempre più difficile vederla"…

da qui

attenti anche alle angurie!

La provincia cinese dello Jiangsu è stata al centro dell'attenzione dei media quando, pochi mesi fa, è stato reso noto che i suoi agricoltori erano stati interessati dal problema dei “cocomeri esplosivi”, dovuto all'eccessivo impiego di prodotti chimici. Il 5 luglio 2011, il Ministero dell'Agricoltura ha dichiarato che il potenziatore di crescita chimico per i cocomeri è sicuro, visto il basso livello di residuo tossico rilevato.

Il Ministero ha anche affermato che se in Cina l'utilizzo di prodotti chimici per la crescita fosse proibito, gli effetti si ripercuoterebbero sull'intero settore agricolo.

Stando a quanto compare su Hutong, nel sommario delle notizie, i cocomeri sono esplosi nei campi come palloncini. Il potenziatore di crescita coinvolto nella vicenda è il forchlorfenuron [en], legale anche negli Stati Uniti; poichè questo potenziatore di crescita priva il frutto del suo sapore, gli agricoltori hanno dovuto “arricchire” i cocomeri con dolcificanti e coloranti chimici

continua quiLa provincia cinese dello Jiangsu è stata al centro dell'attenzione dei media quando, pochi mesi fa, è stato reso noto che i suoi agricoltori erano stati interessati dal problema dei “cocomeri esplosivi”, dovuto all'eccessivo impiego di prodotti chimici. Il 5 luglio 2011, il Ministero dell'Agricoltura ha dichiarato che il potenziatore di crescita chimico per i cocomeri è sicuro, visto il basso livello di residuo tossico rilevato.

Il Ministero ha anche affermato che se in Cina l'utilizzo di prodotti chimici per la crescita fosse proibito, gli effetti si ripercuoterebbero sull'intero settore agricolo.

Stando a quanto compare su Hutong, nel sommario delle notizie, i cocomeri sono esplosi nei campi come palloncini. Il potenziatore di crescita coinvolto nella vicenda è il forchlorfenuron [en], legale anche negli Stati Uniti; poichè questo potenziatore di crescita priva il frutto del suo sapore, gli agricoltori hanno dovuto “arricchire” i cocomeri con dolcificanti e coloranti chimici

continua qui

venerdì 15 luglio 2011

Cosa vuol dire essere sardo? - Alessandro de Roma

Una settimana di Sardegna sarebbe di per sè una cosa molto bella. Soprattutto se si è sardi e quindi tornare significa, non solo godere del mare e dei paesaggi, ma anche rivedere amici e luogi ai quali si è molto affezionati. Peccato solo che esista il fondamentalismo sardo a rendere agrodolci certi momenti.

Quello strano miscuglio di complesso di inferiorità e sciovinismo estremo che rende spesso i sardi del tutto immuni all’autocritica (e invece vulnerabili a qualunque abuso di potere di tipo coloniale). Fessi e contenti, per così dire.

Qualche esempio? In Sardegna si mangiano solo cose genuine, guai a dire il contrario. Guai a pensare che così non sia.

Peccato che in Sardegna sia difficile anche solo trovare uova di galline allevate a terra, o reparti di frutta e verdura con prodotti locali. La frutta e la verdura sono rigorosamente confezionate in scatole di plastica e/o polistirolo e di solito importate da luoghi lontani. Lavate a casa con cura (perché va bene che è tutto genuino, ma non si sa mai…) e mangiate poi in piatti di plastica (credo che la Sardegna sia il luogo al mondo in cui i piatti di plastica siano più utilizzati).

Così, nella corrotta e impura Costa Azzurra in cui abito, io mangio le zucchine e le cipolle del contadino che vende al mercato rionale di Saint Roch i prodotti del suo orto (e me li vende a un euro il chilo, ancora con la terra sopra), mentre in un qualunque paese dell’interno della Sardegna compro pesche spagnole, banane Del Monte e Ananas del Costarica, a prezzi impossibili: tutto già tagliato e sbucciato a migliaia di chilometri di distanza. A meno che non abbia la fortuna di avere una zia con l’orto. Cosa che però è sempre più rara e, ai turisti, di solito non capita: così che lasceranno l’isola pensando di essere stati a Los Angeles e non a Putzu Idu.

Perché smentirli? Ci piace che tornino a casa con la convinzione di essere stati a Los Angeles...

continua qui

Land grabbing in Sardegna

Con la delibera fiume del 1° di giugno, la giunta della Sardegna “stabilisce che nella aree degradate, fino al venti per cento della superficie complessiva può essere destinata agli impianti fotovoltaici” scrive G. M. Bellu su Sardegna 24 del 14 di luglio.

Aggiunge poi: “Si scopre che la delibera quintuplica il territorio a disposizione (…) prefigura un bisogno di energia abnorme rispetto al fabbisogno.” Il tutto naturalmente giustificato con gli obblighi di Kyoto, con la vittoria sul referendum contro il nucleare, con i programmi europei di riduzione della CO2, con i posti di lavoro che potrebbero sorgere. Peccato che ogni struttura, ogni pannello verrà importato, che a noi resteranno solo gli stipendi degli operai, non certo quell’otto per cento di remunerazione del capitale. Cifra altissima di questi tempi. In realtà una nuova servitù che si aggiunge alle altre. Con questa delibera la Sardegna si allinea a quanto sta capitando in Africa, Asia e America Latina, anche in Europa: in Ucraina.

Migliaia di ettari che vengono venduti o dati in concessioni centenarie alla Cina, all’India, ai Paesi Arabi, al Giappone e Corea del Sud per la produzione di cibo o per lo sfruttamento delle risorse minerarie. Il fenomeno che è stato definito di Land Grabbing, furto di terra. Un ritorno alla politica delle enclave del periodo coloniale e post- coloniale. La giunta che si comporta come le élite dei paesi in via di sviluppo. Svende il proprio territorio, l’unica ricchezza vera e salda, ai fondi sovrani, agli speculatori, ai fondi di investimento che trattano capitali di oscura origine. Delibera secretata, come tante altre, in modo che i Sardi non sappiano di essere stati messi sul mercato al migliore offerente.

E’ in atto una colossale svendita del territorio dell’isola, dalle coste, dove si autorizzano ampliamenti dentro la fascia dei 300 metri, alle aree industriali ed artigianali e, con un silenzio ancora maggiore, delle aree agricole, dove emissari di sconosciuti investitori sono disposti ad acquistare aziende agricole in crisi. Su questo sito molti hanno, ormai da due anni, lanciato l’allarme. La crisi della pastorizia è crisi dei Sardi, del loro presente ma soprattutto del loro futuro. E’ in atto un furto con destrezza. L’impossibilità di molti di onorare le ingiunzioni di pagamento di Equitalia, sta facendo precipitare questo stato di cose.

Il governo dei Sardi è partner in crime, come dicono gli americani. Infatti agisce in silenzio, le loro decisioni si scoprono per caso, come quando si rientra a casa o in azienda e si scopre di essere stati visitati dai soliti ignoti. Tutto questo mentre nel mondo il prezzo dei terreni fertili aumenta costantemente. La questione della sovranità alimentare è la questione strategica. Un mondo che tra trentanove anni, praticamente domani, sarà popolato da nove miliardi di individui. Già oggi la Sardegna importa circa il novanta per cento del suo fabbisogno alimentare. Basterebbero tre settimane di interruzione dei trasporti aerei e marittimi per essere letteralmente alla fame. Di tutto ciò non vi è nessuna consapevolezza.

Le classi dirigenti dell’isola hanno abdicato a immaginare un futuro per la nostra terra. A loro interessa solo il loro vantaggio immediato e quello dei gruppi che rappresentano. “I Sardi sono un problema” ebbe a dire Ugo Cappellacci con Denis Verdini. Del problema stanno deliberatamente disfacendosene: con la crisi, i trasferimenti negati, il credito verso lo stato italiano che aumenta ogni giorno di più. I Sardi è bene che emigrino e quelli che restano che si “desardizzino”, che perdano la loro lingua, che si omologhino, che si trasferiscano sulle coste.

Possono rimanere i gruppi folk che allietano la “serata sarda” nei villaggi in costa. Un destino da nativi americani, o da abitanti delle isole oceaniche che attendono i turisti regalando corone di fiori e danze Hula. Un destino da cumbidadòres de pirichitos su Scintu e Dimonios. Pirichitos fatti con mandorle turche e iraniane, naturalmente. A loro la Sardegna, quella sì, che interessa veramente, è il suo territorio l’oggetto di tanto desiderio per poterne disporre come più gli aggrada. Peccato che non possano fare come gli inglesi con l’isola di Diego Garcia, trasformata in gigantesca portaerei nell’Oceano Indiano e gli abitanti trasferiti altrove. L’avrebbero fatto se avessero potuto...

da qui

dal rubinetto

Passa per vari punti il rinnovato legame che i cittadini italiani stanno stabilendo con l'acqua. Per i referendum, attraverso i quali l'hanno dichiarata fuori dal mercato e dalle mani dei privati. Ma anche per il consumo sempre maggiore diacqua del rubinetto, che ci toglie l'odioso primato di maggiori consumatori al mondo di acqua in bottiglia.

È di pochi giorni fa lo studio pubblicato da Istat e Acqua Italia secondo cui il 74 per cento degli intervistati ha dichiarato di bere l'acqua 'del sindaco', con un incremento di quattro punti percentuali rispetto al 2006, mentre un buon 46 per cento ha sostenuto di berla 'sempre'. Un cambiamento di tendenza, che vede in netto calo le acque minerali, che sono passate dal un 2000 in cui il 67,6 per cento del campione dichiarava di berle, ad un 2009 in cui le bevono solo il 63,4.

I motivi di questo cambiamento sono svariati, dal gusto – testimone di un miglioramento progressivo delle qualità organolettiche dell'acqua potabile – ai maggiori controlli rispetto all'acqua minerale, al risparmio, al minor impatto ambientale.

Tutte ragioni valide, che riconducono ad un nocciolo centrale: gli italiani stanno prendendo a cuore la propria acqua. Non la vogliono disperdere, non la vogliono inquinare, non vogliono che nessuno ci guadagni sopra. La preferiscono pubblica e al giusto prezzo. Ecco così che i referendum dello scorso giugno ed il consumo crescente di acqua del rubinetto diventano le due facce della rinata sensibilità verso il tema dell'acqua...

continua qui

mercoledì 13 luglio 2011

povera acqua

Una bella fiorentina al sangue da 3 etti costa 4.650 litri di acqua. Per il contorno di patate arrosto che l'accompagnano ce la caviamo con 25 litri. Il piatto di ciliegie fa 373 litri. E la tazzina di caffè 140. A tavola non contano solo le calorie: senza accorgercene divoriamo un fiume di acqua che è servita a coltivare e ad allevare i prodotti che finiscono nel nostro piatto. E, quando buttiamo via il cibo, buttiamo anche l'acqua che contiene.

Se ci fermiamo al singolo pasto, i numeri appaiono limitati. Ma se prendiamo le 177.479 tonnellate di mele rimaste sul campo nel 2009 perché raccoglierle non era più conveniente, scopriamo che per farle crescere c'erano voluti 124 milioni di metri cubi di acqua: gettati via. Per i pomodori è andata peggio: 3,5 milioni di tonnellate sprecate equivalgono a 644 milioni di metri cubi di acqua. E per le olive non utilizzate (3,4 milioni di tonnellate) si arriva a 6,5 miliardi di metri cubi di oro blu. In totale in Italia nel 2010 sono stati sprecati 12,6 miliardi di metri cubi di acqua per colpa di 14 milioni di tonnellate di prodotti agricoli non raccolti…

continua qui

martedì 12 luglio 2011

Lo dice l'Organizzazione mondiale della Sanità

E' emerso che un terzo degli esperti che fungono da consiglieri per l'Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo alla pandemia dell'influenza suina hanno legami con le aziende farmaceutiche.

Cinque dei quindici specialisti che siedono al comitato di emergenza [sull'influenza suina] hanno ricevuto finanziamenti dai giganti farmaceutici [le grandi multinazionali farmaceutiche - N.d.T.] o erano legati ad essi per via delle loro ricerche.

La rivelazione farà nascere il sospetto che la 'pandemia' sia stata ampiamente soprastimata e largamente alimentata dall'industria del farmaco che ne ha approfittato beneficiando del panico.

Lo scorso mese è emerso che il Governo ha speso più di 1,2 miliardi di sterline per fare fronte all'influenza suina - la maggior parte dei quali utilizzati per i vaccini, perché si è dato ascolto alle fosche previsioni degli "esperti" che sarebbero morti almeno 65.000 cittadini britannici.

In realtà il virus si è preso appena 457 vite - un terzo di quelle uccise ogni anno dalla normale influenza stagionale.

Ma è emerso adesso che molti scienziati del panel di emergenza dell'OMS hanno legami con aziende fra le quali la GlaxoSmithKline, che ha guadagnato milioni producendo vaccini per l'influenza suina.

Questa notizia si collega alle rivelazioni fatte alcuni mesi fa dal Daily Mail che metà degli scienziati che c onsigliano la taskforce sulla pandemia del Governo Birtannico avevano legami con i giganti farmaceutici.

Uno dei 15 scienziati consiglieri dell'OMS era il britannico professor Neil Ferguson - che l'anno scorso aveva avvertito che la pandemia sarebbe stata così pericolosa che sarebbe stato necessario chiudere tutte le scuole.

Da allora è emerso che il Professor Ferguson è stato consulente per la Roche, che produce il Tamiflu, così come per la GlaxoSmithKline Biologicals fino al 2007.


La professoressa Maria Zambon, del Centro Britannico per le Infezioni della Protezione Sanitaria [UK Health Protection Agency Centre for Infection], che faceva pure parte del comitato, ha affermato di avere ricevuto dei fondi da diversi produttori di vaccini, fra i quali la Sanofi, la Novartis, la CSL, la Baxter e la GlaxoSmithKline.

Durante l'epidemia l'anno scorso la professoressa Zambon aveva affermato che fino ad un terzo dei bambini in età scolare in Gran Bretagna avevano il virus senza saperlo, dal momento che non avevano nessuna manifestazione sintomatica.

continua qui

L'influenza A, le cui conseguenze per settimane hanno tenuto in allarme milioni di persone, era una "falsa pandemia" orchestrata dalle case farmaceutiche pronte a fare miliardi di euro con la vendita del vaccino.
Non si tratta dell'accusa di un medico controcorrente, ma di una precisa denuncia arrivata da Wolfang Wodarg, il presidente tedesco della commissione Sanità del Consiglio d'Europa.
Del resto - come spiega Ettore Livini sulla Repubblica in edicola oggi - le multinazionali del farmaco in 6 mesi hanno visto lievitare i loro profitti in borsa di 60 miliardi di euro.
In dettaglio la Roche ha incassato 2,6 miliarid di euro, decuplicando i suoi ricavi, per l'antivirale Tamiflu.
La Baxter avrà un profitto di 750 milioni di euro grazie al virus contro l'H1N1,
Più ricco il bottino della Novartis, che grazie alle notizie sulla pandemia porterà nei suoi bilanci un miliardo di euro più del previsto.
Mentre la GlaxoSmithKline, che si è indignata per le accuse del Consiglio d'Europa, definendole infondate, ha ottenuto dai vaccini un guadagno extra di 3 miliardi di euro.

Big Pharma ha orientato anche l'Oms
Wodarg ha anche accusato esplicitamente le industrie farmaceutiche di aver influenzato la decisione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e di averle spinte a dichiarare la pandemia.
Pesante il j'accuse di Wodarg, ex membro dell'Spd, medico ed epidemiologo, secondo cui le multinazionali del farmaco hanno accumulato "enormi guadagni" senza alcun rischio finanziario, mentre i governi di tutto il mondo prosciugavano i loro bilanci sanitari, spendendo milioni nell'acquisto di vaccini contro un'infezione che in realtà era poco aggressiva.

continua qui

..,L’OMS è finanziata attraverso due flussi principali. Primo, gli stati membri promettono una proporzione dei contributi totali sottoposti a controllo, valutata in base alla ricchezza ed alla popolazione di ogni paese.

Successivamente la WHA approva all’unanimità un budget centrale. Il secondo flusso deriva da contributi volontari, spesso stanziati per malattie, settori o nazioni specifiche. Il comitato per l’assistenza allo sviluppo dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, richiede finanziamenti extrabudget di aiuto “multi-bi” (ad es. finanziamenti indirizzati dai donatori verso settori non prioritari, allocati per scopi specifici attraverso agenzie multilaterali).

Il budget biennale dell’OMS è più che raddoppiato, da 1.6 miliardi di US $ nel 1998-99 a 4.2 miliardi di US $

nel 2008-2009, ma quest’anno l’agenzia ha uno spaventoso deficit di budget di 300 milioni di US $. Cosa ancor più rilevante, il suo budget extrabudgetario durante lo stesso periodo è cresciuto dal 48.8 al 73.3%.

Non è sostenibile avere un finanziamento volontario che rappresenta quasi l’80% del budget dell’agenzia.

Inoltre il finanziamento extrabudgetario distorce le priorità riguardo alla salute globale. I contributi sottoposti a controllo sono più allineati con il reale carico globale delle malattie, rispetto ai finanziamenti extrabudgetari. Per esempio, nel 2008-2009 il finanziamento extrabudgetario dell’OMS è stato devoluto principalmente alle malattie infettive (60%), mentre è stato allocato in maniera insignificante verso le malattie non trasmissibili (3.9%) e verso le lesioni in genere (34.4%). Tuttora le malattie non trasmissibili a livello mondiale sono responsabili del 62% delle morti complessive in tutto il mondo, e le lesioni in genere incidono per il 17% sul carico globale delle malattie.

da qui